mercoledì 28 dicembre 2011

L'ultimo di Allen


- ti va di venire al cinema?
- dipende, che vorresti vedere?
- c'è l'ultimo di Woody Allen...
- non riesco a beccare un film decente di Allen da quasi vent'anni. Ogni volta provano a convincermi con la solita frase, ma io non ci casco più.
- dicono che questo sia diverso...

sabato 24 dicembre 2011

Perbacco che festa (reprise)

Spiegare una battuta o cercare di interpretarla è quanto di più antipatico e antiumoristico si possa immaginare, è l'ultima azione che qualsiasi intrattenitore possa permettersi, non si fa, mai! Quindi ci provo.
Due post più in basso (non vorrete mica un link per muovervi di due minuscoli post più in basso, no?) citavo la battuta di Gassman da Il Sorpasso. Poco fa, mentre lavavo i piatti, ci riflettevo. Il Vittorio nazionale esce da un impasse che potrebbe sembrare paralizzante (o almeno per me lo sarebbe stata, capirete, offendere una madre, qualcuno ucciderebbe per molto meno) con un repentino quanto impunito cambio di atteggiamento. Ora si chiamerebbe faccia tosta, nel film è semplice guasconeria, e la si perdona all'istante. La si perdona perchè si riconosce in quel dietrofront l'atteggiamento tipicamente gradasso dell'italico boom economico, quando si pensava di avere il mondo in tasca e il futuro a disposizione, e si credeva bastasse una frase malandrina ben piazzata per risolvere le questioni più spinose o imbarazzanti. E questo carattere sbruffone ma simpatico ci veniva riconosciuto nel mondo. Non è il meschino voltafaccia al quale siamo stati abituati negli anni del berlusconismo, o la paraculaggine degli yuppies anni 80, ma ne è l'embrione non ancora patologico. Nel film è una gradevole spacconata, una battuta al fulmicotone, ma poi, con il tempo, diventerà arroganza e prepotenza.
Ecco come si rovina un popolo. (E una battuta).

giovedì 22 dicembre 2011

Siete medici o caporali?

Neanch’io, come il ciclofrenico, ho fiducia nei medici. Credo nel processo scientifico con cui vengono raggiunti risultati in campo medico, questo sì. Ma da qui a dire che i medici siano scienziati, beh, ce ne vuole.
Innanzitutto la medicina è una di quelle discipline che hanno il non trascurabile intoppo di confrontarsi con un oggetto di studio che è un fenomeno complesso. Anzi, il fenomeno complesso: l’essere umano. Come ho già accennato altrove, ci sono campi scientifici dai risultati sicuri, lineari, prevedibili, come la meccanica newtoniana o la geometria euclidea; e ci sono altre discipline che analizzano fenomeni complessi, e devono rinunciare alla linearità e alla sicurezza dei risultati che a torto si crede debbano essere proprie delle scienze, accontentandosi invece di conclusioni basate su metodi statistici, quindi non applicabili con certezza al singolo caso. E in questa categoria ricadono la biologia, l’economia, la demografia, la dinamica dei gas, e sicuramente tutte le discipline mediche.
Quindi la medicina come disciplina ha principi corretti, ma poi applicarli all’uomo è molto difficile. Ed è a questo che dovrebbero servire i medici.
A quanto pare ce ne sono di due categorie: quelli che davvero hanno capito l’essenza del loro mestiere e con intuito ed esperienza riescono ad ottenere risultati ottimi su singoli casi clinici; e poi i caporali, quelli che io chiamo gli impiegati della medicina, che hanno studiato bene la lezione e la eseguono in maniera pedissequa e indiscriminata, senza porsi dubbi, senza passione, senza studio del singolo caso, stando solo attenti ad applicare con cura il protocollo per evitare problemi. I medici in cui mi sono imbattuto finora appartengono tutti al secondo gruppo.
Ad esempio il mio dentista. Quattro giorni fa mi ha devitalizzato un molare. Dopo l’interventino, fatto in verità a regola d'arte, con strumenti asettici, spruzzi continui di disinfettante, aghi monouso, e con tutte le cure del caso, bello bello mi prescrive una megacura a base di antibiotici e antinfiammatori, che sarebbe stata sufficiente per una ferita da Kalashnikov nella giungla vietnamita. Così se ci si gonfia siamo già coperti, mi dice. A parte che si gonfia a me e sarei io eventualmente ad essere coperto, e il plurale empatico/paternalistico te lo puoi ficcare in cantina.
E poi che significa? Che vuoi stare al sicuro? Come a dire, tu rimpinzati di farmaci come un cavallo, così domani non mi disturbi all’ora di cena dicendo che hai bua al dentino. E’ un po’ come se il funzionario di banca con il quale ho stipulato un mutuo mi dicesse: ok, cominciamo a versare gli interessi di mora, così se fra qualche mese sarà in ritardo con il pagamento, siamo già coperti. Il funzionario non lo fa. Sta a vedere che le banche sono più oneste dei dentisti.
Il concetto è: prima mi si gonfia il dente, poi prendo gli antibiotici; prima ho un ritardo nei pagamenti, poi verso gli interessi di mora. Vogliamo capovogere il processo logico solo per far cenare tranquillo il dentista? Pensateci, la prossima volta che vi prescrivono la profilassi antimalarica per andare in vacanza a Malaga.

PS: non ho preso nulla. Il dente sta benone e il dentista ha cenato in pace. Doppio risultato con il minimo sforzo, solo buon senso.

mercoledì 21 dicembre 2011

Perbacco che festa

L’altro giorno, mentre mi recavo ad una festa per bimbi in versione serale (queste feste di settenni con ammessi genitori somigliano sempre più a riunioni tra quarantenni con ammessi bambini, in cui l'unico obiettivo è zittire i marmocchi affidandoli ad animatori prezzolati per avere modo di chiacchiericciare più agevolmente dell’ultimo derby o dei saldi di stagione) l'altro giorno, dicevo, ascoltavo su Radiodue uno dei soliti sondaggi. Stavolta i due conduttori chiedevano quale fosse la battuta più memorabile tratta da un film. C’era chi citava C’era una volta in America di Leone, quando Dominic, colpito a morte in uno scontro tra gang, mormora Noodles, sono inciampato…, chi ricordava una frase da Arancia Meccanica altrettanto memorabile, ma che ora non ricordo (non era memorabile?). Io avrei citato una battuta di Gassman ne Il Sorpasso. Provo ad andare a memoria:
Gassman (rivolto a Trintignan e con una pesante cadenza romana): …e chi è ‘sta cicciona?
Trintignan: Mia madre
Gassman (stavolta in perfetto italiano e con la voce più impostata): Perbacco! Bella donna!

martedì 20 dicembre 2011

Tacchino per primo

Mi dicono che ieri Tremonti, durante una intervista a In 1/2 Ora, abbia annunciato una sua proposta di modifica costituzionale: dare due schede elettorali a chi ha meno di 40 anni, in modo che abbia doppio peso nel voto. Sappiate che l'umile Taccuino 22 ci era arrivato prima, sebbene proponendo un algoritmo un tantino più complesso. Non voglio arrivare a pensare che Tremonti non legga questo blog, quindi si tratta di un palese caso di plagio.
Ok, Giulio, fa pure, se si tratta di dare spazioaiggiovani, ma perlomeno ringrazia...

giovedì 15 dicembre 2011

Bentornato Corrado

Ieri mi è capitato di imbattermi nell’ultimo spettacolo di Corrado Guzzanti, Recital, trasmesso su Cielo e disponibile anche in streaming sul web (cercatevelo da soli, non posso mica mettervi un link per tutto…).
Confesso di non averlo visto per intero, ma mi pare di aver individuato nella religione il filo conduttore di tutti gli sketch: temi che sembrano fuori luogo in un varietà comico, come l’acronismo dei dogmi, le rigidità di alcune posizioni, o addirittura il senso ultimo della vita, sono trattati in modo pungente ma mai volgare. Lo consiglio vivamente, i personaggi sono spassosi e i testi molto intelligenti.
Chiudo questa breve segnalazione con una battuta di Padre Pizzarro (uno degli innumerevoli personaggi di Guzzanti) che a mio parere riassume a meraviglia la posizione dell’intero Recital:
Intervistatrice: ma allora qual è il senso della vita, qual è il suo fine?
Padre Pizzarro: Il senso della vita è la vita, il fine della vita è la fine.
Punto.

martedì 13 dicembre 2011

The Tube e la topologia

La prima cosa che noti di Londra è il suo sistema circolatorio, le sue vene sotterranee, The Tube, la metropolitana, insomma.
E’ un vero e proprio monumento, il primo e l’ultimo che visiti, l’unico ancora vivo e pulsante nonostante un secolo e mezzo di età. La simbiosi tra la città e la sua Underground è un circolo virtuoso. L’efficienza londinese dipende totalmente dai suoi collegamenti sotterranei, e The Tube dipende in gran parte dall’efficienza e dal senso del dovere di chi ci lavora, unito a quell’orgoglio tipicamente inglese per le cose fatte bene. Quest’orgoglio è testimoniato ogni dieci minuti dagli annunci che danno gli altoparlanti: good service on all London Underground lines. Come a dire, tutto sotto controllo, tranquilli, che a voi ci pensiamo noi. Un messaggio che dà sicurezza, niente da dire. Sembra che i lavoratori della Underground abbiano scoperto una delle regole più semplici ed efficaci della vita: ognuno qui fa il proprio dovere, senza eccedere ma senza alcuna impressione di svogliatezza. Fare il proprio lavoro, niente di più ma anche, e soprattutto, niente di meno. Il confine tra una cosa fatta bene e una cosa fatta e basta è labile ma cruciale, e divide la qualità dalla sua assenza. E la qualità qui si percepisce anche nella mappa distribuita gratuitamente in tutte le stazioni.

La mappa della metro di Londra è diventata un simbolo, un marchio utilizzato un po’ dovunque: oltre che nelle stazioni la trovi anche sulle tazze, sulle magliette, sui ciondoli da turisti. E’ un riuscitissimo caso di applicazione della topologia a un caso concreto. La mappa fu ideata nel lontano 1931 da Henry Beck, un disegnatore di 29 anni dipendente della Trasport for London, ed è ad oggi uno degli esempi più riusciti e imitati nel mondo per efficacia del messaggio e per gradevolezza dell'effetto finale. E’ alquanto anomala come mappa in quanto non è assolutamente accurata nel senso comune del termine: le distanze sono tutte sbagliate, i tracciati sono ipersemplificati, i tratti rappresentati come retti non sono così nella realtà, le curve e le deviazioni sono annullate (sono utilizzate solo solo linee orizzontali, verticali o inclinate di 45°), spesso sono errate anche le direzioni e una tratta nord/sud potrebbe essere disegnata come est/ovest. Ma, nonostante ciò, rimane una delle mappe meglio comprensibili che mi siano finite in tasca.
Il trucco si nasconde dietro tre semplici regole topologiche:
·    le stazioni facenti parte di una stessa linea sono rappresentate su uno stesso tracciato anche sul disegno, e l'ordine delle stazioni è rispettato
·    sono rispettati i punti di intersezione delle linee (i nodi)
·    le stazioni rappresentate a nord del Tamigi sono davvero a nord del Tamigi (e quelle rappresentate a sud sono a sud)*
Queste piccole regole (soprattutto le prime due) rispondono a tutto ciò di cui il viaggiatore underground ha bisogno: dove salire, quale linea e direzione prendere, dove cambiare linea, dove scendere. Il resto (distanza tra le stazioni, lunghezza dei percorsi, direzione delle linee) è superfluo e la sua rappresentazione rimane a totale discrezione del disegnatore, che deve rispondere solo ad esigenze di chiarezza espositiva e di gradevolezza visiva. E il risultato è ben visibile.
La foto in alto è la mappa nella versione topologica di Beck, quella qui a fianco è invece in versione "tradizionale" e risale al 1908. Si notano subito nella mappa tradizionale vaste aree inutilizzate (le aree periferiche) a fronte di altre densamente popolate di stazioni (le aree centrali) con ovvi problemi di lettura e di maneggevolezza. In confronto la versione Beckiana è un capolavoro di equilibrio. I londinesi lo sanno, ed è per questo che la mettono sulle tazze da thé.
See you soon.


(* cfr K. Devlin, "I problemi del millennio"; immagini da Wikipedia)

martedì 6 dicembre 2011

Simulazioni

Se fossi in voi passerei qualche decina di minuti su queste interessanti simulazioni di fenomeni astronomici e fisici.
Ma siete anche liberi di non farlo.

lunedì 5 dicembre 2011

Diario di una domenica qualunque


Pioggia e schiarite, 12° e vento leggero di libeccio, 67.2 kg.

Paese sull'orlo del baratro ma ottimismo nell'aria. Il premier rinuncia allo stipendio, il ministro del welfare si commuove mentre chiede sacrifici sulle pensioni e io riesco finalmente a sostituire lo stop al motorino.

Le targhe alterne hanno scombussolato i piani dei romani, ma va bene così se si tratta di far qualcosa per l’aria che respiriamo. Oggi cerco fiducioso nei siti istituzionali, ma niente dati sull’operazione. Ha funzionato? Quante auto in meno hanno circolato? L’aria è migliorata? E’ un’iniziativa efficace o serve solo a sostenere la domanda di auto Euro 5? Un alone di mistero copre tutto.

Per uccidere la noia porto tutta la famiglia alla festa di un settenne. Animazione quantomeno peculiare, basata esclusivamente su scariche di testosterone: giochi che esaltano la fisicità, bastonate e schivate, urla e gol, sudore e capitomboli, maschi abbracci e pacche sulle spalle. Le femmine si devono accontentare di osservare la battaglia dal bordo arena.

Intercetto brandelli di conversazione.
-Come va?
-Insomma, ho avuto un mal di pancia con scacozzo che mi ha incollato al cesso per ventiquattr'ore.
-E come ti è venuto?
-Mah, sarà stato un colpo di freddo alla pancia.
Un colpo di freddo. Alla pancia. Io sull'enciclopedia medica questo disturbo non l'ho mica trovato. Eppure ho cercato bene, sia sotto la c che sotto la f, ma niente da fare. Comunque conviene stare riguardati, che il colpo di freddo, nonostante la sua scarsa popolarità nelle pubblicazioni di settore, è sempre in agguato.

giovedì 1 dicembre 2011

Splinder - Ultimo atto

Ci sono degli esseri verso cui provi odio. Li disintegreresti, li annulleresti, vorresti cancellarli insieme alla memoria delle loro gesta, in modo che nessuno ne senta più parlare, né sappia che sono mai esistiti. A volte questi esseri sono persone, altre volte sono entità astratte, luoghi virtuali.
Io odio Splinder.
Vorrei non averlo mai conosciuto. Vorrei cancellare quel giorno in cui, leggendo un blog che mi pareva ben fatto, ebbi un’ispirazione e mi ritrovai a dirmi: perché non provi a scrivere qualche cacchiata anche tu? Sì, quelle stupidaggini che ogni tanto ti passano per la testa e che scribacchi su foglietti volanti. Ok, ma come farlo? Fu proprio allora che, senza troppo sforzo, notai una piccola e invitante scritta azzurra in alto a destra della schermata che stavo visualizzando, che diceva più o meno: apri un blog con noi, è facilissimo.
E io, sventurato, risposi.
Cominciò così un periodo stimolante ma amaro. Stimolante perché avevo l’occasione di dare un’apparenza più o meno ordinata a qualche piccola idea, buttandola giù in una veste tipografica dignitosa e non sul solito quadratino di carta igienica; come sovrappiù, chi fosse passato da quelle parti e le avesse lette, avrebbe potuto reagire ad esse in qualche modo, e questo mi spingeva a fare del mio meglio. Amaro perché tutto questo lo facevo sulla peggior piattaforma blog che abbia visto la luce sul nostro pianeta, una vera cagata assurta a livello di software.
Qualcuno (uno) dei miei lettori dopo poco ha provato a farmi desistere e a farmi cambiare piattaforma: fallo finchè sei in tempo, diceva quel saggio, ed io ma no, ho già pubblicato quattordici (14!!!) post, è un’attività ben avviata, il mio indirizzo lo conoscono già in quattro, forse cinque te compreso, non mi va di buttare tutto all’aria.
Poi, qualche settimana fa, ho dovuto farlo per forza, visto che quel cesso di Splinder avrebbe presto chiuso i battenti, e ormai se ne parlava ovunque nel mondo degli scrittori da carta igienica. E visto che quella merda di Splinder è l’unica (l’unica!!!) piattaforma per blog che non permette l’esportazione dei contenuti, allora ho preso i post e i relativi commenti uno per uno e li ho copiati sul nuovo blog. Una fatica immane, i commenti tutti appiccicati tra loro, le date un po’ a cacchio, ma poco importa se il risultato è liberarsi da quella palude di melma informe.
Infine, ed è storia dei giorni nostri, proprio di ieri, mi è arrivata una mail. Diceva più o meno: Cari bloggers, Splinder chiude. Ma, nella sua magnanimità, ti offre lo strumento per non perdere il tuo blog. Potrai trasferirlo altrove con le date giuste e con tutti i commenti. Inoltre ti dà la possibilità di reindirizzare le visite al tuo nuovo blog.
Soprassediamo sul fatto che il blog l’ho scritto io, che i contenuti mi appartengono e che quindi la possibilità di trasferirlo me l’avresti dovuta dare da sempre, brutto stronzo, e che non è così che si trattengono i clienti, legandoli al bancone. Ok, mi son detto, calma, forse ho la possibilità di fare le cose con più ordine. Potrei approfittarne per rimettere tutte le cose a posto, date e commenti, pazienza per la fatica che ho perso a farlo a mano con mediocri risultati appena quindici giorni fa.
Ma anche nell’ultima fase della sua vita Splinder si è confermato quello che era: un agglomerato informe di materia fecale. L’export non funziona, dà come risultato un file che non è salvabile in locale. Eppoi non ci sono i commenti. Eppoi le date sono sballate. Eppoi i post non ci sono tutti, ne mancano almeno una decina.
Allora ho pensato, bene, rimaniamo calmi, non faccio l’esportazione, mi accontento del lavoro di copia incolla fatto a mano. Ora però sfrutto questa figata del reindirizzamento.
Provo.
Riprovo.
Ririprovo.
Non funziona neanche quello.
L’apoteosi della cessità totale, l’acme della schifezza, la vetta delle monnezze.
Questo è stato Splinder.