Un lavoro come il mio, caratterizzato da routinari pendolarismi casa-ufficio, implica l’abitudine ad atti che, da un certo momento in poi, ti ritrovi a seguire se non altro per
necessaria coerenza con te stesso.
Da anni ormai, alla solita ora, esco dalla solita stazione
della metropolitana e passo attraverso il solito tornello di ingresso alla sede dell'azienda dove lavoro. Scelgo sempre lo stesso, quello più a sinistra dei cinque
disponibili. E’ un classico tornello a rotazione con i tre bracci in metallo,
che si sbloccano quando riconoscono il badge che avvicino al sensore e che, dopo il
passaggio di un corpo, si assestano di nuovo in posizione per accoglierne uno
nuovo. Solo che il mio tornello è sempre stato un po’ pigro, i bracci ruotano a rilento quando perdono la spinta del corpo passante e, dopo aver permesso un ingresso, si riassestano con estrema indolenza in posizione di "avanti un altro". E’ così da anni.
Ogni giorno, sul lato sinistro dell’ingresso, due metri prima del mio tornello, staziona l’addetto alla sicurezza; un tipo sulla
cinquantina che osserva gli impiegati che, come me, avvicinano il badge al sensore e
passano. Lui di mestiere fa questo: osserva il passaggio. Io lo saluto e lui contraccambia e
mi segue con lo sguardo mentre attendo con pazienza i voleri del tornello fiacco: è un
rapporto così, fatto di attimi di vita comune.
Ieri, tutto a un tratto, la discontinuità. L’evento imprevedibile. La frattura nello spaziotempo. Il tornello scatta senza intoppi, come un meccanismo
perfettamente oliato, senza più un brandello di quella pigrizia che lo
contraddistingueva fino a ventiquattr'ore prima.
Una volta passato, io guardo l’usciere, l’uomo che per
decine di mattine aveva osservato il mio indugiare dietro la flemma del
braccio meccanico, e prorompo in un cordiale:
E che succede? Tutt’a un tratto
funziona? Lo avete aggiustato?
Lui: Che?
Io: Come che, il tornello, era lento, ora funziona, mi
riferivo a quello.
Lui: Boh, mi pare sempre uguale.
Come. E'. Possibile.
Tu per lavoro fai questo: osservi le persone che passano. Da anni. Ti piazzi sempre lì, vicino a quel tornello. Per
svariate ore al giorno, quello è il tuo mondo. Non ti sei mai chiesto nulla? Non ne hai mai percepito il ritmo? Non ti chiedi il motivo del cambiamento? Forse un intervento manutentivo? Forse uno divino? Ti saluto ogni mattina mentre attendo il
ritorno in posizione del braccio lento. E non ti sei mai accorto di nulla?
Ecco l’essenza dell'essere subumano. Sopravvivere senza porsi alcuna
domanda sulla realtà che ti circonda.
Buona percezione a tutti.