venerdì 24 settembre 2010

Uno scimpanzè in casa

Sto leggendo. Forse per questo non scrivo. O faccio bene una cosa o male l'altra.
Tra i vari libri che ho sul comodino quello con lo stato di lettura più avanzato è "Il Terzo Scimpanzè", di Jared Diamond (ha scritto anche il famoso "Armi, Acciaio e Malattie").
Nella prima parte tratta della somiglianza dell'essere umano con le altre specie animali alle quali è più o meno imparentato, ed evidenzia l'estrema vicinanza di caratteristiche che si credevano esclusivamente umane a comportamenti osservabili in altre specie: in fondo più del 98% del patrimonio genetico di homo sapiens è esattamente identico a quello dello scimpanzè comune, e percentuali via via di poco inferiori lo accomunano ai gorilla, ai topi, agli elefanti, ai delfini.
Tra i caratteri che distinguono homo sapiens dalle altre specie animali spesso vengono in mente il linguaggio, l'oganizzazione sociale e la capacità di fare arte e di uccidere non per fame ma per odio.
Il linguaggio? Ebbene, il cercopiteco verde è una bertuccia africana che grazie al fatto che vive in un territorio molto circoscritto è stato possibile studiare allo stato selvatico con microfoni e telecamere fisse. Si è scoperto che ha un linguaggio fatto di bassi grugniti e alte grida, che distingue almeno una decina di parole/concetti differenti e che questo linguaggio è parlato e compreso da tutti i componenti del gruppo. Le scimmie antropomorfe più evolute e i cetacei in libertà non sono ancora stati analizzati con tale dovizia di particolari (in mare i microfoni dove li piazzi?) ma ci si aspettano vocabolari ancora più ricchi e articolati.
L'organizzazione sociale? Gli insetti sociali (formiche, termiti e api in primis) si avvalgono di una precisa e complessa suddivisione dei compiti.
L'arte fine a se stessa (per distinguerla da quella a fini di accoppiamento)? Gli elefanti per ingannare il tempo disegnano nella terra con bastoncini che reggono con la proboscide; lo fanno anche su tela se qualcuno gliela dà e i quadri di Siri, una elefantessa, sono stati scambiati per opere umane da critici d'arte e poi esposte e vendute a caro prezzo.
La capacità di uccidere non per fame? Sono stati documentati decine di attacchi di gruppi di scimpanzè a esemplari rivali, attacchi premeditati, spesso in gruppo contro singoli, senza altro apparente motivo che quello di uccidere per odio xenofobico.
Riassumendo, molte delle caratteristiche che si credono proprie della nostra specie esistono, seppur in embrione, in altre specie animali; o, se la vediamo dal punto di vista opposto, molti dei comportamenti propri di specie animali diverse dall'uomo permangono, seppur aumentate in complessità o modificate nell'intensità, nel pool genico umano, plasmandone in modo irreversibile l'azione e il pensiero. C'è una sorta di ponte di collegamento tra comportamenti umani e animali.
Il libro poi prosegue con un'analisi delle ragioni per le quali uno qualsiasi tra i tanti mammiferi di grossa taglia è riuscito a diffondersi praticamente in tutti gli habitat del pianeta e a moltiplicarsi fino a raggiungere i 6 miliardi di individui, a discapito delle altre specie. Interessante.

Non so quale sia stato il collegamento avvenuto nelle mie sinapsi (anche se forse lo immagino...), ma la prima parte del libro mi ha fatto venire in mente i bambini.
Credo che la condizione umana più simile allo stato animale, la parte del ponte più vicina alla sponda dove risiedono le altre specie, sia l'infanzia.
I cuccioli dell'homo sapiens (parlo dell'età compresa tra i la nascita e i 3-4 anni, dopo intervengono altri meccanismi) sono sempre all'erta per captare un segnale, un accenno, una debolezza e infilarvisi dentro per approfittarne. Sono egoisti puri, come i gatti domestici e come gli animali in genere (a parte casi particolarissimi) e non conoscono altruismo o generosità se non ne intravedono un immediato guadagno.
Possiedono un linguaggio poco più articolato di quello dei cercopitechi verdi e, se crediamo al Moretti di "chi parla male pensa male", hanno sicuramente un processo mentale e logico al massimo elementare. Sono esseri tutto istinto e percepiscono nella maggioranza delle situazioni solo i meccanismi causa-effetto basilari (piango -> viene mamma).
Non hanno nessuna nozione di organizzazione sociale, o comunque ne hanno meno delle formiche: tutto è incentrato su di loro e sulle loro esigenze.
Non hanno morale, potrebbero uccidere per un giocattolo rubato se si desse loro l'arma giusta al momento giusto.
Ma, grazie all'evoluzione per selezione naturale, sono diventati gradevoli all'occhio degli adulti, che altrimenti se ne sarebbero sbarazzati molto più frequentemente di quanto hanno in realtà fatto. Il loro pianto si è evoluto per coprire frequenze insopportabili all'orecchio dell'uomo (e della donna!), che farebbe di tutto per farlo smettere. E gli adulti, da canto loro, per garantire la sopravvivenza del proprio corredo genetico, hanno dovuto sviluppare un sentimento di tenerezza e protezione verso questi piccoletti nati per prenderci per il culo, protezione che in alcuni casi può protrarsi ben oltre i trent'anni.
Conclusione? Nulla, mi adeguo a quanto deciso dalla natura in milioni di anni. E subisco.

Nota a margine: proprio oggi, mentre ero in metro per tornare dal lavoro e leggevo le ultime pagine del libro, ho notato che l'omino di fronte a me mi scrutava curioso; dopo un po', indicando il libro che avevo in mano, mi ha rivolto una frase smozzicata in inglese, che non ho compreso. Io mi sono lanciato in una arzigogolata quanto sconnessa descrizione dell'argomento trattato da Diamond in un improbabile idioma che ricordava solo molto alla lontana quello di Shakespeare... ho cominciato a sudare, ma ormai era una sfida con me stesso, dovevo rendere edotto lo straniero, che a sua volta mi rispondeva in un inglese anche più stentato del mio; ad un certo punto, incuriosito dall'accento non proprio di oxford del mio interlucutore, ho sparato un sempreverde "uerariufrom"? E lui "itali"... Io, esausto, mi sono accasciato sul sedile a fianco a lui, sedile che nel frattempo era stato abbandonato dalla filippina che lo occupava, probabilmente infastidita dall'omicidio glottologico al quale era costretta ad assistere, e gli dico "ma perchè parliamo in inglese?", "boh". Continuiamo la chiacchierata in romanesco, aveva un marcato difetto di pronuncia, masticava le parole prima di sputarle, e mi ha confessato che il suo esordio, che io avevo scambiato per una domanda in inglese, era solo un "somiglia al pischello di mia figlia Sharon"...era riferito allo scimpanzè con fare pensoso ritratto in copertina...beh, non è andata proprio così ma nemmeno in maniera troppo differente.


segnalo un blog molto divertente:
http://profetaincerto.altervista.org/