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lunedì 4 febbraio 2013

Alcune palle travestite da matematica


Un'ipotesi come un'altra
I teoremi matematici hanno almeno una cosa di buono: sono sicuramente corretti. Una volta dimostrato, un teorema non può essere più smentito. In questo la matematica è una disciplina unica, perfetta: non ci sono dubbi, niente rischi di errore, niente balle, o palle che dir si voglia (1). Quanto stabilito da Euclide duemila e passa anni orsono è ancora valido e attuale.
Le palle a cui si allude nel titolo non dipendono quindi da fantomatici errori contenuti in affermazioni matematiche, ma dalle conclusioni che a volte si raggiungono applicando tecniche proprie della matematica al mondo reale.
Questo capita nei casi in cui con strumenti matematici si provano ad analizzare fenomeni che matematici non sono, ad esempio quando si entra nel campo delle scienze sociali, dove l'essere umano e la complessità del processo decisionale la fanno da padrone. Spesso le ipotesi poste alla base del tentativo di descrizione si rivelano talmente limitative che l'intero modello fa acqua. L’applicazione acrobatica degli strumenti matematici a campi che matematici lo sono poco è meravigliosamente esemplificata della storiella della mucca sferica (2): ad un primo sguardo sembra un’esagerazione, un paradosso per liquidare e mettere in ridicolo la fallacia di alcune rappresentazioni teoriche della realtà. Ma provate a prendere un manuale di microeconomia, al capitolo riguardante il modello della concorrenza perfetta.
Troverete più o meno questo genere di mucche sferiche:

  • il bene prodotto è uguale per tutti gli operatori,
  • le imprese operano in condizione di "informazione perfetta", ossia tutti gli operatori dispongono di informazioni complete in merito ai costi di produzione, ai prezzi, al salario reale di equilibrio, ecc.,
  • le imprese che operano sul mercato hanno una dimensione atomica, tale da non poter influenzare in alcun modo i prezzi di vendita, e non esistono barriere all'ingresso e all'uscita dei concorrenti,
  • i fattori della produzione sono perfettamente sostituibili fra loro, ossia possono essere riallocati alla produzione di diversi beni, mantenendo sempre la stessa produttività marginale,
  • c'è libertà di entrata o uscita dal mercato,
  • non ci sono tasse,
  • non c'è progresso tecnologico.

Di fronte all’irrealtà di queste ipotesi la mucca sferica della storiella mi pare tutt’altro che inaccettabile.
Ora, posso capire e accettare il ragionamento in base al quale, date tali premesse, il modello economico che ne consegue abbia caratteristiche di ottimale allocazione delle risorse. Il problema qui è capire se l’estrema semplificazione introdotta dalle ipotesi sia ancora aderente alla realtà che si pretende di descrivere.
Se si prova a spiegare il mondo con questi modelli, se si afferma che una teoria del genere è in qualche modo rappresentativa della realtà e che se ne possono trarre indicazioni su come funziona un sistema complesso come quello dei mercati e dell'allocazione delle risorse, si rischia solo di raccontare balle spacciandole per teorie corazzate di coerenza matematica.
Queste storture accadono spesso quando si prova ad applicare la linearità di alcuni concetti matematici ad un mondo che lineare non è: quello umano, caratterizzato dalla complessità decisionale e da meccanismi di azione/reazione spesso imprevedibili. Quando si parla di sistemi complessi come lo sviluppo economico, la meteorologia, la crescita demografica, gli ecosistemi, semplificare introducendo ipotesi stringenti è sempre pericoloso: si rischia di escludere proprio i fenomeni importanti, quelli che contano di più, e il pericolo reale è quello di raccontare frottole. Grosse palle, appunto. Ok, il predicozzo è finito.

A proposito di palle e matematica: mi è stato recentemente riferito che una delle poche volte che G. , l'amica di mia figlia V., non ha gridato, Matematica? che palle! (a dire il vero non userebbe mai quest'espressione vetero adolescenziale, è troppo educata per farlo, ma ho pochi dubbi sul fatto che i neuroni che le si accendono quando sente parlare di numeri e operazioni sono gli stessi che provocherebbero in un diciassettenne degli anni ottanta l'espressione suddetta) insomma l'unica volta è stata quando ho provato a spiegarle come calcolare la tabellina del nove con le dita. Ne ho parlato diffusamente qui, ma vi faccio un riassunto:

Metodo manuale per la tabellina del nove:
Mettete le mani aperte di fronte a voi, con i palmi rivolti in avanti. In questo modo il mignolo della mano sinistra è uno, l'anulare è due e così via, fino al mignolo della destra che è dieci.
Mettiamo di voler calcolare nove per sette. Allora si abbassa il dito sette, l'indice della destra. Le dita che rimangono alzate alla sinistra dell'indice abbassato sono le decine del risultato che cerchiamo, quelle a destra sono le unità. A sinistra rimangono alzate sei dita, a destra tre: sessantatre (3). Tranquilli, funziona sempre. Provate a proporlo ai vostri piccoli matematici in erba, vedrete che, almeno per una volta, non diranno Matematica? che palle!

Note:
  1. Dal dizionario dei sinonimi e contrari Treccani: balla, bubbola, bugia, ciancia, falsità, (fam.) fandonia, fanfaluca, (lett.) fola, (non com.) frasca, invenzione, menzogna, (fam.) palla, panzana, (non com.) pispola, storia.
  2. Dice pressappoco così: un giorno un contadino affidò ad un gruppo di matematici l’incarico di aiutarlo ad aumentare la propria produzione di latte. Quando ricevette la relazione finale, rimase decisamente interdetto: la prima frase era si consideri una mucca sferica
  3. Tratto da : Il segreto delle tabelline e la Banda delle 3 emme di Mario Sala Gallini, disegni di R. Van Wyk, edizioni Mondadori.

martedì 22 maggio 2012

Infinite density

I sensi si allenano, e ognuno di essi ha la sua palestra. Viaggiare in metropolitana ha acuito la mia percezione visiva dei volti e delle fisionomie. Una volta arrivato in banchina riesco con una sola occhiata panoramica a scandagliare tutti i visi che sono ad una ragionevole distanza e che non sono coperti da ostacoli e a captarne il grado di pericolosità. Intendo come pericolosità non il rischio che possano rivelarsi borseggiatori, stupratori o terroristi internazionali, ma che possano essere dei rompicoglioni. E' questo il genere di persone da evitare come la peste se, come il sottoscritto, hai intenzione di sfruttare al massimo il tempo di viaggio casa-ufficio ufficio-casa, un’ora netta in totale, per leggere il tuo libro. E se il libro in questione è Infinite Jest, di David Foster Wallace, il lavoro preparatorio deve essere svolto alla perfezione. In banchina sono come una specie di Terminator con la visione monocromatica rossa su sfondo nero, di ogni volto passo in esame i valori cefalometrici, li confronto con il database dei miei ricordi e sintetizzo il tutto in un fattore di rischio, dieci per il massimo, in caso di collega con il quale proprio in quella settimana sto intrattenendo intensi rapporti lavorativi (per cui sarebbe difficile non sprecare tutto il viaggio in vuote considerazioni di circostanza), zero per il minimo, in caso perfetti sconosciuti, passando per i vari gradi medi dei conoscenti da salutare con un cenno, del colleghi di qualche anno addietro da liquidare con brevi convenevoli, o dei suonatori underground, rischiosi solo in quanto rompitimpani.
Una volta che la scansione è terminata, se il risultato è a basso rischio, è possibile posizionarsi in uno degli estremi della banchina, quelli che di solito sono spopolati a causa del diffuso timore che i vagoni o non arrivino fin lì (estremo di prua) o che oltrepassino quel punto (estremo di poppa), tirar fuori il quasi chilo di carta rilegata con copertina violacea, bilanciare i pesi e attaccare.
La mia scelta di scrivere di IJ mentre lo leggo è dovuto ad alcuni innegabili vantaggi. Posso commentare a caldo le sensazioni, le difficoltà, i punti salienti, le idee che vengono dalla lettura, senza posticiparle a quando poi non avrebbero più senso, almeno per me. E posso utilizzare il blog come blocco degli appunti. Lo svantaggio, di contro, è che si rischia di dire parecchie cazzate. Ma di questo non ci siamo mai preoccupati troppo, in queste pagine.
Andando avanti con la lettura mi accorgo che la gara di velocità a chi finisce per primo IJ ipotizzata qualche giorno fa con alcuni lettori di questo blog nei commenti al post precedente, è per me improponibile. E non perché siano sopraggiunti momenti di crisi dovuti alla difficoltà dei periodi, al poco interesse dei personaggi o alle mille distrazioni esterne. Tutt'altro. E' che il librone oltre ad essere bello grosso è talmente denso da richiedere ampi momenti dedicati a rilettura e riflessione, e un’ansia da competizione non sarebbe d’aiuto.
Mi è ad esempio capitato di soffermarmi un'intera giornata leggifera tra pagina novantaquattro e pagina cento, nel bel mezzo di un capitolo APAD. In questo paragrafone di sette pagine, che a sua volta costituisce la seconda parte di un capitolo la cui prima è il meraviglioso racconto delle crisi di astinenza da Bob Hope di Kate Gompert, compare per la prima volta Gerhard Schitt, una sorta di Grunf del gruppo TNT, non so se avete presente, con occhialoni, casco di cuoio e motocicletta BMW con il sidecar, che qui all'ETA fa l’Allenatore Capo e il Direttore Atletico. Le sue chiacchierate peripatetiche con Mario Incandenza, che a malapena riesce a capirne le parole, figuriamoci i concetti, ma chissà come riesce a rispondere sempre a tono e a porre domande pertinenti, è fenomenale. Basterebbero questi scambi a rendere le pagine degne di essere trasportate, insieme al resto dei nove etti, in giro per Roma. Ma c'è pure il contenuto, la storia della Dinamica Extra-Lineare accennata dalla nota trentaquattro e il superamento della matematica del Caos con dimostrazioni di inesistenza post Godeliane, l’assonanza tra Kant e Cantor, e poi lo Zen e gli scacchi, e il tennis come gioco infinitamente denso. E alla fine, su tutto, c'è questa domandona formulata da Mario che non si capisce come sia venuta fuori, come sia riuscito lui a condensare l’intero capitolo in una semplice ma azzeccata questione, e più o meno chiede, Ma allora il fine della vita è la morte? E che differenza ci sarebbe tra l'una e l'altra? e la risposta del crucco: Nessuna. Tranne che hai l'opportunità di giocare.
C’è poco da correre, sono pagine dense. Come il tennis. Come le ragnatele di Vedova Nera Usa.

Una nota, forse banale, sullo stile: gli eterogenei capitoli di IJ hanno una caratteristica in comune: all’inizio sono poco ospitali, è ostico cominciarli, e poi, quando stai cominciando a entrarci dentro, a comprenderli, finiscono. La festa finisce quando cominci a divertirti. Come a dire: avete capito i meccanismi? Vi piace? Beh, arrivederci. Immagino sia l’unico modo che DFW ha scovato per parlare di così tante cose per così tante pagine senza rischiare l’abbandono.

Come commiato vi lascio due chicche:
La ricostruzione dell’Enfield Tennis Academy nel disegno qui in basso, e questa succosissima e dettagliata visione panoramica (è anche possibile scaricare il lenzuolone in pdf) delle interrelazioni tra i personaggi di IJ, con alcune mappe e la struttura degli anni di cui abbiamo già accennato nel post precedente. Devo dire che ad oggi non sento ancora il bisogno impellente di consultarla come riferimento, ma probabilmente sono troppo indietro per apprezzarla appieno. Ieri ci ho navigato un po’, mi pare ben fatta. Immagino comunque che per capire a fondo tutte le implicazioni a cui queste interrelazioni accennano non basta uno schema, per quanto dettagliato sia. Ho come il sospetto che per dire tutto servirebbero milleduecentottantuno pagine fitte fitte, né una in più, né una in meno.

venerdì 10 febbraio 2012

Appunti di un pendolare metropolitano



mappa metropolitana di Roma (da Wikipedia)

Il vagone della metro non è strapieno. Il Comune di Roma, con l'allarme neve lanciato ieri sera e con i tempestivi provvedimenti di chiusura di scuole e uffici pubblici, è riuscito a tenere a casa buona parte dei pendolari. Il clima è sereno, niente ressa oggi.
Ad una prima occhiata il movimento all'interno del vagone pare armonico nel suo complesso ma, analizzando più da vicino i meccanismi che agiscono alla base, il tutto si fa più farragginoso e caotico. Un po' come un formicaio, che osservato da sufficiente distanza pare un ben regolato sistema in movimento, una singola unione d'intenti, e invece, se analizzato a livello di singole formiche, manifesta la confusione, i particolarismi, i singoli caratteri. 

giovedì 22 dicembre 2011

Siete medici o caporali?

Neanch’io, come il ciclofrenico, ho fiducia nei medici. Credo nel processo scientifico con cui vengono raggiunti risultati in campo medico, questo sì. Ma da qui a dire che i medici siano scienziati, beh, ce ne vuole.
Innanzitutto la medicina è una di quelle discipline che hanno il non trascurabile intoppo di confrontarsi con un oggetto di studio che è un fenomeno complesso. Anzi, il fenomeno complesso: l’essere umano. Come ho già accennato altrove, ci sono campi scientifici dai risultati sicuri, lineari, prevedibili, come la meccanica newtoniana o la geometria euclidea; e ci sono altre discipline che analizzano fenomeni complessi, e devono rinunciare alla linearità e alla sicurezza dei risultati che a torto si crede debbano essere proprie delle scienze, accontentandosi invece di conclusioni basate su metodi statistici, quindi non applicabili con certezza al singolo caso. E in questa categoria ricadono la biologia, l’economia, la demografia, la dinamica dei gas, e sicuramente tutte le discipline mediche.
Quindi la medicina come disciplina ha principi corretti, ma poi applicarli all’uomo è molto difficile. Ed è a questo che dovrebbero servire i medici.
A quanto pare ce ne sono di due categorie: quelli che davvero hanno capito l’essenza del loro mestiere e con intuito ed esperienza riescono ad ottenere risultati ottimi su singoli casi clinici; e poi i caporali, quelli che io chiamo gli impiegati della medicina, che hanno studiato bene la lezione e la eseguono in maniera pedissequa e indiscriminata, senza porsi dubbi, senza passione, senza studio del singolo caso, stando solo attenti ad applicare con cura il protocollo per evitare problemi. I medici in cui mi sono imbattuto finora appartengono tutti al secondo gruppo.
Ad esempio il mio dentista. Quattro giorni fa mi ha devitalizzato un molare. Dopo l’interventino, fatto in verità a regola d'arte, con strumenti asettici, spruzzi continui di disinfettante, aghi monouso, e con tutte le cure del caso, bello bello mi prescrive una megacura a base di antibiotici e antinfiammatori, che sarebbe stata sufficiente per una ferita da Kalashnikov nella giungla vietnamita. Così se ci si gonfia siamo già coperti, mi dice. A parte che si gonfia a me e sarei io eventualmente ad essere coperto, e il plurale empatico/paternalistico te lo puoi ficcare in cantina.
E poi che significa? Che vuoi stare al sicuro? Come a dire, tu rimpinzati di farmaci come un cavallo, così domani non mi disturbi all’ora di cena dicendo che hai bua al dentino. E’ un po’ come se il funzionario di banca con il quale ho stipulato un mutuo mi dicesse: ok, cominciamo a versare gli interessi di mora, così se fra qualche mese sarà in ritardo con il pagamento, siamo già coperti. Il funzionario non lo fa. Sta a vedere che le banche sono più oneste dei dentisti.
Il concetto è: prima mi si gonfia il dente, poi prendo gli antibiotici; prima ho un ritardo nei pagamenti, poi verso gli interessi di mora. Vogliamo capovogere il processo logico solo per far cenare tranquillo il dentista? Pensateci, la prossima volta che vi prescrivono la profilassi antimalarica per andare in vacanza a Malaga.

PS: non ho preso nulla. Il dente sta benone e il dentista ha cenato in pace. Doppio risultato con il minimo sforzo, solo buon senso.

lunedì 28 novembre 2011

La risposta a tutto

Si, lo so, il blog di Astutillo l'ho segnalato innumerevoli volte, ho messo anche un link permanente proprio qui a destra, ma non c'è niente da fare: quando leggo cose come questa, devo assolutamente offrire il mio umile taccuino come sponda perchè l'opera dell'eccelso rimbalzi ancora di più nell'etere del web.

sabato 26 novembre 2011

Navigare nel denaro

Ho passato la prima mezzora della mattinata a navigare su questa singola pagina http://xkcd.com/980/
Per apprezzare è necessario entrare nell'immagine e ingrandire.
Istruttivo.

domenica 9 ottobre 2011

Caos #3 - Pasticcio di pongo

Una barriera mi ha tenuto lontano dall’argomento caos per tutto questo tempo: la difficoltà di spiegare di cosa vorrei parlare. Sono settimane che cerco di raccogliere le idee e di annodare i vari fili che mi penzolano in testa dopo le letture sull'argomento.
Non essendo un matematico, i percorsi che seguo nel tentativo di affrontare argomenti tecnici sono spesso poco ortodossi, scollegati, e soprattutto e imperdonabilmente poco tecnici e rigorosi, nel senso che mi accorgo sempre più di non essere in grado di spiegare in maniera esaustiva tutti i necessari dettagli della teoria. Pertanto quello che man mano ho raccolto, e che provo a riproporre qui in alcuni aspetti, non solo è assolutamente passibile delle correzioni di un lettore più avvezzo di me ai segreti della materia, ma potrebbe addirittura essere privo della stessa possibilità di essere corretto in quanto talmente incoerente da risultare incomprensibile o privo di senso.
Me ne scuso sin d'ora.
Però ormai mi sono imbarcato in questa cosa, che nonostante tutto continua ad affascinarmi, e quindi provo a buttarmi nella mischia. Al massimo ci rimetterò il paio di lettori.

Di solito nei libri di testo perbene si comincia con una definizione, anche se a volte questa, lungi dall’essere di aiuto alla comprensione, crea ancor più confusione o, nel migliore dei casi, aspettative troppo precoci.
La migliore definizione di caos (ovviamente in senso matematico) che ho trovato si trova nel saggio di Ian Stewart Dio gioca a dadi?: il caos è comportamento stocastico che si verifica in un sistema deterministico.

Accenniamo un po’ di storia: negli ultimi due millenni la Geometria è stata quella euclidea. Punti, rette, piani. Cerchi e sfere, triangoli e coni. Galileo diceva che il libro del mondo è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. Una struttura che aveva il suo fondamento filosofico nella teoria platonica delle idee, per ogni cono che costruisci in maniera approssimata nel mondo reale esiste Il Cono, una figura geometrica perfetta per le quali valgono determinate caratteristiche e regole di costruzione. Si sapeva che le strutture concrete rappresentavano un'approssimazione della figura ideale e si credeva che la geometria euclidea fosse la sola capace di interpretare la realtà in maniera utile. Tuttora questa geometria rappresenta l'unica che si studia nelle scuole (a parte corsi universitari molto specialistici) e l'unica che l'uomo medio conosce. Ma Mandelbrot, uno dei profeti della nuova visione della natura, dice le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, il fulmine non si propaga in linea retta.
A tal proposito riporto una storiella simpatica: un giorno un contadino affidò ad un gruppo di matematici l’incarico di aiutarlo ad aumentare la propria produzione di latte. Quando ricevette la relazione finale, rimase decisamente interdetto: la prima frase era si consideri una mucca sferica
La geometria euclidea, e la matematica che c'è dietro, rappresenta sempre un'estrema esemplificazione della realtà, e si occupa di eccezioni, di casi particolari, di esempi limite a ben vedere rarissimi nella loro essenza: tra miliardi di curve chiuse forse, e dico forse, solo una è un cerchio. Inoltre si basa su equazioni stabili. Si prende un’equazione e ci si chiede quali sono i valori che la soddisfano. Il fatto è che la realtà non è così semplice.
Non so se avete un robot da cucina, qualche lettore più attrezzato potrebbe addirittura essere in possesso di un meraviglioso Vorwerk Bimby, uno strumento di altissima precisione, lame levigate ed allineate, motore senza vibrazioni, ingranaggi perfettamente molati. Il Bimby potrebbe essere preso come esempio di un mondo deterministico in miniatura. In base al comune sentire, se io metto due cubi di pongo nel Bimby, uno rosso e uno blu, e voglio impastarli insieme, sarà sufficiente calcolare la posizione esatta dei due blocchi e poi sarà possibile prevedere, ad ogni giro delle lame, il destino dell’amalgama, ossia dove si troverà ogni pezzetto di pongo al giro successivo. Ebbene, il caos dice che ciò non è possibile. E’ vero che siamo in un sistema deterministico (il Bimby), che conosciamo lo stato fisico iniziale (la posizione, forma e dimensione dei due blocchi di partenza), e che per i primi giri di lama le linee di pongo rosso dentro al pongo blu e di pongo blu dentro al rosso cominciano in maniera apparentemente regolare e precisa, e sembra che nulla impedisca che ciò continui per sempre, con una regolarissima miscela in cui è possibile prevedere un mescolamento regolare, continuo, simmetrico, speculare. Ma non è così per molto: già al quinto o sesto giro delle lame con ogni probabilità nascerà il caos. All’inizio compare come una insignificante deviazione in una linea di pongo blu, ma poi diventa presto talmente incontrollabile da perdere ogni simmetria, ogni prevedibilità. Ma non nel senso che non è possibile in teoria sapere al sesto giro cosa succederà, in fondo se il sistema è deterministico si può per ipotesi, ma nel senso che non è possibile trovare un andamento regolare e leggibile dello sviluppo dell’amalgama. Non si può prevedere con regolarità l’andamento del caos.
Provo a ridirlo in maniera diversa: c’è sicuramente un’equazione, per quanto complessa possa essere, che ci permette di dire, in linea teorica, cosa succederà ad ogni giro di lame, in fondo siamo in un sistema deterministico e conosciamo con buona precisione tutte le variabili. Però, rispetto alle soluzioni di un’equazione lineare, qui c’è qualcosa in più. C’è l’iterazione. Ad ogni giro, lo stato fisico del pongo risultato del giro precedente costituisce il punto di partenza del giro successivo. E non è detto che questa seconda situazione di partenza sia così regolare e perfettamente intellegibile come la prima. È qui che nasce il caos, nel senso che una variazione infinitesima (e quando dico infinitesima potrebbe essere anche la vibrazione di un autobus che passa a tre isolati di distanza) dopo una mezza dozzina di giri può prendere una strada del tutto imprevedibile e crescere in maniera esponenziale. La dinamica è così complessa, così sensibile alle micro condizioni iniziali da apparire casuale. Oppure al contrario, può andare tutto come previsto e liscio come l'olio, con volute regolari e periodiche, onde perfette di rosso e blu. Ordine e caos diventano due manifestazioni distinte del determinismo sottostante.

Questo fenomeno apparentemente strano è più reale e conosciuto di quanto pensiamo: utilizziamo infatti equazioni lineari per i sistemi poco complessi (sistemi fisici chiusi, passaggi matematici, semplici reazioni chimiche), ma dobbiamo ricorrere alla statistica per quelli più complessi come i fenomeni sociali, la crescita demografica, lo sviluppo economico, il movimento dei gas, gli ecosistemi. Lo facciamo proprio perché si tratta di sistemi sì deterministici, ma sicuramente non lineari e con all'interno vari cicli di retroazione, o feedback, quindi molto instabili e dinamici, in due parole complessi e caotici. L'unico modo per prevedere i risultati di un'azione di politica economica o di prevedere il movimento di una molecola in un gas è ricorrere a strumenti statistici.

Questa cosa si può spiegare anche matematicamente, tramite la funzione logistica. Non è altro che una semplicissima equazione di secondo grado (assomiglia a quella della parabola che si studia al liceo) solo che al posto di disegnarla per i valori che la soddisfano, proviamo ad iterarla. In poche parole si calcola il valore e lo si inserisce di nuovo nell’equazione di partenza, e poi si calcola il risultato e lo si riutilizza, in una sorta di flusso circolare, di anello retroattivo (non vi ricorda in qualche modo Gödel?). Poi si studia l’andamento dei risultati ottenuti e si analizzano gli intervalli in cui i risultati sono caotici. In pratica ci costruiamo un piccolo esperimento per ricreare il caos in casa, sotto condizioni ben determinate e quindi isolabili ed analizzabili, fino a spiegare come sia possibile che un battito di ali di farfalla a Tokio possa causare un uragano a Rio, ma senza sporcare per terra. Meraviglia di un esperimento controllato.
Ci ho provato in prima persona a fare questa cosa, e in effetti è stato semplice, a dimostrazione che il caos è dovunque: si è trattato solo di impostare una formula in excel e disegnare un paio di grafici. La cosa mi ha dato godimento e meraviglia e vorrei riproporvela per discuterne i risultati in uno dei prossimi post (chissà quando).
Per ora vi mollo, andate pure a scrostare il pongo dal Bimby, che se si secca so’ problemi.

giovedì 22 settembre 2011

Popinga su carta

Come ho già avuto modo di scrivere, il blog di Popinga mi ha sempre affascinato. A prima vista intimorisce: i titoli dei post hanno l’odore della biblioteca del nonno, scrolli con il mouse verso il basso per saggiare la lunghezza degli scritti e quasi ti si sloga un polso, getti uno sguardo alle illustrazioni e ti imbatti in incisioni settecentesche e seriosi ritratti ad olio. Poi ti dici, ok voglio proprio vedere a che punto può arrivare un blog, qual è il suo limite in pesantezza, e ti trovi inaspettatamente immerso in un vero e proprio vademecum della cultura scientifico-umanistica, una successione di avvincenti digressioni sulla storia della fisica, componimenti in versi frizzanti ed originali, recensioni di volumi tanto vetusti quanto imperdibili, excursus storici su questioni astronomiche ancora irrisolte, tutte questioni con una caratteristica in comune: prima non le conoscevi, ma da oggi non puoi assolutamente farne a meno.
Beh, alla fine è diventato uno dei miei blog di riferimento, quando c’è un nuovo post del Pop puoi star sicuro che l’argomento è di prim’ordine, ci si chiude in stanza e ci si concentra, c’è solo da imparare.
Allora mi sono detto, se quest’uomo ha scritto un libro, avrà concentrato nelle sue pagine la summa della sua tuttologia. E dopo un po’ di peripezie sui bookstore online, alla fine l’ho trovato (tranquillo, Pop, ho controllato, ora è di nuovo disponibile ovunque).
Io sono un tradizionalista, non riesco ancora ad abituarmi all’ebook, e un libricino con una c sola e ben rilegato mi dà ancora un gusto feticistico. Non sono rimasto per nulla deluso da questo "Giovanni Keplero aveva un gatto nero", sottotitolo Matematica e fisica in versi, edito da Scienza Express, che è condensato sia nella veste tipografica, tascabilissima come si addice ad un volumetto da portarsi dietro per un bel po’, sia nel contenuto: è piccolo e denso, come ogni libro che ha dichiaratamente vari livelli di lettura.
Ci si può soffermare all’inizio sulla regolarità e la piacevolezza della metrica, che oltre a dare un ritmo alla lettura (consigliabile declamare ad alta voce), dà anche una piacevolezza estetica alla pagina (se la guardi da una certa distanza c’è armonia nella disposizione delle macchie nere d’inchiostro sul foglio, caratteristica visibilissima nel fib, componimento in versi strutturato in base alla successione di Fibonacci).
Poi cominci a leggere e ci trovi l’Universo e Tutto Quanto: nei versi del Barozzi trovano comodo alloggio idrodinamica, costruzioni geometriche, mondi a due dimensioni, relatività, chimica, logaritmi, biografie, forze fondamentali, fisica quantistica, logica. Ovviamente, vista la limitatezza di noi umani, può capitare che in alcune pagine trovi un riconoscibile riferimento ad un noto teorema, in altre solo un richiamo ad un flebile ricordo scolastico, in altre ancora ti imbatti in concetti astrusi che riesci a malapena ad intuirne l’argomento e rimani con la sensazione di aver perso almeno un paio di livelli di lettura; ma l’accurata scelta della struttura metrica fa sì che la lettura sia sempre un godimento, anche se non si capisce un accidente del contenuto. Non si può mica essere tutti Popingidi...
La maniera migliore per descrivervi il menù è farvi assaggiare qualcosa.

Il limerick Sondaggio è ingegnoso: al suo interno nasconde la spiegazione di tutti i suoi livelli di lettura, in un autoreferenzialismo che trovo geniale.

Secondo i dati di una recente rilevazione,
Esistono al mondo 11 gruppi di persone:
01: Chi usa i numeri binari;
10: Chi non ha interessi ferroviari;
11: Tutti coloro che fan confusione.

Quest’altro limerick con aggiunta finale, Complessità, potrebbe risollevare le sorti del mio per ora patetico tentativo di scrivere alcuni post sull’argomento caos (non leggere per nessun motivo qui e qui), se non fosse che l’ha pensato e composto il Pop, e io già è tanto se riesco ad apprezzarlo:

Se un sistema fisico è molto complesso
è arduo prevedere che accadrà adesso.
Un'oscillazione in un pelo di cotica
può portare a una reazione caotica
e la digestione diventar insuccesso
(La pesantezza può durar delle ore,
fino al formarsi di un nuovo attrattore).

Con Antonio Meucci,  spassoso clerihew, ci siamo divertiti parecchio con le bimbe, lo scorso fine settimana. La storia della rocambolesca registrazione del brevetto del telefono è ormai celeberrima e persino io sono riuscito a riassumerla alle piccole, in modo da far loro apprezzare ancora più questi versi che suonano come una gradevole filastrocca:

Antonio Meucci
morì per suoi crucci:
se la spassava in un motel
e ai Brevetti ci andò Bell.

Ok, che dire come finale, se non sottolineare di nuovo che di alcune poesie non ci ho capito assolutamente nulla, ma il bello è anche questo… mi toccherà approfondire e imparare per soddisfare la curiosità stuzzicata. E non è questo che chiediamo ad un buon libro?

mercoledì 14 settembre 2011

Segnalazione solipsistica

Riesco ad immaginare pochi argomenti più seducenti di questo, e nessuno che si possa segnalare su un blog casto come Taccuino.

martedì 6 settembre 2011

Ne vale la pena

Trovo sempre estremamente affascinanti i post di quest'uomo. Se resisterete all'impatto iniziale non vi deluderà.

lunedì 22 agosto 2011

Sondaggio: Tacchini in vacanza

Cari tacchini, ormai siete millanta, quindi rappresentativi come campione per un sondaggio. Sarà anche un modo per contarci, ma mi raccomando, non vi accalcate che il server di splinder non è solido come quello del popolo delle libertà.
Come molti, anch'io in vacanza leggo. A dire il vero lo faccio un po' tutto l'anno, il mio luogo preferito è la metropolitana, e confesso che stare con gli occhi chini sul libro è anche un ottima tecnica per evitare inutili convenevoli con il collega  incontrato casualmente. La vacanza è comunque un ottimo momento per attaccare il mattone che non abbiamo osato affrontare d'inverno. Io come al solito lavoro per voi e, cercando di approfondire, anche se con scarsi risultati, quei problemini riguardanti il caos che prima o poi cercherò di propinarvi, sto leggendo "Dio gioca a dadi?" di Ian Stewart. Al momento sono finito in un vicolo cieco, perso tra una selva di attrattori strani e una palude di equazioni differenziali, ma conto di venirne fuori in maniera viscida, saltando a piè pari tutto ciò che non capisco. Oltre a questa solenne rottura di palle sto leggendo insieme a mia figlia il primo tomo della saga di Harry Potter, che al contrario è piacevole e appassionante. Infine sto provando a far sopravvivere una tradizione nata nel corso delle passate villeggiature con il mio amico tesoriere: mi sono posto l'obiettivo di portare a termine tutte le settimane enigmistiche che vengono pubblicate durante le ferie.
Ma ora tocca a voi: che cosa state leggendo? Vi siete appassionati al classico noir o risolvete cruciverba? Vi stuzzica più il gossip o l'informazione politica? La letteratura russa o il teatro inglese? Avete tirato fuori un vecchio Lando Treppalle o vi accontentate di questo blog? Chiedo a tutti di rispondere, anche a te che leggi le mie corbellerie con silenziosa disapprovazione o con superiore distacco. Se siete gelosi delle vostre scelte letterarie rispondete perlomeno "presente" seguito da una firma o un acronimo. Avete tempo fino a tutto settembre. La partita serale a machiavelli mi aspetta, statemibbene.

sabato 6 agosto 2011

Caos #2 - Secondo Prologo: del come spesso in Italia non si fa buona divulgazione scientifica

Prima di addentrarmi nella presentazione della teoria del caos, o di quello che ci ho capito, vorrei allungare ancora un po’ la brodaglia e approfondire alcuni aspetti che ritengo fondamentali e che riguardano due modi opposti di fare divulgazione scientifica.
Dicevo qualche post fa che mi era stata consigliata caldamente la lettura di Formicai, imperi, cervelli, un noto saggio di Alberto Gandolfi che parla di caos e complessità. Ho purtroppo dovuto constatare che i miei pregiudizi sugli studiosi che in Italia si occupano di divulgazione scientifica erano fondati. Di solito non leggo mai la letteratura scientifica (parlo sempre di pubblicazioni divulgative) italiana, preferisco sempre i saggi anglosassoni, sia perché sono di prima mano (di solito la saggistica italiana segue a ruota i best seller anglofoni, vedi la rinascita darwiniana, la moda di Gödel, o quella dei numeri primi), sia perché l'approccio è sicuramente più onesto.
Ma andiamo con ordine.
Farò un elenco delle cose che non mi sono piaciute del libro di Gandolfi, prendendolo ad esempio di buona parte della recente letteratura divulgativa scientifica italiana, ma un qualsiasi testo di Oddifreddi sarebbe andato bene (non ho avuto modo di leggere Amedeo Balbi, ma seguo con molto interesse i suoi blog e ho l'impressione che potrei essere smentito dai suoi scritti). Nel corso della (noiosa) trattazione che segue a volte il libro verrà messo a confronto con "Caos", un best seller americano scritto da James Gleick e più volte citato da Gandolfi come la naturale pietra di paragone del suo saggio per la parte dedicata alla teoria del caos.

Difetti di Formicai, imperi, cervelli:
- Innanzitutto già dalle prime pagine si parte con un attacco un po' scontato e molto superficiale al cosiddetto riduzionismo nella scienza, ossia l'approccio in base al quale per conoscere un fenomeno è necessario conoscerne le parti che lo compongono. In questo modo non si rende piena giustizia al riduzionismo, ed un approccio scientifico intero viene ridotto ad una affermazione banale e facile da smontare. In base all'approccio riduzionistico conoscere realmente le parti che compongono un fenomeno include la conoscenza anche delle relazioni tra di loro. Marvin Minsky, il pioniere dell'intelligenza artificiale che viene citato a pag 51, viene presentato come un oppositore al riduzionismo, quando a mio parere è un riduzionista puro, solo che lo è in senso completo, non banale. Con ciò non voglio comunque alimentare una faida tra olismo e riduzionismo che è ormai anacronistica e completamente fuori luogo.
- a pag 70 si presenta il meccanismo fondamentale del caos e il celebre modello di Lorenz in maniera quantomeno fuorviante. In poche parole si mostra come spesso gli algoritmi alla base di molti fenomeni fisici e naturali sono non-lineari, pertanto a piccole variazioni dell’input corrispondono enormi e difficilmente prevedibili variazioni dell’output. Alla prima lettura mi sono detto, beh, mi pare normale che il risultato cambi se la differenza nell'input è dello 0,2%, non mi pare una differenza trascurabile. E mi era sfuggito il fulcro del caos, il fatto che il risultato non cambia solo perche cambia l'input dello 0,2%, ma in una zona di caos cambierebbe anche con 0,00000000000000000000000001% e di un valore difficilmente determinabile con precisione in anticipo. Questo meccanismo mi è risultato chiaro solo dopo aver letto il libro anch'esso divulgativo ma di ben altro spessore di Gleick e dopo aver smanettato con la mappa logistica (vedi il futuro post Caos #3, che se continuo di questo passo maturerà insieme alle castagne).
- si ripete più volte che i modelli del caos sono non deterministici. Ma non è cosi, sono deterministici nel senso che rispondono a regole ben precise, solo che non seguono un andamento lineare nei risultati, e pertanto sono difficilmente prevedibili. Il punto non è l'indeterminismo ma la non linearità, che è ben altro concetto.
- in parecchi punti del libro si parla di caos come sinonimo di caso, ma non ci azzecca proprio niente. Il caos di cui parla chi se ne occupa seriamente è un caos a suo modo ordinato, forse difficile da prevedere, ma per nulla casuale. E’ vero che il libro di Gandolfi è incentrato più che altro sulla complessità, ma scivoloni di questa portata sulla questione del caos, strettamente collegato alla complessità, sono imperdonabili.
- a pag 80  e poi a pag 222 si parla di evoluzione, e si dice che le mutazioni selezionate si accumulano del genotipo senza manifestarsi nel fenotipo. Si dice che nel percorso evolutivo spesso (spesso? E quando?) a livello fenotipico non succede nulla per lunghi periodi, ma sotto la cenere, a livello genotipico la spinta evolutiva si muove, è in fermento. Ma come fanno ad essere selezionate queste mutazioni, queste spinte, se non si manifestano nel fenotipo? La base della teoria dell'evoluzione è proprio questa: la selezione avviene a livello fenotipico, nell'incontro tra organismo e ambiente, altrimenti che ti selezioni? Anche questa mi pare un’affermazione quantomeno superficiale.
- continuo: a pag 90 si dice testualmente: "non bisogna aver studiato fisica quantistica per capire che il cervello è ad un livello più alto di un programma per computer". Se c'è una cosa di cui ho imparato a dubitare sono queste frasi retoriche del cazzo. Che significa non bisogna aver studiato…? Che non sai spiegarmi quello che hai affermato e quindi speri che io lo intuisca o me ne convinca da solo? È una cosa talmente naturale che non ha bisogno di spiegazioni? Se la scienza avesse proceduto con passi come questo non sarebbe andata molto lontano. La scienza è andata avanti a forza di esperimenti che hanno ribaltato ciò che sembrava ovvio, e di paradossi apparenti che poi non si sono rivelati tali. A parte l'inopportunità della frase retorica in un testo che pretende di avere un minimo di credibilità, non trovo così scontato che il cervello sia ad un livello diverso rispetto ad un programma di computer; probabilmente, anzi sicuramente è molto più complicato di un programma di computer ma ad un livello diverso significa che ha all'interno un intero sistema di complessitá in più, come il rapporto tra un organismo completo e una sua singola cellula. E non mi pare per ora dimostrato.
- ma la cosa che mi fa più incazzare è che fin dall'inizio Gandolfi mette le mani avanti riguardo alla notazione numerica: "tranquilli, leggete con fiducia perché non presenterò formule matematiche, solo una ma, giuro, piccolissima". Gli dispiace, la avrebbe eliminata con piacere se avesse potuto, ma purtroppo l'equazione logistica ha proprio dovuto metterla, ma il povero lettore non se ne deve preoccupare, che può tranquillamente saltarla se gli fa paura, tanto non aggiunge nulla al senso del libro. Non aggiunge nulla?!?! Ma se è l'unica cosa che potrebbe chiarire qualcosa in tutto il libro! L'unica che mi ha stimolato a approfondire l'argomento! E che cos'è questo terrore per le formule matematiche? E’ tipicamente italiano, appartiene ad un paese in cui se non hai letto Manzoni non sei nessuno ma puoi benissimo non sapere cose l'entropia. Un paese in cui i professori di latino sono quelli che dettano legge nel consiglio di classe e quelli di scienze e biologia non li caca nessuno. Quando a pag 181 fa capolino la piccola equazione logistica, dopo altre scuse, si sorvola quasi completamente sul suo reale significato, perdendo un'occasione più unica che rara di rendere un servizio alla comprensione del caos.
- e poi lo stile metodologico seguito: in Formiche manca qualsiasi approfondimento sul contesto storico all’interno del quale la nuova teoria si è sviluppata: nulla sulle spinte accademiche, nulla sui profili biografici dei pionieri della materia, quasi nessun aneddoto sui passi fatti, tutti elementi che sono invece ben amalgamati in Caos, e rendono il saggio di Gleick molto più godibile e ben collocato storicamente.

Beh, direi che qui metto il punto. Questa cosa qui sopra forse è inutile ai fini dell’annunciata saga bloggistica sul caos che prima o poi dovrei decidermi a portare avanti e incomprensibile per quelli che Formiche non lo hanno letto, però c’è l’avevo sulla punta di quell’affare lungo e sensibile che spesso serve nell’atto sessuale (la lingua) e dovevo dirlo, anzi scriverlo da qualche parte. E perché non sul MIO blog?

martedì 21 giugno 2011

Caos #1 - Prologo: uno spottone per Mr Jobs

È mia intenzione iniziare un nuovo serial bloggistico, questa volta dedicato alla teoria del Caos. Sono stato sfruguliato a questo malsano proposito da alcuni miei lettori (...uno...) che mi hanno consigliato la lettura di "Formicai, imperi e cervelli". Il libro l'ho poi letto, non è che mi abbia acchiappato moltissimo, anzi, secondo me ha un mucchio di difetti, e dedicherò il prossimo post ad approfondirli; ma ha avuto il pregio di avermi incuriosito ad un approfondimento dell'argomento. Le regole che mi pongo nell'affrontare l'improbo compito sono le stesse che ho seguito nella serie su Gödel (questo e i precedenti); vi rinfresco le principali:
1- regola della neutralità temporale: tra due post sul Caos possono passare anche mesi senza che questo significhi che abbia abbandonato il mio intento: sto semplicemente meditando,
2- regola della variabilità dell'oggetto: nel frattempo posso scrivere altri post che parlano di pittura, di tende da sole o di riproduzione dei pinguini e dimenticarmi del Caos per tutto il tempo che desidero,
3- regola della libertà di ricerca: posso scopiazzare da varie fonti senza alcun obbligo di citarle,
4- regola rafforzativa generale: posso fare un po' come cazzo mi pare.
Detto questo, applico da subito la regola 2 rafforzata dalla 4 e in questo Prologo non si parlerà del Caos. Ero prontoprontissimo a buttare giù le prime frasi caotiche su Sallustia che già mi attendeva adagiata mollemente sulle mie cosce, e le mie  dita cominciavano a pregustare il tapping sul suo schermo regolato sulla minima luminosità (a noi due piace la luce soffusa), ma mi sono bloccato all'improvviso e l'ho guardata teneramente, come si fa tra innamorati. E mi son detto: prima di parlare del Caos devo assolutamente scrivere una piccola dedica a questi oggettini con la mela morsicata che mi stanno allietando la vita. Da quando ho smesso di prendere zucchero nel caffè costituiscono il principale apporto mielico-glucosico della giornata.
Diciamoci la verità, senza ipocrisie, l'era dei pc da tavolo è da tempo tramontata, il portatile ha resistito di più ma si sta incamminando sulla via del declino, ed anche la breve parentesi del netbook è giunta al termine. Chi si siederebbe la sera ad un tavolo solo per leggere la posta o i suoi blog preferiti? O vorreste dirmi che è comodo stare in piena estate sul divano con un pesante e caldo portatile sulle ginocchia per scorrere le notizie dal web? Tanto più che le batterie di un portatile durano poche decine di minuti, e quindi alla fin fine si tratta di rimanere comunque attaccati ad un cavo, e allora che portatile è? Con un Tablet (meglio se un Ipad), uno Smart Phone (meglio se Iphone), o un semplice Ipod Touch (non ha concorrenza, a quanto sappia) non senti peso né calore, niente cavi, solo praticità. La batteria di Sallustia dura una settimana.
Personalmente solo da pochi mesi sono entrato nel mondo Apple, prima ero titubante, per cultura ho sempre diffidato delle grandi firme che vendono soprattutto design e marchio, ed ero portato per natura a sospettare di chi mi voleva vendere un oggetto per fare cose che altri facevano a metà prezzo. Ma il fatto è proprio questo. Questi affari non fanno le stesse cose di normali pc o telefoni. Una BMW fa le stesse cose di un'altra auto ma con migliore qualità (freni potenti, interni più accoglienti, motore affidabile, sicurezza). Ma un Apple è innovazione totale, fa cose che possono essere fatte anche da altri ma con processi completamente nuovi, interfacce mai provate, tecniche rivoluzionarie. È come se la BMW di prima corresse sull'asfalto poggiando su pattini anti-attrito e curvasse quando il pilota inclina la testa. Le altre auto sarebbero vecchie di colpo.
Mister Jobs ha semplificato tutto, ormai non esiste più la gestione delle cartelle, basta dubbi su dove salvare i file; eppoi vi ricordate come si istallavano i programmi solo fino a pochi mesi fa? Facciamo Excel. Innanzitutto dovevi andare in un negozio specializzato, comperare il cd, sborsare un centinaio di euro, tornare a casa, infilarlo nel pc, e qui cominciavano i problemi, istallare in modalità standard o custom? Fa più fico in inglese o meglio un classico italiano? Su che cartella lo salvo? Inserisco il numero di serie rispettando le maiuscole? Ma devo scriverlo almeno tre volte visto che è lungo una cinquantina di caratteri e sbagliare è un obbligo. Dopo una trentina di minuti di rimuginamenti ti si chiedeva di chiudere tutte le applicazioni, dopo altri trenta minuti di riavviare la macchina e sperare che tutto fosse ok. Senza contare che su un pc devi sempre tenere aggiornato l'antivirus, il firewall, regolare le protezioni, fare il defrag, la scansione dei dischi... In confronto ad un Ipad  è come tornare indietro di cinquant'anni e rimettersi a giocare con le schede perforate. Un semplice esempio per contrasto: tre giorni fa ho deciso di comperare Numbers, l'Excel per Ipad (volevo sperimentare alcuni comportamenti della mappa logistica, basilare per la teoria del Caos di cui vi parlerò a breve) e non ho fatto altro che aprire appstore, cliccare sull'icona, farmi addebitare sulla carta 7,99 sbiuri e dopo appena un minuto e mezzo era perfettamente utilizzabile. Il motto di Jobs è it just works, semplicemente funziona, e il bello è che questi cosi funzionano davvero, non si inceppano mai, fare errori è difficilissimo, è l'unico tipo di aggeggio informatico che mio padre riuscirebbe ad usare ed apprezzare. Credo davvero che diano valore aggiunto, rendendo un po' migliore la vita di tutti i giorni. Un anno fa un semplice Ipod collegato ad un diffusore mi ha permesso in sole due settimane (il tempo di riversarci tutto sopra) di togliere di mezzo 450 cd dalla mia libreria e mi ha regalato, oltre a tanto spazio in soggiorno, un modo completamente nuovo di ascoltare musica attraverso le playlist e l'accesso casuale. Qualche mese fa Sallustia mi ha stregato con la semplicità e l'efficacia di accesso alla rete, con le mille Apps semplici da istallare e usare, con l'assenza di libretti di istruzioni e di trucchetti da imparare per andare avanti, e non ultimo con la bellezza dell'oggetto in se stesso. E tra poco, da quanto leggo, Jobs ed io elimineremo anche la necessità di una memoria fisica, hard disk o memory card. Tutti i nostri dati saranno nella rete, accessibili da dovunque, senza bisogno di archiviarli e possederli. La prossima rivoluzione.
Beh, Prologo chiuso, vedremo se alla fine ci sarà un epilogo che spiegherà cosa c'entra questo spottone per Mr Jobs con la teoria del Caos. Per ora non mi viene in mente nessun punto di contatto, ma le vie del Caos sono infinite.

Ps: mi scuso per la profusione di termini inglesi, ho provato a farne a meno, ma come traduco Tablet? Tavoletta? No troppo WC, Tavolozza? See…