Che c’è un Qualcosa che induce ottantamila persone a pagare
una cifra considerevole per radunarsi in un luogo delimitato soffocando il
naturale istinto alla conservazione di uno spazio vitale attorno al proprio
corpo e superando le immaginabili difficoltà di raggiungere il suddetto luogo,
quelle del parcheggio e quelle di trovare il tempo da investire nell'attività; che quel
Qualcosa non può essere semplicemente il desiderio di vedere il proprio gruppo rock
preferito che suona i pezzi che sappiamo a memoria per averli ascoltati
migliaia di volte (per questo basterebbe un buon video ad alta definizione); e che
quel Qualcosa può assai di più essere spiegato dagli stessi meccanismi che inducono una folla in un rito religioso di massa o dal bisogno
di appartenenza ad un gruppo primario di identificazione, e che la sensazione
per cui si è disposti a pagare è quella del Sono-Qui-Insieme-A-Migliaia-Di-Altre-Persone-Con-La-Mia-Stessa-Passione.
Un ipotetico concerto allo Stadio Olimpico |
Che si può ipotizzare l'esistenza e tentare la misurazione
di un parametro G, "valore di attrazione Gravitazionale
del palco", definito come capacità dell'artista e/o dello spettacolo in
corso di attirare verso di sé gli astanti (intesi come spettatori liberi di
muoversi su un piano bidimensionale orizzontale A senza
vincoli di posti numerati, barriere, security men: il prato di uno stadio
durante un concerto rappresenta bene il modello). G sarà
variabile tra 0 e 1, intendendo zero come attrazione nulla, ossia spettatori
che vagano liberi nel piano A senza particolari focus di addensamento, se non minimi
e temporanei assembramenti attorno a chioschetti di birra e altri beni di prima
necessità (un kebabbaro ha per esempio un buon valore addensante anche se presenta un
limite dovuto al trade-off tra fame e fila da fare per ottenere il panino); se
siete ad un concerto con G=0 chiedetevi pure perché ci siete andati. G sarà
invece uguale al valore massimo (uno) se ognuno dei presenti è indotto a spostare
il proprio corpo quanto più possibile in direzione del palco, avendo come unico
limite il corpo degli altri spettatori e il principio di impenetrabilità (non
si accettano battutine a doppio senso sulla paventata promiscuità sessuale dei
concerti rock).
Normalmente i valori di G
durante un concerto di primaria importanza si attestano intorno ad un discreto
0.8, che indica un affastellarsi di corpi in prossimità del palco (calca
pressante dovuta alla maggiore vicinanza con l’origine della forza misurata con G),
e a una progressiva diminuzione della densità man mano che si procede verso
metà campo, fino ad assistere ad uno sfilacciamento delle masse in prossimità dei
limiti del prato opposti al palco, fenomeno che potrebbe dare vita a spazi
relativamente ampi dove si può addirittura trovare il modo di stare sdraiati su
una coperta da picnic.
Che, sempre durante un ipotetico concerto in uno stadio, è
possibile percepire ciò che accade sul palco senza guardarlo direttamente, ma limitandosi
ad osservare gli schermi degli smartphone che riprendono la scena come se fossero ognuno un pixel di uno schermo più grande, avendo come
unica accortezza quella di collocarsi in posizione sufficientemente elevata da
permettere di abbracciare un buon numero di devices. L’effetto di fedele
riproduzione dello spettacolo è tanto migliore quanto più è forte il contrasto cromatico
della scena riprodotta: se sul palco vengono proiettate immagini a forte
contrasto -immaginiamo uno sfondo azzurro con un muro di mattoni rossi che va
formandosi pian piano- lo spettatore sopraelevato che guarda gli schermi degli
iphones e similia ne osserverà alcuni con lo schermo principalmente azzurro
(quelli che riprendono soprattutto porzioni azzurre del palco), altri con lo
schermo predominantemente rosso (quelli che stanno inquadrando zone del palco ad
elevata densità di mattoni). L’effetto sarà una composizione di schermi azzurri
e rossi che rifletterà statisticamente la densità degli stessi colori sul
palco. Qualcuno, in preda a sostanze psicotrope, potrebbe azzardare l’ipotesi
che, avendo a disposizione un numero infinito di smartphone di cui sbirciare
gli schermi, l’immagine osservata da lontano potrebbe riprodurre in dettaglio qualsiasi
scena mostrata sul palco, persino il chitarrista che fa un assolo. Quest’ipotesi
però, a mio parere, per funzionare avrebbe bisogno non solo di infiniti
telefonini, ma anche di un tempo infinito di osservazione, per far sì che la
scena riprodotta dall’insieme dei pixel (gli infiniti telefoni) abbia modo di riprodurre
casualmente l’esatta realtà del palco.