venerdì 10 febbraio 2012

Appunti di un pendolare metropolitano



mappa metropolitana di Roma (da Wikipedia)

Il vagone della metro non è strapieno. Il Comune di Roma, con l'allarme neve lanciato ieri sera e con i tempestivi provvedimenti di chiusura di scuole e uffici pubblici, è riuscito a tenere a casa buona parte dei pendolari. Il clima è sereno, niente ressa oggi.
Ad una prima occhiata il movimento all'interno del vagone pare armonico nel suo complesso ma, analizzando più da vicino i meccanismi che agiscono alla base, il tutto si fa più farragginoso e caotico. Un po' come un formicaio, che osservato da sufficiente distanza pare un ben regolato sistema in movimento, una singola unione d'intenti, e invece, se analizzato a livello di singole formiche, manifesta la confusione, i particolarismi, i singoli caratteri. 
Qui nel vagone c'è il consueto alternarsi tra persone che entrano trafelate alla ricerca di un posto a sedere, sgomitando con i possibili concorrenti, e altre che, con meno fretta, si alzano dai posti solo pochi minuti prima faticosamente conquistati. Tutto sembra equilibrato se osservato da sufficiente distanza.
Tuttavia, avvicinandomi un po' con il mio punto di osservazione, mi accorgo che ci sono alcune ruvidezze che disturbano questa apparente omogeneità. Alcuni viaggiatori (non sempre riconoscibili dall'età avanzata, come si potrebbe essere portati a credere) abbandonano con largo anticipo i propri posti a sedere e si appropinquano alle porte scorrevoli per apparecchiarsi l'uscita con due fermate di anticipo. 
Provo a scendere ancora più in dettaglio.
Mettiamo che il signor A debba scendere alla stazione X. Il signor A vuole essere sicuro di alzarsi dal suo posto quando il treno è fermo, in modo da evitare gli scossoni di frenate o accelerate che potrebbero fargli perdere l'equilibrio. Scarta da subito l'ipotesi di alzarsi all'ultimo momento alla stazione X, non è uno sprinter e ha paura che le porte gli si chiudano in faccia. Scarta per sicurezza anche la fermata X-1. Decide per quella ancora prima. 
A partire dal momento di arrivo nella stazione che precede di due fermate la X, stazione che chiameremo X-2, il signor A si alza dal suo posto, lasciandolo libero a chi, avendo spinto più forte degli altri, in quella stessa stazione è riuscito ad entrare per primo. Il signor A si avvicina alla porta, proprio come se volesse passarla, e potrebbe benissimo farlo, visto che le porte sono ancora aperte per permettere l'entrata dei passeggeri più lenti della stazione X-2. Invece il signor A si ferma davanti alla porta e aspetta.
Il concetto che sta alla base di questa dinamica è inframmezzare tra il momento presente (fermata alla stazione X-2) e quello in cui dovrà davvero uscire (fermata alla stazione X), una stazione di sicurezza (la X-1), e sfruttare questo lasso di tempo per entrare al meglio nel personaggio di chi deve scendere, come un centometrista al "pronti". Questo meccanismo mentale è causato dall'ansia di rimanere in un vagone senza riuscire a scendere al momento giusto: il signor A è infatti un rappresentante di quella parte di viaggiatori che definirei affetti dalla sindrome da viaggio infinito, quella sorta di terrore atavico di rimanere a vita intrappolati in un treno che viaggia per sempre, con fermate fulminee che non ti danno la minima possibilità di abbandonare il treno, che da mezzo di trasporto si trasforma in prigione eterna: uno speciale inferno riservato ai pendolari. 
Il signor A ha l'abitudine di posizionarsi a circa trenta centimetri dalla porta scorrevole (è proprio questa la distanza che lo fa sentire al sicuro, e che chiameremo "distanza di stazionamento") proprio al centro dell'uscita, e non discosto di lato, come si potrebbe pensare usando il buon senso (infatti alla fermata di sicurezza X-1, quella prima della X, altri passeggeri dovranno uscire ed entrare, e il signor A fermo lì in mezzo è proprio di intralcio), incurante di tutto ciò che gli succede intorno, anzi facendo valere se necessario a voce alta il suo diritto a stazionare lì, visto che tra appena una fermata dovrà in tutta fretta abbandonare il treno. 
Fin qui la scena è simile a quanto ho osservato altre volte, ed è rappresentativa di ogni viaggio in metro degno di questo nome. A volte però, come stavolta, entra in scena un secondo personaggio, lo chiameremo signor B, anche lui con la sua brava sindrome da viaggio infinito, anche lui con la tecnica di preparazione tarata su X-2. Il signor B, a differenza del signor A, ha però un valore di distanza di stazionamento più basso di quello del signor A, e che si attesta intorno ai quindici centimetri.
Il signor B si alza anche lui alla stazione X-2, ma una frazione di secondo in ritardo rispetto al signor A, e pertanto si trova esattamente alle sue spalle quando entrambi si posizionano davanti alla porta scorrevole. Tutto pare filar liscio fino all'arrivo alla stazione X-1. Certo, entrambi dovranno stare attenti prima alle persone in uscita, e poi a quelle in entrata che di corsa vanno all'arrembaggio dei posti rimasti liberi (ovviamente i posti sono quelli lasciati liberi da chi non è affetto dalla sindrome e deve scendere alla X-1 o da quelli che ne sono affetti e che, dovendo scendere alla fermata X+1, si preparano sin dalla X-1).
L'imbarazzo comincia a nascere man mano che il treno si avvicina alla stazione X, meta sia del signor A che del signor B. Il signor B, che crede che un viaggiatore in uscita debba posizionarsi a quindici centimetri dalla porta, non capisce cosa ci faccia quello strano tipo (strano per lui, visto che noi sappiamo benissimo trattarsi del signor A) così distante dalla soglia, ben trenta centimetri, e comincia a entrare in ansia. La maggiore distanza di stazionamento del signor A ha il potere di innervosire immensamente il signor B, "come fa questo signore a non prepararsi adeguatamente all'abbandono del treno", pensa B, "è così distante dalla porta che ci sarebbe tutto lo spazio per farmi passare per primo davanti a lui".
L'ansia di B aumenta ad ogni secondo che passa, ad ogni metro in più percorso verso la stazione X, fino a quando la situazione esplode e il signor B prorompe in una frase che a prima vista pare quanto di più banale offra il campionario del pendolare, e che sembra inserita armonicamente in un sistema di entrata e uscita da un mezzo pubblico, se la si osserva a distanza. Ma questa frase, se analizzata in dettaglio, nasconde invece un mondo intero fatto di migliaia di chilometri di apprensione: "scusi, lei scende alla prossima?".


7 commenti:

  1. Le poche volte che mi capita di prendere la metro, e di essere seduto, per scendere alla stazione x mi alzo alla stazione x stessa. Ho notato che lei, pur acutissimo osservatore, questa possibilità non l'ha neanche presa in considerazione. Devo dedurne di essere un caso isolato, uno che non fa statistica, oppure, più semplicemente un fondista come lei gli scattanti e felinei centometristi quali il sottoscritto neanche li vede?

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  2. forse non ha letto attentamente, la perentesi del terzultimo paragrafo prende proprio in esami i casi come il suo.
    Per quanto mi riguarda io non faccio testo, perchè in metro non mi seggo mai, nemmeno quando il vagone è vuoto.

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  3. Ha ragione, chiedo scusa. Ma mi faccia capire: lei in metro legge libri, kindle, ipad, scrive poesie, osserva i comprtamenti umani come un'etologo di un'altra specie, importuna le signore, e tutto ciò lo fa in piedi, sorreggendosi, e qiondi con una mano sola?

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  4. la metro è il mio elemento. un po' come il divano per lei.

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  5. La piantina! Ecco il vero e recondito perchè di questo post. La piantina e quel numeretto a tre cifre, in basso a destra, la cui continua crescita so che le da un brivido.
    Prevedo nuovi post sulle metropolitane di tutto il mondo.

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  7. devo dire che di questi tempi anche il meteo funziona. le foto della neve a Roma hanno fatto il loro porco mestiere.

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