Tracce (ovvero memi captati, replicati, evoluti e poi rigurgitati dall'agglomerato temporaneo di molecole per praticità registrato all'anagrafe come unità con il nome) di Alessandro Aquilano, peraltro presidente del Club.
venerdì 6 aprile 2012
Ancora sul valore delle cose
Oggi non c'è fila alle casse del Todis, sarà che le scuole sono chiuse (non mi chiedete il nesso logico, ma tutti dicono così). Ho già consegnato alla bionda di turno il mio bravo bancomat, e mi accingo a infilare detersivi e yogurt nel mio bustone di nylon, da uomo perfettamente inserito non solo nel ciclo di produzione e consumo occidentale ma anche in quello dello smaltimento dei suoi rifiuti.
Il tipo appresso a me non pare altrettanto inserito, ha l'abbigliamento, la generale incuria e l'odore pungente di chi dorme per strada. Con un mugugno fa capire alla cassiera di voler passare senza attendere i miei comodi. Le mostra la bottiglia da un litro e mezzo di aranciata gassata che ha in mano come unico acquisto, lascia due monete sul bancone e accenna ad andarsene senza ulteriore indugio. Con una veloce e professionale occhiata calcolo che l'importo lasciato è un euro e mezzo, in una strana assonanza numerica con la bottiglia acquistata, esattamente un centesimo a centilitro. La cassiera gli chiede con gentilezza di attendere l'emissione dello scontrino. La bottiglia, al suo passaggio sul lettore ottico, rivela il suo vero valore, sessantanove centesimi. Il tipo vuole comunque andare via da quel posto che non lo fa sentire a suo agio, a lui non interessano né scontrino né resto, ha solo sete e voglia di soddisfarla, in puro stile zen. Non essendo parte del sistema non ha nemmeno il senso del denaro che tale sistema impone, per lui quell'aranciata vale più o meno due monete, o comunque quello è tutto il denaro di cui dispone in quel momento e, visto che il suo unico desiderio è bere un'aranciata, bingo, uso quei soldi per quel desiderio, chi se ne fotte di domani e del resto di ottantuno centesimi che potrebbe essermi necessario. O magari valuta quelle monete in base al tempo che ci ha messo per procurarsele, in una sorta di teoria del lavoro=valore, e poi traduce il tutto in bisogni. Non lo so. Ma questo episodio ha risvegliato il mio senso di relatività nei fatti economici, da troppo tempo assopito in un conformismo piccolo borghese, e mi ha ricordato una conclusione a cui ero giunto fin dai tempi degli studi di economia: l'assioma del consumatore razionale che è alla base di tutte le teorie classiche è una enorme cazzata. Ringrazio il tizio dell'aranciata. Ne berrò una alla sua salute.
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Ottantuno centesimi è il prezzo che si paga per saltare la fila. È così in tutti i supermenrcati, tipo club freccia alata. Lei dice di essere inserito ma non conosce neanche le regole di base.
RispondiEliminaNon che non abbia colto la profondita' dell'argomento ne' non ne condivida le meta-conclusioni, per carita'... Ma, tanto per capire, per caso l'affascinante tipo indossava un soprabito largo, ma tutto tirato, tale per cui a guardarlo settorialmente hai pensato che fosse una persona grassa, poi in realta' applicando alcuni dei tuoi algoritmi migliori, hai notato, sempre per caso, che poteva esservi una sproporzione tra le dimensioni della testa e del trascurato viso, le gambe, tremolanti ma altresi' nervose e pronte, e quel corpo timidamente avvolto nel soprabito, ma all'apparenza molto geloso dello stesso...?
Elimina@pdb: non credo il tipo avesse fretta alcuna di saltare la fila, aveva l'aria di avere tutto il tempo che voleva, solo che non comprendeva il perchè di quei meccanismi, scontrino, resto, fila, pareti chiuse.
RispondiElimina@felix: dici che si era fregato mezzo supermercato e che aveva fretta di uscire? lo avevo pensato anch'io, ma no, niente soprabito gonfio.
RispondiEliminaSecondo me ale hai colto nel segno. Siamo noi i "diversi" agli occhi del clochard. Da quel poco che ho capito negli anni in cui li seguivo, fatta la tara per quelli con problemi mentali, il loro unico riferimento è la libertà. Noi servi non possiamo capirli.
RispondiEliminaIl fatto è che noi abbiamo la società come unico punto di riferimento per la stragrande maggioranza delle nostre azioni, anche valori che ci sembrano fondanti come onestà, etica, bellezza, a volte anche famiglia, spesso non sono altro che mezzi per essere giudicati bene dalla società, per noi pare naturale. È per questo che quando ci imbattiamo in qualcuno che non ha la società tra i suoi valori, beh, proprio non riusciamo a comprenderlo.
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