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mercoledì 18 novembre 2015

L'origine

Ricevo e pubblico una storiella scritta da Valeria, 10 anni; mi pare originale e degna dell'attenzione delle mie schiere di lettori.

Un tempo non c'era nulla. Ma tutto era stato scritto nel Grande Libro. Tutto ciò che sarebbe dovuto accadere era già stato scritto da Lui. Da Selvio Bonanseto.
Lui era l'Imperatore, il Re, il Dio.
Tutto ciò che sarebbe accaduto, Selvio lo conosceva, lo aveva scritto Lui.
Tutto successe in un giorno, la data prescelta da Bonanseto era arrivata.
Ad un certo punto si sollevò un po' di polvere leggera e comparve l'Universo. Tutto in una volta. Comparvero gli umani, gli animali e le cose che pensano le persone, le false prove dell'esistenza dei dinosauri e della scoperta di Colombo, tutto già al proprio posto. E tutto è lì ancora adesso.
Selvio ha deciso in anticipo le parole che diciamo, le cose che pensiamo, tutto.
E in questo momento sta scrivendo quello che accadrà domani.
E ieri ha scritto sul suo libro che io avrei scritto questa storia.
Tutto è nato così, dalla mano di Selvio Bonanseto, un bambino di appena quattro anni.

mercoledì 29 gennaio 2014

La frontiera del tempo

Dialogo sul tempo in un unico atto con titolo un po' paraculo

Personaggi
  • Conte P, intellettuale dalle nobili origini e dai modi aristocratici, con il vezzo di interessarsi un po' di tutto ma di nulla a fondo;
  • Tacchino, personaggio strumentale alla narrazione, più che altro utilizzato per porgere le battute al protagonista; a tempo perso tiene un blog che, considerato il numero di accessi, potrebbe benissimo essere sostituito da un paio di email al mese destinate a pochi intimi;
  • una giovane cameriera dai tratti piacenti.
Scena

Roma, interno, lounge bar fighetto, due comode poltrone in cuoio nero, un tavolino basso con due snifter colmi per un quarto di un liquido ambrato. Il locale è cablato modernamente in modo che basta sfiorare un pulsante per ottenere il pressoché immediato sopraggiungere della giovane cameriera.

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Tacchino: sa cosa mi piace di questo posto, Conte? Che il Lagavulin te lo servono abbondante e nel bicchiere adatto, bello panciuto. Lei dice che per risparmiare ce lo portano annacquato?

Conte P: caro Tacchino, non amo fare questo tipo di illazioni se non supportandole con prove incontrovertibili o per lo meno con solidi indizi. Io vengo qui per fare due chiacchiere, non per immettere in corpo liquidi dal miglior rapporto tasso_alcolico/prezzo disponibile sul mercato, come a volte dà l'impressione di fare lei. A proposito, non è già al quarto? Dovrebbe andarci piano. Piuttosto vorrei portare alla sua attenzione una considerazione che facevo tra me e me giusto stamane, mentre mi recavo alle scuderie accompagnato dal mio fido segugio Piero e che, nonostante siano passate ore, continua a frullarmi in testa.

Tacchino: spari pure, sono tutt'orecchi. Intanto io schiaccio questo bottone e chiamo quello spettacolo di cameriera, ma l'ha vista? Io glielo darei volentieri un colpo.

Conte P: l'altro giorno ho assistito a un seminario del prof. Rovelli in cui l'esimio affermava che, in base ai suoi studi, le equazioni della meccanica possono benissimo essere scritte senza tener conto della variabile tempo. Ciò significa che la fisica di base funziona comunque, anche ipotizzando la non esistenza del tempo. L'unico campo in cui pare non si possa prescindere dal concetto di tempo è la termodinamica: i processi entropici hanno una direzione correlata al tempo. Rovelli sostiene anzi che il tempo sia, in un certo senso, un'illusione che deriva proprio dai processi entropici.

Tacchino: oh, beh, in effetti, non saprei... ah, salve signorina, non avete qualche stuzzichino? 

Cameriera: Se vuole le porto un cestino di olive, sono ottime.

Tacchino: olive? Ma sono gratis? Altrimenti non se ne fa nulla.

Cameriera (allontanandosi un po' disgustata): non si preoccupi, offre la casa.

Tacchino: carina, vero? Ma com'è che non toglieva gli occhi da lei, conte?

Conte P forse perché mentre le chiedeva le olive non faceva che fissarle le tette. Dovrebbe essere più elegante nei rapporti con il gentil sesso, a volte mi chiedo come faccia io ad accompagnarmi a lei, pur se in queste rare occasioni. Le dicevo, sullo spunto della teoria di Rovelli ho provato a fare delle considerazioni. In un certo senso il tempo è intimamente connesso alla visione umana della realtà. Se ci pensa bene, tutte le testimonianze del passato sono solo stati del presente: rovine, fossili, lettere, storie, cosa sono se non forme attuali della materia? Persino quella che consideriamo la prova più inconfutabile del passato, ossia la sensazione che sembra collegare un agglomerato di cellule del presente, il "me ora", a un altro agglomerato più o meno simile del passato, il "me ieri", alla fine dei conti non è altro che un insieme attuale delle configurazioni stabili dei miei neuroni: la mia memoria. L'unica vera testimone del passato diventa uno stato presente, come del resto lo sono altre configurazioni neurali che rappresentano l'unica prova del futuro: le aspettative, le previsioni, le proiezioni mentali; tutta questa roba è solo presente, uno stato della materia, una forma dell'adesso.

Tacchino: sì, ma io nel frattempo divento vecchio e una come quella me la scordo.

Conte P ecco, l'invecchiamento a cui, nella sua semplicità, lei accenna, caro Tacchino, il fatto che la materia abbia stati successivamente sempre più disordinati, è l'unico processo ancora indissolubilmente legato al tempo di cui abbiamo bisogno. Probabilmente è proprio il significato ultimo del tempo.

Tacchino: boh, io mica ho capito bene questa storia. Me lo fa qualche esempio? A proposito, quel whisky, se non lo beve lei, quasi quasi...

Conte P prenda pure, ma non starà esagerando? Ormai è quasi sdraiato su quella poltrona. Allora, dicevo, il concetto non è di certo nuovo, sicuramente anche lei, che legge solo fumetti, si sarà imbattuto in qualche massima del tipo "il passato esiste solo nella memoria, il futuro nell'immaginazione" oppure "il passato non è più, il futuro non è ancora, esiste solo il presente". Beh, diciamo che queste massime forse vanno nella giusta direzione. D'altronde gli animali fanno proprio questo: vivono esclusivamente nel presente. Voleva un esempio per la sua mente elementare? Quando, uscendo di casa, lascio Piero, il mio segugio, da solo, comincia a guaire inconsolabilmente come se non dovesse più vedermi, anche se ormai dovrebbe essere abituato al mio rientro dopo un'ora al massimo. E al mio ritorno mi dedica ogni giorno la stessa accoglienza che mi ha riservato lo scorso inverno al mio ritorno dal Borneo, un viaggio durato più di tre mesi. Per un cane un'ora o tre mesi è uguale: non ha il senso del tempo. Solo gli umani mostrano di avere questo concetto nel loro software. E nemmeno tutti: i bambini, fino a quando non assimilano il meme del tempo dai genitori, ragionano esattamente come gli animali. E' per questo che mal sopportano anche il minimo dolore: lo vivono come se dovesse durare per l'eternità, come se fosse diventato il loro stato stabile. Non hanno l'idea di evoluzione, di cambiamento.
Certo, c'è da dire che il meme tempo è stato il motore della nostra evoluzione, dello sviluppo della nostra cultura: senza l'esperienza del passato e senza la pianificazione del futuro noi non staremmo qui a sorseggiare whisky scozzese, saremmo arrivati al massimo allo stadio di cacciatori/raccoglitori. Ma stasera parliamo di realtà fisica, non di cultura.

Tacchino: E meno male, che io con la cultura non ci ho mai fatto pace. Ma lo sa che sulla storia dei bambini forse ci ha preso? Mia figlia piccola quando mi chiede quanto manca a Natale, che le risponda due giorni o sei mesi reagisce sempre allo stesso modo: s'imbroncia e dice: "noooo, è troppo tempo". 

Conte P esatto. Ha mai provato a spiegare a un bambino piccolo il significato di domani? Facilmente si confonderà con la storia che il domani di ieri è l'oggi di oggi.
Vabbé, si è fatto tardi, io andrei, vuole che l'accompagni? Non mi pare troppo in forma.

Tacchino: Nooooo, tranquillo, sono a posto, se solo mi dà una mano a trovare la macchina... a proposito, ricorda di che colore è?

Conte P dovrebbe riconoscerla dalla ammaccature, se non erro ha ancora lo stesso catorcio a bordo del quale ho avuto il piacere di conoscerla oltre dieci anni fa. Solo una raccomandazione prima di accomiatarci: la prego di ritenere le vaghe chiacchiere di stasera un semplice scambio di opinioni tra vecchi amici, non si sogni neppure di farne cenno su quel suo blogghetto, ne andrebbe della mia reputazione di uomo con i piedi per terra.

Tacchino: Ovvio, sarò una tomba. Burp.

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Disclaimer:
i personaggi citati e le vicende qui narrate, incluso questo disclaimer, sono di fantasia, e non hanno alcun legame con personaggi esistenti o vicende realmente accadute.

giovedì 14 novembre 2013

Il Capotavola

Il Comitato Direttivo della EX.treme Ltd. si riunì il primo lunedì del mese come ormai faceva da trentacinque anni a questa parte e, come in ogni riunione di settembre, l'ordine del giorno prevedeva, tra l'altro, l'approvazione degli obiettivi per l'anno successivo e la discussione sulle strategie di vendita. Il lungo e stretto tavolo rettangolare era circondato da undici poltrone in pelle nera di cui solo una, quella con i braccioli e lo schienale alto, era collocata in corrispondenza di uno dei lati minori, posizione che un qualsiasi avventore esterno avrebbe riconosciuto senza troppe difficoltà come il Posto d'Onore. Come di consueto, i Membri Anziani del Comitato Direttivo al loro arrivo trovarono la poltrona bracciolata già riempita dalla figura sottile e dinoccolata del Presidente Esecutivo del Comitato Direttivo; a dire il vero sembrava sedesse lì da anni, impeccabilmente elegante nel suo consueto gessato blu e con l'abituale atteggiamento del capo leggermente ricurvo sul petto. Nonostante la temperatura esterna fosse ormai gradevolmente settembrina, l'impianto di condizionamento pompava aria a 16° a umidità stabilizzata, l'ideale per permettere a tutti i membri di rimanere all'interno dei completi su misura, come d'obbligo in presenza del PrEsCoDir.

Il Presidente era nato centootto autunni prima. Dai primi anni '90 la sua partecipazione alle riunioni del CoDir era diventata sempre più silenziosa; all'inizio il cambiamento era percepito dai Membri Anziani del CoDir come un gradevole smussamento di quegli spigoli di aggressività che sempre ne avevano contraddistinto gli interventi ed era stato accolto benevolmente; poi anche gli ultimi residui di brio e di grinta tipici dell'uomo di polso cedettero il posto a muti cenni di assenso o di diniego col capo nei momenti decisionali, di solito con il sostegno fattivo del Segretario di Direzione che, rimanendo all'impiedi, con un fazzoletto di organza recante le iniziali JLM, gli asciugava diligentemente il mento dalla bava biancastra che colava dalla bocca semiaperta. In un giorno di primavera, durante l'approvazione del Bilancio 1995, i Membri Anziani del CoDir si accorsero che né i cenni di assenso né lo scorrere di bava mutavano più l'immobilismo del suo volto; il robusto Segretario di Direzione, dopo aver constatato che il respiro non increspava più le labbra presidenziali e che le membra stavano cominciando a irrigidirsi, dopo un breve e sussurrato consulto con i Membri Anziani, pensò bene di continuare a sostenere il PrEs sulla sua poltrona bracciolata: entro la giornata si doveva approvare il Bilancio, la Borsa Valori avrebbe aperto da lì a poche ore e non si poteva rischiare la mancanza della Guida Suprema in un momento così delicato e improcrastinabile. L'alternativa, proceduralmente corretta, rappresentata dalla scelta di una nuova guida, avrebbe avuto conseguenze nefaste, tra le quali non ultima l'apertura di una guerra senza esclusione di colpi all'interno del Comitato, con sicure e irrecuperabili ripercussioni sulla già labile stabilità interna e sull'immagine che ne avrebbe avuto il mercato. La cosa parve funzionare, il PrEsCoDir rimase al suo posto in quella e nelle future decisioni delicate e improcrastinabili (momenti che, come potete immaginare, si susseguono senza soluzione di continuità nella vita aziendale, soprattutto in quella di una realtà dinamica come la EX.treme Ltd) e col suo Ruolo dava ufficialità a tutte le determinazioni. Da allora la sua presenza alle riunioni fu sempre silenziosa, ma sufficiente ad approvare le linee del CoDir, come del resto previsto dal Regolamento Ufficiale delle Riunioni del Comitato che i Membri Anziani del CoDir si erano affrettati a modificare, inserendo opportunamente il principio del silenzio-assenso tra il paragrafo dedicato all'orario estivo e le norme sui rimborsi carburante.  
Durante i primi tempi si presentò il problema dell'odore: dapprima si decise, per silenzio-assenso, che all'interno della sala riunioni la temperatura dovesse conservarsi sempre a 10 gradi; dopo qualche giorno neanche questo accorgimento tampone fu sufficiente e il Comitato dovette affidarsi, con le solite procedure decisionali, a una squadra di esperti quanto discreti tassidermisti, i migliori su piazza. I risultati furono oltre le aspettative; in ogni caso gli imbalsamatori raccomandarono che la temperatura, per preservare i delicati colori naturali dell'incarnato del PrEsCoDir, non avrebbe mai dovuto superare i 18 gradi. I tessuti del Presidente risposero bene a queste cautele termiche che, coadiuvate da un'abbondante impiego di creme oleose di importazione, preservarono una parvenza di morbidezza epidermica che poteva essere facilmente scambiata per un piacevole indice di buona salute, considerata l'età anagrafica del PrEsCoDir.
Tutto filò liscio fino a quando uno dei Membri Anziani del CoDir fu vittima di un incidente automobilistico che lo obbligò a un lungo periodo di ospedalizzazione. Di regola in questi casi il Comitato avrebbe dovuto eleggere un Membro Temporaneo che lo sostituisse nelle sue deleghe, e fu subito chiaro che l'ingresso di un esterno, per di più temporaneo, in questa ormai consolidata procedura di governo aziendale avrebbe costituito un rischio non trascurabile. 

Quel lunedì di settembre del 2013, oltre alle strategie di vendita e agli obiettivi 2014, all'ordine del giorno c'era proprio questa delicata questione. 
Fu deliberato di procedere con trasparenza. Il Membro Temporaneo fu convocato e fu messo al corrente della situazione; questi, per il bene aziendale, comprese lo stato delle cose e accettò l'incarico senza troppe riserve, se non quella comprensibile di essere promosso a Membro Anziano. D'altronde la vita della EX.treme Ltd doveva andare avanti.

sabato 6 aprile 2013

Ebook - fase 3.0

Come ogni mattina Alfredo preparò la cartella per andare a scuola. Il materiale necessario per la seconda liceo è cosa semplice, basta infilare il tablet con su caricati tutti i testi scelti dai professori, le schede degli esercizi e i programmi di scrittura aggiornati. L'unico fastidio era tirasi dietro una volta a settimana una decina di quegli antiquati fogli di carta Bristol che il vecchio e reazionario prof di disegno pretendeva per le esercitazioni a mano libera: il vegliardo non riusciva proprio a digerire le Apps di disegno virtuale.
Ormai da anni la casa di Alfredo, come le tutte altre de resto, era libera da scaffali, mobili a parete, faldoni per documenti, dischi; tutto lo scibile necessario era contenuto nel cloud di famiglia e all'occorrenza visionabile e utilizzabile da dovunque tramite tablet grazie al collegamento wifi che da decenni era obbligatorio e gratuito su tutto il territorio nazionale. Fu un'iniziativa del primo eresiarca della Repubblica Italiana, quel Beppe Primo che nel lontano 2015 aveva rivoluzionato la metodologia di archiviazione del sapere e le modalità di accesso ai documenti: da allora tutti i supporti cartacei, vinilici, plastici, papirici, erano stati eliminati e sostituiti da file elettronici disponibili sui cloud personali, familiari, aziendali, pubblici e governativi.
I primi falò organizzati dal neonato Ministero della Semplificazione Documentale furono dei veri e propri eventi mondani: ognuno accorreva con tutta la propria biblioteca fisica caricata su auto, furgoni, scooter, carretti a ruote, pieni di tutto quello che era ormai vecchio: testi scolastici, romanzi, raccolte di poesie, saggi di storia, cd musicali, dischi in vinile, film su dvd, documenti notarili, persino i vecchi volumi del nonno. Il tutto veniva diligentemente e gratuitamente sostituito dalle copie autorizzate elettroniche, se disponibili, oppure scannerizzato lì per lì in caso di documenti personali, vecchie lettere, fatture, contratti, atti, poi autenticato con firma elettronica dall'addetto comunale e infine cloudizzato. I falò erano una vera e propria festa, si ballava, si beveva, qualcuno ha pure conosciuto in quell'occasione il partner di una vita. Tutti erano pienamente consapevoli della rivoluzione che stavano finalmente portando a termine: un nuovo mondo vedeva la luce da quel momento, un futuro di semplificazione e di libertà dalla carta si stagliava all'orizzonte. Dopo la festa ognuno se ne tornava a casa con una password e tanto spazio sulle pareti di casa da riempire finalmente con oggetti moderni e belli da vedere e da mostrare agli ospiti. Ben presto i termini che designavano gli oggetti non più esistenti furono dimenticati, le parole sono memi dinamici, vivono grazie all'uso, muoiono presto se non utilizzate; "carta" rimase a designare più che altro il materiale da imballaggio e i supporti per la pulizia e la cura del corpo, che soffiarsi il naso con un tablet non era ancora possibile, nonostante i costanti sforzi di Apple e Samsung in tal direzione.
Alfredo era contento così, grazie alla Rivoluzione Documentale non aveva mai dovuto trascinarsi dietro zaini pesanti per andare a scuola, bastava una borsetta per il tablet e la sua memoria per le password, tutto lì. Adorava leggere, romanzi, saggi, divorava tutto, capiva che dietro quelle parole c'era la chiave per la comprensione dell'universo e lui era curioso da sempre. Il tablet lo accompagnava dovunque. Sulla sua porzione di cloud aveva archiviato circa tremila libri, ogni tanto ne richiamava uno sul suo tablet e lo affrontava, di solito prendeva appunti sul word processor e approfittava del collegamento al web per approfondire alcuni argomenti. Un mondo fatto su misura per le sue passioni.
Cominciò a pensare che alcune di quelle opere su file erano davvero fondamentali, tipo quel trattato di storia del pensiero matematico che aveva per le mani in quei giorni, pubblicata sul cloud di "Le Scienze" dal più autorevole terzetto della rete di quegli anni, gli Eredirudi Mathematici. Voleva che quelle parole fossero a sua disposizione sempre. Sì, certo, già lo erano, erano lì sul cloud, ma gli sembrava un modo troppo astratto di conservare qualcosa di così importante, non riusciva a toccare quelle parole, a possederle pienamente, il suo desiderio di dominio fisico non era completamente soddisfatto. 
Qualche tempo prima aveva scovato in cantina una vecchia stampante, appartenuta al nonno di suo padre; la rimise in sesto e cominciò dapprima a stampare le pagine più salienti di alcuni file sui fogli di carta che gli rimanevano dopo le lezioni di disegno, scegliendo accuratamente i paragrafi che voleva avere sempre lì davanti a sé. Poi passò a stampare interi saggi, romanzi, racconti. Ma le pagine così stampate erano troppo disordinate, allora si procurò del cartone dall'imballo del nuovo videoputer 56 pollici del padre e lo utilizzò per rilegare i fogli tra di loro; alcune opere a cui teneva particolarmente le rilegò con colorati cartoncini recuperati dalle scatole di scarpe, e su ci stampava pure il titolo, in modo da poterle distinguere a prima vista; si accorse ben presto che così rilegati quei fogli erano particolarmente gradevoli alla vista, e stavano benissimo ad ornare le pareti vuote della sua stanza.
Comperò uno scaffale per mettere dentro tutto quello che stampava, era bello da vedere e da mostrare ai compagni di classe che lo venivano a trovare. All'inizio non sapeva bene come chiamare quei pacchi di fogli rilegati insieme, poi fece qualche ricerca, scoprì che decenni prima c'era una parola che designava oggetti del genere. Lì chiamò libri. E il suo tablet all'improvviso gli sembrò obsoleto.

venerdì 29 marzo 2013

Comunicazione di servizio per il papà di Armandino



Eccoti qui, sabato mattina, seduto in una panchina sugli spalti di questa umida piscina di periferia, con la camicia impregnata di sudore misto a vapori di cloro, che fremi d'emozione per un progresso del piccolo Armandino nella bracciata a dorso che risulterebbe impercettibile ad occhi non paterni. Come hai fatto a ridurti così? Tu che non eri certo il re della discoteca ma avevi comunque il tuo giro, il tuo discreto successo, la tua platea femminile, le tue piccole vittorie. Tu che gestivi le tue giornate tra qualche soddisfazione sul lavoro, molte serate col branco a fare il pieno di pistacchi e Havana Club e di tanto in tanto una notte con chi ti portava la provvidenza. Adesso sei una larva bagnaticcia senza un minimo d'amor proprio e senza una maniera migliore per trascorrere il fine settimana; e sai che c’è? a guardarti da qui il tuo lato peggiore è proprio quel sorriso ebete stampato sul viso e dedicato ad un marmocchio capriccioso.
Quando è cominciato tutto questo? Come? Dove? Sei lì che provi a fare qualche riflessione, ripercorri all'indietro la tua triste vita per capire qual è stato il bivio, quale la scelta, quale circostanza che ti ha condotto fino a quella panchina umidiccia quel sabato mattina.
Ci pensi.
E la prima cosa che ricordi è l’odore di disinfettante misto ad anestetico.
La seconda è il colore sbiadito delle luci al neon riflesse su quelle pareti verdine che portano dentro di sé l’essenza stessa dell’ospedale.
La terza sono le grida di persone adulte e nel pieno delle forze e della salute, ma che comunque gridano, miste ai vagiti di qualche nuovo nato.
La quarta sei tu che all’improvviso realizzi che qualcosa è cambiato.
È stato lì che lo hai conosciuto, prima di allora era solo una rotondità anomala sul ventre della tua donna, anche con un non so che di sexy. (Poi sparito subito, il non so che, non la rotondità).
Voglio dire, per lei è stato facile, Armandino ha vissuto nove mesi all’interno del suo corpo e lei ne ha approfittato per abituarsi all'idea della sua esistenza, per creare quella che ingenuamente crede essere una complicità, una simbiosi, una dipendenza reciproca, ma che a guardarla con oggettività è un lurido rapporto tra parassita e organismo ospitante, che non termina mica dopo la nascita, ma continua con l’allattamento e con qualche altra decade di convivenza e mantenimento forzato.
Ma per te, il papà.
Per il papà non è stato semplice.
Il papà ci cade dentro all’improvviso, come in una fottuta trappola.
Qualcuno di voi pensa sia semplicemente arrivato il momento di trovarsi un nuovo ruolo, a volte arriva a ritagliarselo su misura, e prova a risolvere l’impasse rifugiandosi nei tecnicismi tipici di alcuni gruppi con cromosomi Y; allora li vedi cambiare la macchina, comprare la Station Wagon, meglio se usata, così stiamo comodi e risparmiamo, o cercare il passeggino con il miglior rapporto peso/tenuta-di-strada. Altri si lanciano nell’organizzazione, stabiliscono nuovi orari e nuovi riti di spostamento di massa verso nonni o amici con prole, si occupano di tessere una nuova rete di relazioni che un giorno potrebbe rivelarsi preziosa, non si sa mai. I più fortunati di voi alla fine si convincono di averlo davvero, quel ruolo.
Ma tu ti stai rendendo conto che il ruolo del padre è un’illusione, una convenzione creata per non avere l’inconveniente demografico di milioni di maschi che vanno in giro a spargere il seme, e per cercare di tenere attaccata una società sul troppo astratto concetto di famiglia. La verità è che il tuo vero ruolo, quello genetico, quello evolutivo, non esiste. Rimarrai a vita un incidente di percorso nel rapporto madre-figlio, un intruso, un disadattato, un senza terra, un clandestino, un barbone all’interno di quello che credi sia il tuo nucleo sociale di base. L’unica cosa che ti si richiede è portare a casa un flusso finanziario stabile e sicuro, sporcare il meno possibile e cercare di non far rumore, che il bimbo dorme.
Sei sempre lì sulla panchina, la puzza di cloro ti attanaglia l’ipofisi, quando all’improvviso hai un lampo di genio, una di quelle rare illuminazioni sulle quali si sono costruite intere saghe filosofiche orientali, e diventi perfettamente consapevole dell’estrema verità di uno di quei principi evoluzionistici che avevi appreso solo in maniera rudimentale sui banchi di scuola: la nuova vita per svilupparsi deve assorbire qualcosa di energetico, e una vecchia vita è quello che fa al caso suo; l’evoluzione funziona proprio così: il nuovo sostituisce il vecchio, ma non solo da un punto di vista cronologico: lo fagocita, se ne nutre, cresce sulle sue ceneri, ha bisogno della sua morte. E capisci che alla fine il tuo ruolo è quello: morire perché il nuovo viva, in una sorte di rottamazione ciclica e predestinata. Solo così si spiega tutto: questa malinconia da stagione finita, questa tristezza da compleanno degli anta, lo squallore di questa piscina, e fuori sta cominciando anche a piovere.
Stai per andare al bagno a vomitare, poi lo sguardo incrocia per caso la corsia dove tuo figlio sta imparando a nuotare. Gli occhi ti si colmano di orgoglio, vecchio coglione. Tranquillo. E’ solo la trappola che scatta. Ora neanche tu potresti fare a meno.

mercoledì 11 aprile 2012

Oggi scarpe

Stamattina mi sono ritrovato a correre con un'immagine che occupava il fondo della mia coscienza. Forse era il residuo di un sogno non ancora completamente evaporato (erano le sei di mattina, ero sveglio da neanche dieci minuti), forse era il ricordo di qualche documentario televisivo visto a tarda sera, durante il dormiveglia sul divano, o forse era l'impronta lasciata da una vita precedente. (Ma propenderei nettamente per una delle prime due ipotesi.)

martedì 5 aprile 2011

Buon compleanno, sig. Tacchino

L'Eco di Splinder: innanzitutto la ringraziamo per averci concesso l'intervista. Tra pochi giorni sarà un anno dacché il suo blog esiste. Di solito il primo anniversario è un buon momento per i bilanci.
Tacchino: i numeri parlano chiaro: in un anno 71 post pubblicati, 2181 visite, 200 commenti.
L: abbiamo fatto qualche indagine: gran parte delle visite al blog sono sue, e anche una fetta consistente dei commenti. Alla fine più che un luogo virtuale dove c'è gente che legge quello che lei scrive a me pare un soliloquio, una lunga e solitaria masturbazione. Non era più semplice chiudersi in bagno come fanno tutti e lasciare in pace l'etere e le palle della gente?
T: mah, vede, io mi posso dire soddisfatto, nemmeno speravo che questo accrocchio sopravvivesse tanto. Il mio profilo su Feisbuc in confronto è durato meno di un quarto, e avrei voluto troncarlo pure prima. Per quanto riguarda le palle della gente basta non leggere per non essere ammorbati. Lo hanno scelto in tanti sa? Almeno 6 miliardi di individui. Ho la coscienza a posto, io.
L: ha raggiunto gli scopi che si era prefissato quando ha aperto i battenti?
T: nessuno scopo, nessuna delusione per non averlo raggiunto.
L: la celebrità ha anche il rovescio della medaglia: quando la incontrano per strada non le sputano in faccia?
T: evito i posti affollati e tengo lo sguardo basso.
L: una domanda che le vorrei porre da tempo: nessuna vergogna di risultare ridicolo?
T: un po'. Ma me ne sono perse tante di cose nella vita per paura di essere ridicolo. Ho 40 anni, mi pare un'età perfetta per decidere di fottermene. E poi ora che conosco Sallustia il blog è una buona scusa per stare un po' con lei senza che chi mi circonda mi martelli i cabasisi con giochini idioti o capatine sul meteo.
L: un'ultima domanda d'obbligo: progetti per il futuro?
T: vorrei tentare di dimostrare un'ipotesi scientifica che da troppo tempo aspetta una conferma: io la chiamo la congettura di pdb.
L: può anticiparci almeno a grandi linee di che si tratta?
T: no. Ora fuori dalle palle, entro la serata voglio arrivare a quota 2200 visite, ho ancora parecchio da cliccare.

mercoledì 17 novembre 2010

Dilemma #5 ovvero Election Day #3 - Compagni di scuola

Franco: Eh no, adesso tocca a me fare una digressione prima di continuare la storia delle elezioni. Sai cosa è successo al mio amico Luigi?
Gianni: Di nuovo Luigi? Accidenti, cosa gli è capitato?
F: In questo periodo non ha lavoro, quindi ha accettato di partecipare ad un esperimento che sta facendo il prof. Wolfstadter all'Università di Urbino.
G: Di che si tratta?
F: Lo hanno chiuso in uno stanzino con un pulsante rosso. Gli hanno detto che come lui erano stati contattati quindici tra i suoi ex compagni di liceo, anche se non gli hanno detto i nomi. Anche loro erano in quel momento ognuno in uno stanzino con un pulsante e anche a loro stavano comunicando le stesse istruzioni. In pratica si trattava di decidere se premere o no il pulsante rosso. Ognuno aveva venti minuti per decidere, e poi allo scadere del tempo aveva dieci secondi per premere o non premere il bottone. Chiunque lo avesse premuto avrebbe guadagnato cento euro, in caso contrario non avrebbe guadagnato nulla.
G: Beh, mi pare un lavoretto facile e sicuro...
F: Aspetta, lasciami finire. Se nessuno, dico nessuno, dei quindici ex compagni di scuola avesse premuto il bottone, ognuno di loro avrebbe guadagnato mille euro.
G: Mmh, la cosa si complica ma diventa più interessante. Sembra semplice immaginare un tacito accordo e un ricco premio per tutti, ma la pura razionalità dell'azione è una chimera che sopravvive solo nei modelli economici.
F: Già, immagina i pensieri di Luigi in quei venti minuti: "se i miei quindici ex compagni di scuola sono razionali nessuno di loro premerà il pulsante, e non sarò certo io a rovinare il gioco: possiamo sbancare l'università, fregare tutti con il nostro implicito accordo e guadagnare mille euro a testa... certo che se tra loro c'è quel coglione di Marco o quell'oca di Vittoria le cose non sono così semplici, sicuramente penseranno che qualcuno potrebbe cedere e, con il loro modo di ragionare bieco e ottuso, sono sicuro che non si fiderebbero degli altri, vorrebbero portare a casa almeno cento euro e premerebbero il pulsante mandando in malora tutto e lasciando gli altri in mutande... e anche io almeno cento euro li voglio scroccare, mi fanno comodo... quindi quasi quasi vale la pena premere il pulsante e prendere la sicurezza dei cento contro il rischio dei mille..." e così il semplice ragionamento lineare si riempie di dubbi irrazionali e di decisioni ancora più irrazionali che alla fine portano alla catastrofe.
G: 'Azzo di un Luigi... e lui cosa ha fatto?
F: Tu cosa avresti fatto?
G: Avrei lanciato il tallero e mi sarei affidato a bandiera o fica...

sabato 6 novembre 2010

Election Day #2

Gianni: Aspetta, aspetta, prima di sentire come va a finire vorrei capire meglio. Mi pare che il sistema di selezione del candidato che utilizzano i Popolarculisti sia un processo che non premia chi si contraddistingue per caratteristiche diverse dagli altri nel momento iniziale, giusto?
Franco: Beh, il tipo che ha vinto è il più fortunato...
G: Mi spiego meglio: prima di cominciare il torneo di selezione (i 9 gironi eliminatori e la finale di lancio del tallero) il vincitore non aveva nessuna caratteristica diversa dagli altri, nemmeno la fortuna. La sua caratteristica di vincente (e di fortunato) è stata individuata solo per convalida retroattiva: vedo chi vince il torneo (da notare che è necessario che lo vinca qualcuno) e scelgo questo, perchè a conti fatti è stato il più fortunato.
F: Sì, ho capito cosa intendi, all'inizio erano tutti uguali, il vincitore è stato individuato solo ex-post in base al percorso che aveva effettuato in gara. Ma non è così in tutti i tornei?
G: Non proprio. Prendiamo un torneo di tennis: anche lì il vincitore lo individui solo alla fine, ma puoi giustificare la sua vittoria nelle gare con caratteristiche che aveva fin dall'inizio (che so, era il più forte, o il più in forma, o il più allenato su quel tipo di terreno). Nel torneo organizzato dai Popolarculisti la questione è diversa, all'inizio non c'è nessun motivo apparente per cui un candidato dovrebbe imporsi sugli altri. E' un po' come la questione di Eva mitocondriale che ho letto l'altro giorno sul blog di un amico. Anche questa donna la puoi individuare solo ex post, la puoi incoronare Eva mitocondriale solo retroattivamente, a torneo concluso. All'inizio era indistinguibile dalle altre donne, e anche alla fine non riesci a distinguere quale caratteristica ne ha fatto la vincitrice. E' successo e basta. Una doveva esserci. Se non era lei era un'altra. E' un meccanismo algoritmico.
F: Sì, lo sai solo alla fine cosa è successo, solo la vittoria finale giustifica la storia precedente e non il contrario.
G: Un po' come la fortuna di essere vivi. Il fatto di essere vivi è la dimostrazione di un culo pazzesco: presuppone che, da quando esiste la vita su questo pianeta, nessuno dei miei milioni di antenati (mia madre, mia nonna, la mia bisnonna e così indietro fino agli organismi unicellulari che posso considerare miei antenati diretti), dico nessuno di loro è morto prima di avere una progenie. E dire che sono vissuti in tempi difficili! Se consideriamo solo la storia di homo sapiens sono migliaia di generazioni di guerre, carestie, malattie, pericolose battute di caccia, senza parlare degli antenati della nostra specie... A considerarlo adesso è una fortuna inimmaginabile, molto più di vincere un torneo di 10 sfide di testa o croce.
F: Vista da questo lato è davvero straordinario, sembrerebbe sovvertire ogni calcolo delle probabilità, ogni statistica. Però il ragionamento è incontrovertibile. Mi passi un'altra fetta di sacher? E' buonissima...
G:Ok, tu intanto va avanti con la storia delle elezioni su Lostz, com'è che va a finire?

domenica 17 ottobre 2010

Election Day #1

E' giorno di elezioni nella repubblica di Lostz.
Come ogni anno da secoli, si fronteggiano i due partiti che aspirano a governare il ricco paese. Ma qui non ci sono campagne elettorali, i comizi per convincere gli ultimi elettori sono privi di senso, le strategie di lottizzazione una inutile perdita di tempo. La decisione su chi sarà il presidente assoluto del paese per un intero anno si decide infatti con il lancio di una moneta, testa o croce. (Sebbene a Lostz la moneta ufficiale, il tallero lostziano, non rechi sulle due facce una testa e una croce, come del resto nessuna moneta che io conosca, ma da un lato una bandiera, simbolo di unità nazionale, e dall'altro una fica, che qualcuno dice sia simbolo di fertilità, ma in realtà era stata scelta da un presidente buontempone mezzo secolo addietro, anche lui vincitore di un sudatissimo lancio di moneta, eppoi è rimasta così). La legge elettorale di Lostz non è così biasimabile come sembrerebbe a prima vista, è una legge come un'altra, nè migliore nè peggiore di quella, che sò, italiana.
Quest'anno i due partiti in lizza, i Demomaterialisti e i Popolarculisti, sono agguerritissimi e si preparano alla sfida con nuove tattiche. Ognuno sceglie come meglio può il suo candidato, il campione che nel grande giorno si batterà per il potere.
I Demomaterialisti hanno utilizzato tutti i fondi raccolti con i contributi all'editoria (anche a Lostz...) e le offerte dei sostenitori per promuovere un approfondito studio sulla teoria e la dinamica del lancio del tallero. Hanno scelto come candidato il prof. Giakìus, famoso fisico delle particelle che vanta anche una collaborazione con l'Università di Urbino, che ha studiato a fondo la composizione del tallero che sarà utilizzato per la sfida, il Magnifico Tallero Antico; ora conosce la disposizione di ogni singolo atomo di nickel e ha inserito tutti i dati nel cervellone elettronico del partito; inoltre quel giorno il partito si affiderà ai migliori meteorologi del paese per valutare i venti dominanti, l'umidità dell'aria, la temperatura, la pressione atmosferica, le eventuali scoregge della giuria, e metterà anche questi dati nel supercomputer per prevedere come la moneta sarà influenzata dall'attrito con gli elementi e su quale faccia avrà più probabilità di cadere, bandiera o fica. I Demomaterialisti sono fatti così, loro si fidano solo di quello che vedono e che possono studiare con un serio approccio scientifico.
I Popolarculisti si affidano ad un metodo profondamente diverso. Cercano il più fortunato tra i notabili di partito e si affidano completamente al suo culo. Ma vogliono davvero il più fortunato. Solo chi vincerà 10 gare di bandiera o fica consecutive avrà l'onore di partecipare alla sfida dell'anno per governare il paese. E mi pare una bella prova: c'è solo una probabilità su 1024 (un mezzo elevato alla decima) di vincere per 10 volte di seguito, e questo sembra sufficiente come dimostrazione di culo. E' come prendere l'unico asso di cuori in un enorme mazzo tra più di mille due di picche...
Loro procedono così: selezionano 1024 partecipanti tra i più promettenti funzionari del partito e li fanno sfidare a coppie in 512 gare. Un giudice assegna ad uno sfidante la bandiera e all'altro la fica (intesa come faccia della moneta, con decenza parlando) e poi lancia la moneta. I vincitori delle 512 gare si batteranno poi in altre 256 sfide, e poi i vincitori in altre 128, eppoi in 64, fino ad arrivare ai quarti, alle semifinali e alla finale. Il vincitore della finale avrà quindi vinto necessariamente 10 volte consecutive e sarà il più adatto alla sfida. I Popolarculisti sono fatti così, loro vogliono provarle le cose, non si affidano al caso, sono giocatori seri. Alcuni sostenitori hanno provato a far notare che in questo modo di procedere è lo stesso meccanismo del torneo che porta per forza ad un vincitore e che presi 1024 sfigati comunque uno di loro vincerà le 10 gare, non ci sono dubbi... ma il partito ha ormai deciso.
I due campioni sono pronti alla sfida, il candidato dei Demomaterialisti, il prof. Giackìus, ha passato tutta la notte tra aggiornamenti meteo, lettura delle ultime pubblicazioni sulla teoria della dinamica quantistica e informazioni sottobanco sulla dieta dei giurati, ha le occhiaie ma crede nelle sue possibilità; il candidato dei Popolarculisti, Franz Rigurgito, assessore al traffico dallo stomaco debole e vincitore della dura selezione, ha passato la notte con le concubine di Partito che facevano parte del primo premio del torneo di lancio della moneta appena vinto, anche lui ha le occhiaie (meglio le sue!), anche lui crede nelle sue carte.
Il Gran Ciambellano è pronto con il Magnifico Tallero Antico, tutte le televisioni della repubblica sono collegate in diretta, l'intera nazione attende il momento cruciale.

martedì 13 luglio 2010

Dilemma #4 - "Play and Run" o "Plain Run"

Ore 23.00 di un lunedì qualunque. Franco entra in un bar di Via degli Etruschi e trova Gianni solo al bancone che chiacchiera con il barista.

Franco: Gianni! Non pensavo di trovarti qua. Anzi, non pensavo nemmeno esistesse questo posto.
Gianni: Oh, Franco. A dire il vero nemmeno io. Stavo andando a dormire ma ho sentito uno strano impulso, una spinta che mi ha costretto a rimettermi le scarpe ed uscire di casa. Come se una voce, anzi un gruppo di voci reclamassero la mia presenza qui. Se non fossi certo che è impossibile direi che i miei fans mi hanno reclamato a grande richiesta.
F: E' successa la stessa cosa a me. Non so a chi possa interessare ma è come se qualcuno ci rivolesse insieme. Il problema è che non so perchè... di che stavi parlando prima che entrassi?
G: Mah, del più e del meno. Il barista mi diceva che è un appassionato di calcetto, il giovedì sera si incontra con gli amici per la solita partitina.
F: Anch'io adoro fare sport, calcio e tennis soprattutto, ma da giovane giocavo anche a basket. Lo sport è insostituibile, ti tiene in forma e la parte competitiva è sempre stimolante.
G: Certo. Mi hai parlato però di sport in cui la componente ludica è predominante (guarda caso c'è sempre una palla di mezzo)...
F: E per forza! Già lo sport è fatica, se non ci metti il gioco che senso ha? Io per esempio non concepisco quelli che corrono giusto per correre, o che fanno vasche su vasche in piscina così, senza uno scopo. Lo sport è gioco, confronto con gli altri, anche competizione, critica al compagno di squadra, sfottò all'avversario, e poi spogliatoio con annesse battutacce pesanti su squadre di serie A e su attricette di serie B.
G: Non so, questa cosa dello sport indissolubilmente legato al gioco e al casino, allo spirito di squadra e al cameratismo non mi ha mai convinto del tutto. E' vero che alcuni aspetti della disciplina sportiva vengono esaltati dal gruppo, come la lealtà verso il compagno, il rispetto delle regole, il controllo dell'aggressività, il servizio alla squadra. Ma lo sport è anche altro. Io ad esempio adoro correre la mattina presto, soprattutto nei freddi mesi invernali. Scendere in strada quando è ancora buio pesto, e le uniche anime per strada sono i gattari e un muratore dell'est che aspetta il primo autobus ha un fascino del tutto particolare. Man mano che ti riscaldi cominci a sentire il battito del tuo cuore che aumenta il ritmo, e senti che quell'accelerare è completamente in armonia con tutto il resto del corpo, con l'affaticamento dei muscoli, con il ritmo del respiro, con lo svuotarsi della mente. Percepisci che in quel momento correre è proprio quello che devi fare, il tuo presente irrinunciabile, e sei completamente immerso in questo, senza distrazioni, senza rimpianti o rimorsi, solo pura corsa... queste sensazioni fanno parte dello sport, e non riesci a sentirle in mezzo agli incitamenti dei compagni, alla concentrazione sulle regole del gioco o sul risultato della partita.
F: Ammazza che rottura di palle, non riuscirei a resistere nemmeno cinque minuti... eppoi completamente solo... no, non fa per me
G: Mah, dovresti provare, magari ti accorgi che non riesci più a farne a meno...

 

mercoledì 9 giugno 2010

Dilemma #3 - TT

Gianni: Ciao Franco, tutto bene? Come è andata a finire al tuo amico Luigi?
Franco: Oh, Gianni. Mah, gli ho riferito quello che mi hai detto, all'inizio ha cercato di convincere me (come se fosse questo l'importante) che la sua persona, il suo "io", non è legata al suo cervello, ma alla sua anima, che il cervello è solo un organo fisico, allo stesso livello del cuore e del rene, e che se cambi il cuore o il rene sei sempre te stesso, quello che sei lo sei nell'anima, non negli organi. Poi si è fermato a riflettere. L'ho sentito farfugliare qualcosa come "e se non fosse così?", è scoppiato a piangere terrorizzato e ha rinunciato all'operazione.
G: Accidenti, un bel trauma, ma penso abbia preso la giusta decisione.
F: Il chirurgo che lo segue, quello che gli voleva rifilare il trapianto di cervello, gli ha proposto una nuova soluzione. Pare che la malattia del mio amico sia dovuta ad una serie di cellule fuori controllo: queste cellule hanno caratteristiche ben identificabili ma sono talmente diffuse che non possono essere distrutte senza un enorme danno per il cervello. Il chirurgo ha quindi pensato di utilizzare una di quelle macchine di cui parlano i giornali, quelle che stanno mettendo a punto all'università di Urbino per il teletrasporto. In pratica si tratterebbe di fare, con la macchina A, una scansione molecolare tridimensionale del corpo di Luigi, cervello compreso, in modo da analizzare e memorizzare in maniera precisissima non solo forma, sostanza e posizione di ogni singola cellula, ma anche lo stato complessivo delle connessioni di ognuna con le altre, la rete neuronale, i "circuiti" della memoria, insomma tutto quello che fisicamente è il corpo di Luigi. Una volta completata l'analisi, tutta l'informazione passerebbe alla macchina B, che ricostruirebbe i singoli componenti del corpo a partire da atomi di "materia prima" (ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, calcio, fosforo e poco altro) per arrivare ad una replica esatta di Luigi, con tutte le cellule al posto giusto e tutte le interconnessioni e gli stati che facevano parte del suo vecchio corpo al momento della scansione. Ovviamente non verrebbero replicate quelle cellule fuori controllo (è stato accertato che non hanno nessun altro apporto al funzionamento del corpo se non il danno che provocano). Ah, dimenticavo, prima di passare le informazioni alla macchina B, la macchina A distruggerebbe il vecchio corpo.
G: 'Azz...
F: Luigi sta pensando seriamente alla proposta. Ormai come sai nessuno mette più in dubbio il corretto funzionamento delle macchine A e B e del processo di teletrasporto, la cosa è stata accertata da migliaia di esperimenti su cose e animali. Il problema è che non è mai stato provato con le persone, e non si sa che tipo di "inconvenienti" può causare.
G: Lo immagino. Il problema è ancora una volta lo stesso: il nuovo corpo creato dalla macchina B sarà il vero Luigi o sarà solo un organismo con le sue caratteristiche fisiche ma senza Luigi dentro? L'io, la propria persona, è una semplice conseguenza di uno schema neurale e fisico o è qualcosa di distinto, non fisico e non scansionabile dalla macchina A e pertanto non ricostruibile dalla macchina B?
F: Già, mi pare proprio un bel dilemma.
G: E poi, solo a titolo speculativo, perchè non lo auguro a Luigi, supponiamo un guasto durante il processo di teletrasporto. Un guasto all'apparenza banale. Voglio dire, supponiamo che tutto va per il verso giusto e che il nuovo Luigi sia davvero Luigi, con le sue sensazioni, la sua unità personale e la sua autoconsapevolezza, ma che la macchina A si inceppi e, prima di passare le informazioni alla macchina B, non procede alla distruzione del corpo "vecchio" che quindi rimane vivo. Si avrebbero due Luigi allo stesso tempo. Attenzione, non dico solo due corpi uguali in tutto e per tutto, ma due persone Luigi, un io in due corpi, una sensazione di unità in due luoghi diversi, un unico diviso. Chi dei due sentirebbe di essere Luigi? I sostenitori dell'esistenza dell'anima in questo caso dove la mettono? In uno dei due o la dividono a metà?
 

venerdì 4 giugno 2010

Dilemma #2 - Trapianto

Gianni: Uelà Franco, tutto bene? Ti vedo scosso.
Franco: Non sai cosa è successo al mio amico Luigi. Ha la mia età, tutta la vita davanti, e gli hanno appena diagnosticato una malattia incurabile ed inesorabile al cervello. Lui è distrutto, vuole continuare a vivere...
G: Ma non c'è proprio più nulla da fare?
F: Beh, i medici gli hanno proposto una soluzione. Vorrebbero sperimentare su di lui una tecnica pionieristica che permette di trapiantare il cervello da un donatore, proprio un cervello completo di tutto, personalità, ricordi, sensazioni, aspettative, timori, insomma tutto quello che crediamo sia associato a quella massa molliccia e informe che risiede nel nostro cranio... hanno già individuato il potenziale donatore, è un maestro elementare morto in un incidente stradale.
G: Accidenti, vista così non mi pare un grande affare.
F: Perchè dici questo?
G: Pensaci bene. Dopo l'operazione Luigi avrà esattamente le stesse sensazioni, gli stessi ricordi, la stessa personalità, lo stesso "io" del maestro. Più che un trapianto di cervello dal maestro a Luigi, mi pare un trapianto di corpo da Luigi al maestro.
F: Vuoi dire che sarebbe preferibile essere nei panni del maestro morto e non in quelli di Luigi che è ancora vivo?
G: A me puzza di fregatura...

martedì 1 giugno 2010

Dilemma #1 - Veg

Gianni: Dai, è stata una dura mattinata, andiamo a mangiarci una bistecca.
Franco: Vengo volentieri ma niente bistecca, sono diventato vegetariano.
G: Vegetariano? E come mai?
F: Guarda, ho letto un libro che mi ha cambiato la vita, si chiama Liberazione Animale, di Peter Singer, ne avrai sentito parlare, è una specie di bibbia dell'animalismo. In poche parole afferma che uccidere animali per cibarsene causa loro dolore, e che da un punto di vista morale non esiste differenza di valore tra il dolore di un essere umano e quello di un animale, allo stesso modo in cui non esiste differenza tra le razze umane o fra i sessi. Quindi gli animali dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini, primo tra tutti quello a non essere uccisi. Altrimenti sei specista, ossia credi alla differenza di valore tra le specie come decenni fa si credeva alla differenza di valore tra le razze o i sessi.
G: Mmh, quindi, fammi capire, facciamo il caso di un pollo nato e cresciuto in una fattoria, che razzola felice nel prato qualche mese e poi, raggiunto il peso giusto, viene macellato e cucinato, tu non lo mangeresti per il fatto che ha gli stessi diritti alla vita e a non sentire dolore che ha un essere umano, giusto?
F: Certo! immagina le sofferenze che deve patire il pulcino dal momento in cui viene tolto dall'affetto della madre fino a quando, tradito dalle stesse mani che lo hanno nutrito, viene preso per le zampe, sgozzato, spiumato, sbudellato, cotto... che orrore!
G: Già, vista così suona sicuramente male. Il problema è che non è così che funziona l'evoluzione. Voglio dire, i polli sono una specie che si è coevoluta con gli esseri umani. Circa diecimila anni fa i polli hanno trovato più conveniente, per la sopravvivenza della specie, stringere una alleanza evolutiva con gli uomini: avrebbero ricevuto protezione dai predatori, cibo con regolarità, possibilità di riprodursi e di accrescere notevolmente di numero, in cambio di uova e di carne. Se non ci fosse stato questo patto probabilmente i polli (o i loro antenati) sarebbero estinti da tempo. Invece oggi sono una delle specie più diffuse al mondo. La specie dei polli, vista come specie e non come singoli individui, ci ha guadagnato, no? E' vero che questo ha il prezzo del sacrificio dei singoli esemplari, ma è tutta l'evoluzione che funziona così: l'importante non è la sopravvivenza del singolo esemplare, quanto del set genico, in altre parole della specie con quelle caratteristiche.
F: Stai scherzando? Vuoi dire che il pollo ha deciso di trascorrere una vita di sofferenze solo per sopravvivere a livello di specie? Ma tu lo sai come vive un pollo in batteria? Ha a malapena lo spazio per muovere il collo per mangiare, gli tagliano il becco alla nascita per evitare che a causa dello stress mangi i suoi vicini, è alimentato a antibiotici e grassi animali, che non sono certamente i cibi per i quali si è evoluto, solo per farlo crescere più in fretta in condizioni igieniche pazzesche, e poi viene macellato crudelmente. E tu me la chiami vita? Pensi che il "patto di coevoluzione", come lo chiami tu, sia equo?
G: Beh, questo è diverso, io ti ho fatto l'esempio di un pollo che fa la vita da pollo, che razzola in un prato, che se ha fortuna riesce anche a passare qualche mese a fare il gallo o la gallina e a riprodursi, che concima il terreno con i suoi escrementi e che poi fornisce carne a chi lo ha allevato. Questa è vera vita da pollo, è per questo che c'è stato il "patto" (anche se non è proprio corretto pensare all'evoluzione come avente scopi). Sono d'accordo che alcuni sistemi di allevamento siano talmente industriali che considerano gli animali come macchine da proteine, in cui da un lato entrano materie prime (mais e medicinali) e dall'altro forniscono prodotto finito (carne). In questi casi è come se l'uomo avesse tradito il "patto". Ma questo è un problema del tipo di allevamento, non del mangiare carne in se stesso. Sarebbe sufficiente selezionare i prodotti di cui alimentarsi, scegliendo di cibarsi solo di polli che hanno fatto "il pollo", e non la macchina da proteine.
F: Bah, non so. A me pensare che ho sul piatto un pezzo di carne morta, un cadavere, fa un certo effetto. Davvero non riesco più a mangiarne, è più forte di me. Prendo quel panino con rucola e pomodoro, grazie.

giovedì 22 aprile 2010

La Spazzola

C'era una volta, in un lontano sistema solare, un pianeta chiamato Ktorr, abitato dal popolo del Ktorriani. In questo pianeta sorgevano una decina di città, tra le quali la più grande era Ciprut.
I Ktorriani di Ciprut (chiamati Ciprutsi) credevano che attorno al loro Sole, assieme al pianeta Ktorr e ad un'altra manciata di pianeti simili ma disabitati, orbitasse anche una piccola spazzola rossa.
I Ciprutsi credevano fermamente a questa ipotesi, benchè non si potesse verificare in alcun modo (la spazzola a detta degli anziani del popolo era troppo piccola per essere vista anche dai più potenti telescopi), e ci credevano per il solo fatto che, secoli prima, alcuni saggi ne avevano postulato l'esistenza.
Il culto della spazzola crebbe negli anni, si diffuse in tutta la popolazione, e gran parte della cultura Ciprutsa si sviluppò attorno a questa certezza: la spazzola c'era e poteva influenzare la vita dei Ktorriani.
Sorsero le scuole della spazzola, dove i giovani Ciprutsi apprendevano tutti i dettagli del culto, e i templi della spazzola, dove il popolo si riuniva periodicamente per parlare della spazzola e dove si ascoltava il discorso dello stregone, l'unico deputato ad interpretarne i desideri.
Una volta alcuni Ciprutsi misero in dubbio l'esistenza della spazzola, ma quando cercarono di spiegare le loro ragioni furono cacciati dalla città e bollati come eretici; in seguito, per evitare che il culto della spazzola fosse di nuovo messo in dubbio, gli stregoni costruirono un rigido sistema di regole in cui imbrigliarono il culto: chiunque andasse contro queste regole era ritenuto eretico.
Nelle città vicine sorsero dei culti molto simili a quello della spazzola, ma che da quello differivano in alcuni particolari (il colore del manico o la lunghezza delle setole), e gli stregoni di queste città, per preservare il loro culto e distinguerlo dagli altri, attuarono la stessa tecnica dei Ciprutsi: costruirono dei sistemi rigidi di regole, al di fuori delle quali non si poteva andare.
I sistemi di regole cambiavano quindi da una città ad un'altra in alcuni dettagli (i giorni da dedicare alla spazzola, le formule magiche da recitare, i desideri che si attribuivano alla spazzola) e tutto ciò portò ad una acerrima rivalità tra le città di Ktorr: non erano permessi matrimoni tra persone che credevano in due spazzole diverse e i simboli dei rispettivi culti non potevano essere denigrati senza sollevare aspre lotte.
E' solo un abbozzo ma già mi ricorda qualcosa...