C'è in giro già da qualche tempo (più o meno centotrent'anni) un libretto che allarga la mente come un compressore fa con un palloncino, e che dovrebbe essere letto nelle scuole appena si comincia a parlare di geometria. Si tratta di Flatlandia, del reverendo Erwin Abbott, anno 1884, tradotto in italiano da Adelphi, un racconto fantastico che affronta in maniera divertente una delle colonne portanti della nostra percezione della realtà, il concetto di spazio e di dimensioni. Nella mia lunga quanto umile carriera di consumatore di testi scientifici divulgativi (moooolto divulgativi), spesso mi sono imbattuto in tentativi più o meno ortodossi e più o meno efficaci di spiegare il concetto di dimensioni oltre la terza, ma mai il mio cervello si era confrontato con immagini vivide e realistiche (anche se non so quanto rigorose, ma a me importa poco) come quelle con cui è stato ammaliato da questo volumetto di centocinquanta pagine. Mentre ero immerso nella lettura ad un tratto mi è sembrato talmente naturale poter, solo a volerlo, scartare di lato per traslare in una dimensione inconsueta e vedere l'intero universo da qualche nuovo tipo di alto e vedere i corpi all'interno, con le viscere, le ossa e tutto, dico sul serio.
Ma procediamo con ordine.
La prima parte del libro è dedicata alla descrizione di usanze, costumi e morale del popolo di Flatlandia, un mondo a due dimensioni, piatto come un foglio di carta o come la superfice calma di un lago, e alla conoscenza del protagonista, il signor Quadrato. Questa parte, oltre a costituire un divertente espediente per tentar di dare coerenza ad un mondo teorico, rappresenta una feroce critica alla società vittoriana, basata sul culto delle apparenze e sulla rigidità della piramide sociale; ma non è questo l'aspetto che ha consentito al libro di sopravvivere attraverso i secoli.
Nella seconda parte, quella davvero interessante e tuttora attualissima, si affronta di petto la parte geometrica e matematica e si introduce quello che sembra un metodo per districarsi con l'immaginazione attraverso quel percorso ad ostacoli che costituisce il passaggio tra mondi di diverse dimensioni. Il caro reverendo Abbott fa compiere al suo protagonista il Quadrato un viaggio iniziatico, come un Gulliver in paesi esotici, suggerendo quali sono gli elementi che mutano nell'incrementare le dimensioni una ad una.
E' così che ci imbattiamo nel mondo a zero dimensioni, Pointlandia, abitato da un solo essere, il Punto, che non ha neppure la percezione dell'Altro, dell'esterno; un punto solitario e monolitico nel suo spazio inesistente, l'Uno, l'Essere Assoluto, immobile e immutabile, che non conosce null'altro se non se stesso e il suo pensiero:
"Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un'idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l'essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotentemente, felici."
Lasciamo il mondo zerodimensionale e le sue implicazioni etiche e filosofiche. Da Pointlandia è sufficiente un movimento in una qualsiasi direzione (se ce ne fossero di direzioni, in un mondo senza dimensioni, direte voi) che già si ottiene un mondo bidimensionale, e visto da qui il Punto che prima sembrava essere l'Unico Essere diventa uno tra i tanti, e abbiamo la possibilità di vederlo nella sua interezza. Se vivi a Linelandia, una specie di lungo segmentone o una retta infinita (a seconda della tua fiducia nella finitezza dell'universo), le cose si fanno più interessanti: esiste una seppur minima possibilità di movimento nel week end, e si ha l'occasione di percepire altri esseri, segmenti o punti. Certo che i limiti sono parecchi, basti pensare che il nostro vicino sarà sempre lo stesso, per impossiblità di sorpassarsi o di scavalcarsi, che non c'è mica lo spazio per farlo, e lo percepiremmo sempre e indistintamente come punto adimensionale. Un po' noioso ma già meglio del Bagaglino.
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Una impenetrabile casa di Flatlandia |
Ma anche qui basta un "semplice" scarto (non a destra né a sinistra, ma verso l'alto o il basso) per passare da un tunnel senza altezza ad un mondo bidimensionale, e cominciare a percepire quelli che erano segmenti sulla linea, e che da dentro la linea vedevi solo come punti, per quello che sono in realtà, nella loro completezza. A Flatlandia, il mondo a due dimensioni, si acquisce maggiore libertà di movimento, possibilità di scegliere chi frequentare e anche una diversa percezione dell'altro: di quello che prima era un segmento ora riesci a vedere non solo un punto, ma l'intera struttura prima non visibile, estremi e contenuto: le sue viscere, il suo intimo interno. C'è il problema non secondario che percepisci tutte le figure piane come segmenti. La percezione visiva funziona così: ruba sempre una dimensione a quelle disponibili, se hai uno spazio a una dimensione vedi solo punti adimensionali, se sei nello spazio a due, vedi gli oggetti ad una dimensione. A Flatlandia è impossibile vedere all'interno delle figure piane chiuse, cosa che per noi tridimensionali è un gioco da ragazzi (il pentagono che vedete qui a sinistra è una "impenetrabile" casa di Flatlandia).
Tuttavia si può sempre migliorare, anche dal mondo di Flatlandia basta uno scarto in alto, ma non verso il Nord, come ama dire l'amico Quadrato, per conquistare la terza dimensione, e cominciare a vivere in Spacelandia, il mondo a tre dimensioni a noi tanto familiare. Da qui la casa pentagonale di Flatlandia, prima nascosta alla vista, è a tua completa disposizione, e degli abitanti vedi le loro viscere, il loro cuore, in un solo onnisciente abbraccio visivo.
Per estensione anch'io, misero abitante di Spacelandia, abituato a vedere le figure come al cinema o in foto, altezza per larghezza (lasciamo perdere per ora i vantaggi della visione binoculare), ho immaginato di poter muovermi per di là (ma non a destra o sinistra, nè in alto o in basso, nè avanti o indietro...) e di riuscire ad abbracciare con lo sguardo le viscere dei miei compagni a tre dimensioni, l'interno delle case, il cuore della Terra, ed essere finalmente e totalmente conscio del mio mondo.
Provo a schematizzare il percorso:
Dimensioni del mondo
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Dimensioni percepite con la vista
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Figure di cui vedo contemporaneamente bordi e interno
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0
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nulla
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nulla
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1
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0
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punti
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2
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1
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linee
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3
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2
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figure piane
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4
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3
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solidi
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x
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x-1
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ipersolidi
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Alla fine il metodo è garantito, e consiste "semplicemente" nello spostarsi, scartare di lato, saltare verso giù, insomma una sorta di movimento in una direzione inconsueta e sconosciuta. E ad ogni movimento si guadagna una dimensione, ad ogni dimensione guadagnata la vita percepita nei mondi di partenza aumenta in maniera esponenziale la sua varietà, la qualità, il senso di valore che la stessa assume. E quello che ti sembrava prima importante forse non lo è più. Ad esempio non è importante indossare biancheria intima.
Stasera ci provo, speriamo la cervicale.