Dicesi congettura un'affermazione o un giudizio fondato sull'intuito, ritenuto probabilmente vero ma non dimostrato, perlomeno non ancora.
Il concetto è tipico della matematica, campo in cui la dimostrazione definitiva di un teorema deve essere inconfutabile e in caso di ipotesi plausibili ma non dimostrate si parla appunto di congettura. Ad esempio è famosa quella di Goldbach, che afferma che ogni numero pari maggiore di due può essere scomposto nella somma di due numeri primi. È stata verificata empiricamente per parecchie migliaia di numeri, è accettata da quasi tutti i matematici ma non è stata dimostrata in maniera inequivocabile.
Voglio invece presentarvi ora il primo tentativo di applicare il concetto di congettura alla biologia. La congettura di Pdb non è ancora molto conosciuta, non la troverete su wikipedia, almeno non sino ad oggi, a dire il vero credo che con questo nome la conosciamo solo in due, io e Pdb, appunto. Poco male, l'importanza di un concetto scientifico non è direttamente proporzionale alla sua fama e all'inizio anche la teoria dell'evoluzione e la relatività generale erano conosciute solo dai loro ideatori e dai pochi che avevano avuto la fortuna di ascoltarle di prima mano.
Ok, passiamo al nocciolo del post.
Considerato che una pianta per la sua crescita si alimenta di acqua e dei sali minerali e composti organici contenuti nella terra nella quale affonda le proprie radici (per semplificare possiamo dire che si alimenta proprio di acqua e terra) e considerato che le piante crescono, e alcune anche parecchio, ergo la terra attorno alle radici dovrebbe diminuire progressivamente lasciando attorno ad esse un vuoto, una voragine, una caverna, radici scoperte, insomma. Certo, il vuoto sarebbe riempito dalla terra che con il semplice ausilio della gravità sostituirebbe la precedente, ma questo meccanismo a lungo termine finirebbe comunque per lasciare un vero avvallamento nei pressi della pianta, proporzionale alla sua crescita in altezza e larghezza. Nel caso di un albero dal tronco possente l'effetto dovrebbe essere molto evidente, e ci si aspetterebbe un vero e proprio cratere proprio dove il tronco si unisce al suolo. La congettura di Pdb si può quindi esprimere così: data una pianta in crescita, il vuoto che si formerà attorno alle sue radici sarà proporzionale alla sua massa.
Il concetto è convincente ma non evidente: se la sostanza che forma il tronco, i rami, le foglie e tutta quella materia vegetale viene dalla terra, come mai questo vuoto congetturato non c'è? Bisogna innanzitutto scoraggiare l'ipotesi che potrebbe essere venuta in mente a qualche lettore che, a digiuno degli elementi fondamentali della chimica, si incaponirebbe a sostenere che la pianta si nutre di sola acqua (in verità anche io all'inizio ero stato attratto da questa facile spiegazione...): la solita wikipedia, fonte di sapere di ogni webnauta che si rispetti, sostiene che il legno è fatto di cellulosa e lignina, un polisaccarde e un polimero organico entrambi a base di carbonio, quindi non derivabili direttamente dall'ossigeno e dall'idrogeno dell'acqua, ma dalla terra. Anzi la terra credo sia proprio fatta di residui di vegetali morti nel corso delle varie ere geologiche, mista a frammenti di sassolini e altri residui organici. Solo che andando a passeggio in un querceto non mi pare che ci si imbatta in questi fossi profondi alla base degli alberi, quindi se è valida la premessa ci deve essere qualcosa che impedisce al fosso di crearsi.
L'ipotesi principale, ovviamente da verificare, è che il vento, i fenomeni erosivi e gli altri lenti movimenti geologici fanno sì che queste depressioni, appena createsi, si livellino. Per verificare la congettura non ci si può affidare all'osservazione dello stato naturale, in quanto sono troppe le variabili che concorrono all'esito. Qui serve un modello ed un approccio sperimentale.
Il metodo sperimentale, dopo la formulazione di ipotesi per spiegare il fenomeno, appronta dei test sulla base di modelli esemplificativi della realtà, esemplificativi nel senso che non possiedono le mille complessitá e variabili dell'ambiente naturale, o perlomeno ne escludono parecchie. Si spera che in quest'esclusione non siano scartate proprio le cause sulle quali stiamo indagando. Un buon modello di un albero che cresce in ambiente naturale potrebbe essere una pianta invasata. Qualche mese fa mi ero ripromesso di fare esperimenti su una pianta sul mio terrazzino per misurare con accuratezza se la terra sarebbe diminuita con la crescita del vegetale indipendentemente da cause esogene, che so, acquazzoni, vento forte, uccelli che scavano. Poi ho pensato 'sti cazzi e ho abbandonato il proposito per un bel po', con buona pace della congettura e del suo ideatore.
Poi un bel giorno, come un fulmine a ciel sereno, ecco davanti a me l'evidenza chiarificatrice, il lampo di genio dello sperimentatore, l'illuminazione risolutrice del verificatore, l'esperimento già pronto bell'e fatto: sabato scorso, intento ad impegnare in maniera costruttiva un pomeriggio casalingo, mi sono trovato senza nemmeno rendermi conto a... rimettere terra nei vasi! Proprio così, e si trattava di vasi ben protetti da vento, acqua, uccelli ed eventi esterni qualsivoglia. Ho dovuto fare un vero e proprio rabbocco di terra, perchè quella originale sembrava svotata, divorata dalla pianta e, ancor più mirabile a dirsi, la poca terra rimasta ad una leggera pressione delle dita sprofondava subito denunciando ampie aree vuote sottostanti... proprio come previsto dall'ipotesi.
La congettura di Pdb da sabato scorso per me è dimostrata.
Nel puro spirito scientifico si accettano ovviamente ipotesi alternative, ma solo se accompagnate da validi esperimenti a supporto.
Voglio continuare ad insegnarvi l'arte della sopravvivenza. Potete anche fottervene dei miei consigli, ma poi quando vi troverete immersi fino alla collottola nelle sabbie mobili del Borneo non dite che non ve l'avevo detto.
Un trucchetto facile facile per calcolare rapidamente quanto tempo manca al tramonto del sole: pare banale ma è più preciso di quanto si possa immaginare: si tende un braccio verso il sole che cala e, piegando la mano ad angolo retto, si contano quante dita mancano tra il sole e l'orizzonte, ogni dito vale dieci minuti che mancano al tramonto. Se non frequentate il Borneo può tornare utile anche durante una passeggiata in montagna per calcolare di quante ore di luce disponiamo o in spiaggia per aspettare il momento giusto per il mojito.