Mi pareva di aver capito che nei i sogni le attività cerebrali di tipo analitico sono ottenebrate, e che i canoni logici del funzionamento del mondo vengono sovvertiti. Non è stato così nell’ultimo sogno che ho fatto di cui conservi un minimo ricordo: qualcuno continuava con insistenza a chiedermi come si legge ringhio (sempre tematiche violente in questo periodo) al contrario e io, dopo qualche attimo di riflessione, ho risposto sicuro: oihgnir!
Ora, delle due l’una: o avevo capito male, e la logica durante i sogni continua a funzionare, o le capacità intellettive necessarie a capovolgere una parola non sono logiche ma di altro tipo.
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Uno scorcio suggestivo di
Decimomannu (CA).
Suggestionati a sufficienza? |
Comunque, poco male. Fatto sta che i giochini con le lettere mi hanno sempre affascinato, e non credo di essere un caso isolato. Chi di voi da piccolo non è rimasto a bocca aperta quando gli è stato svelato il segreto di parole come aiuole o sequoia, batta un commento. Si tratta di parole panvocaliche, che contengono tutte le vocali una e una sola volta (a me piace molto squinternato, ma qui trovate altri esempi). In italiano non esistono parole panvocaliche che conservino l’ordine alfabetico delle vocali (in inglese sì, ad esempio astemious) e sono anche rarissime quelle che finiscono in u. La prima parola italiana con questa caratteristica che è stata “scoperta” è Decimomannu, e quando è stata annunciata un boato si è levato tra i ludolinguisti assiepati allo stadio di Cagliari.Con le vocali i giochini da fare sono parecchi. Ad esempio in Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg c’è quello famoso che consiste nel ripetere una frase-tipo utilizzando le vocali una alla volta in alcune parole: il baco del calo del malo, il beco del chelo del melo, fino ad arrivare all’esilarante (perlomeno alle orecchie di un bimbo della prima metà del secolo scorso) il buco del culo del mulo. Di questo trucchetto c’è anche una versione in siciliano molto meglio riuscita: l’alchimia riesce sostituendo tutte le vocali della frase in un efficace u purtusu du culu du mulu.
C’è anche chi, all’interno dei rigidi canoni dell’OuLiPo (o OpLePo che dir si voglia), si è cimentato in componimenti poetici monovocalici. Avete capito bene: oltre ai vincoli tipici dei componimenti in versi, come la metrica e la rima, e oltre alla non sempre ovvia necessità che lo scritto abbia un senso, questi buontemponi amanti di catene, lacci e lacciuoli si sono detti: sai che c’è, ‘sto sonetto è troppo libero, e che adesso uno può scrivere quello che gli pare? mettiamo un’altra regola: si può usare solo la vocale a, e non vale inventare parole. Vi pare ancora poco? Ok, sappiate allora che Giuseppe Varaldo di vincolo se ne è dato pure un altro: ogni sonetto sarebbe dovuto essere il riassunto di un’opera della letteratura universale.
Questa è la sua versione di La Metamorfosi di Kafka, un fantastico sonetto in a:
D’amalgama fatal la trama tratta
(la narra Kafka, par ch’accada a Praga):
abracadabra, cabala da maga
all’alba fa passar da Samsa a blatta!
Alata l’alma, ma la zampa gratta;
la panza ha larga, la parlata vaga,
ma la magagna smacca, smagra, smaga…
A far da tana sta la branda sfatta.
Malnata, maltrattata, mal amata,
la strana larva dal tran tran stramazza;
ma dall’ava sarà da là spazzata.
Spalancata la stanza alla ramazza,
la gran carcassa-salma raccattata,
ad accasar s’abbada la ragazza
Se avete voglia di fare un tentativo, a voi la parola… (ok, sono pronto: or lo provo).
(parzialmente tratto da un intervento di Stefano Bartezzaghi, scarica qui il podcast)