Avete notato anche voi che da qualche tempo molte auto parcheggiate in maniera eufemisticamente fantasiosa, per non dire da cani, hanno le spazzole tergicristalli sollevate? All’inizio non ci facevo troppo caso, poi mi è capitato di osservare una scenetta che mi ha aperto gli occhi: un distinto signore, dopo avere fatto tre manovre per svoltare su una stradina evitando di urtare un grosso SUV posteggiato arrogantemente quasi in mezzo alla carreggiata, ha accostato la sua auto, è sceso e, abbastanza meccanicamente, ha alzato entrambi i tergicristalli anteriori del SUV, risalendo poi sulla sua vettura e allontanandosi. Da allora ho notato parecchie altre vetture in seconda fila, sulle strisce pedonali, sui marciapiedi, in prossimità di incroci, insomma parcheggiate a cacchio, con le spazzole alzate.
Ecco cos’è: si tratta di un segnale, un messaggio al guidatore arrogante in quel momento assente, una sorta di codice che vuol dire “guarda che hai parcheggiato di schifo”: quando il buzzurro tornerà a prendere la propria vettura troverà il segnale, si presuppone lo sappia interpretare, e capirà di aver esagerato con il menefreghismo stavolta, e che qualcuno non ha gradito. E’ inoltre uno strumento di gratificazione (dai, un minimo…) anche per la vittima dello sgarbo, che avrà la consapevolezza di aver battuto il pugno, di non aver lasciato correre, di essersi in qualche modo ribellato alla situazione, pur senza atti vandalici, senza parolacce, senza escandescenze. Un civile segnale che non provoca effetti irreparabili, solo un decisa comunicazione. Si tratta solo di apprendere tutti il nuovo linguaggio. Certo, non mi aspetto che il cafone cambi definitivamente il suo sistema di valori solo perché ha trovato i tergicristalli sollevati, anzi con tutta probabilità parcheggerà male altre volte. Ma questi segnali funzionano così, pian piano diventano linguaggio comune e in men che non si dica avere il tergicristallo alzato si muterà in un’onta, in una cosa di cui non andar fieri, mentre il contrario si trasformerà in vanto: “figliolo, io nella mia vita non ho mai avuto un solo tergicristallo alzato da chicchessia, sappilo”. Un impatto potenziale da non sottovalutare, alla lunga. Potrebbe essere l'inizio di una rivoluzione.
Mia figlia V. ha sei anni e crede a Babbo Natale.
Fin qui nulla di strano, i bimbi credono a quello che i grandi raccontano loro, la capacità critica di analizzare i fatti senza lasciarsi influenzare dalla tradizione e dalle voci del popolo arriva solo dopo, se arriva. E poi credere a Babbo Natale è anche una buona spiegazione per alcuni fatti che non si riescono a spiegare altrimenti: chi porta tutti quei regali? Chi è quel signore grasso vestito di rosso che campeggia sui cartelloni pubblicitari? E, soprattutto, se ci credono tutti ci sarà un motivo, no? E quindi quella di Babbo Natale è una congettura accettata all’unanimità (perlomeno nel mondo dei bimbi).
La compagna di banco di mia figlia, E., qualche settimana fa ha cominciato a sollevare dei dubbi, ha individuato alcuni elementi che si scontrano con la congettura di Babbo Natale. Secondo lei è difficile portare in una sola notte regali a tutti i bimbi del mondo, i bimbi sono davvero tanti. E poi E. non si spiega come facciano le renne a volare, le ha viste allo zoo e le sono sembrate tutt’altro che leggére e sicuramente prive di ali. E. ha raccolto degli elementi che ritiene oggettivi e ha avanzato un’ipotesi alternativa a quella classica: lei crede che i regali vengano portati da zii, nonni e genitori, e che Babbo Natale (è dura da scrivere, ma riporto solo l’ipotesi di E.) non esista. E. ritiene che quest’ipotesi si adatti meglio ai fenomeni osservati, e renda superfluo ricorrere a sovvertimenti temporanei delle leggi di natura (estensione del tempo della notte di Natale e renne che volano). Se si postula la non esistenza di Babbo Natale, o perlomeno la sua estraneità alla consegna dei regali, tutto è più semplice. Non c’è nemmeno bisogno dell’efficiente quanto anacronistico servizio postale che permette la comunicazione dei desideri dei bimbi. Tutto fila liscio senza troppe complicazioni. Ad E. tutto questo sembrava lampante, almeno fino a ieri.
Ma purtroppo E. è rimasta sola. La congettura di Babbo Natale, sostenuta all’unanimità dal resto dei bimbi nonostante le ragionevoli obiezioni sollevate da E., è ancora il sistema di spiegazione della realtà universalmente accettato in classe. La piccola E. è stata all’inizio trattata con incredulità, poi è stata sbeffeggiata e infine anche isolata in qualche gioco. Ma E. è un animale sociale, e ne soffre.
Stamattina a colazione mia figlia V. mi ha detto che ora anche E. crede a Babbo Natale. Non è riuscita a rimanere sola per molto, vuole far parte del gruppo, vuole che gli altri la considerino una di loro.
A quelle condizioni forse avrei fatto lo stesso.