giovedì 10 ottobre 2013

Città o campagna? Un esperimento sociale

Ebbene sì, sono un cittadino. Nel senso letterale di chi ha impostato la propria vita attorno al quel luogo geografico identificato nel sussidiario di mia figlia come metropolitano. Paradossalmente, sempre più spesso quando ci si incontra tra di noi cittadini si parla di come sarebbe bello, liberatorio, rigenerante, ecocompatibile, antropomorfico, giusto, equilibrato vivere in campagna. O perlomeno in un piccolo centro a misura d'uomo donna e bambino come quelle decine di delizioooosi paesini che ancora costellano la penisola e la regione dove risiedo. Chiacchierando amenamente di tali questioni si tirano spesso in ballo, oltre alle misure ed ecologie di cui sopra, anche le propensioni dei singoli, e prima o poi viene sempre fuori quello che dice sì, è più a misura d'uomo, ma oltre a questo c'è di base che a me la campagna il paesino la natura mi piacciono, lì sarei me stesso, io non sono nato per vivere in città. 
E' a quel punto che di solito mi chiedo: ma come fate a sapere per cosa siete nati? Come riuscire a capire se la scelta che fareste dipende da inclinazioni personali separate dai vincoli materiali? Tradotto: non vale dire preferisco la città perché sono vicino al lavoro, o perché la mia famiglia è qui, e le scuole, i cinema, i teatri e tutto il resto, oppure preferisco la campagna perché di mestiere scrivo biografie e non voglio essere distratto dai clacson; io voglio analizzare i vostri desideri reali, le vostre inclinazioni autentiche, il vostro "io" più profondo. Mica sto qui a infilare collanine.
Qualche giorno fa parlavo di queste e altre sciocchezzuole con tre amici e ho tirato fuori quella vecchia questione degli esperimenti che Federico II metteva in pratica con l'intento di individuare quale fosse il linguaggio naturale dell'uomo: il buontempone sceglieva a caso tra i suoi sudditi alcuni neonati e li rinchiudeva in una prigione completamente isolata dal mondo, concedendo loro solo sostentamento materiale (cibo e acqua) e impedendo in maniera categorica a chi si occupava dei piccoli di fornire loro stimoli affettivi, parole, contatti, sguardi, persino semplici gesti. L'intento del bravo sovrano era capire che linguaggio avrebbero sviluppato spontaneamente quei pargoli, una volta eliminati tutti i vincoli culturali e le influenze esterne. Scoprire una volta per tutte qual'è la preferenza linguistica dell'umanità, l'idioma innato. Bell'obiettivo. Peccato che quei bimbi, essendo esseri sociali, non svilupparono alcun linguaggio naturale, e non ebbero nemmeno il tempo di porsi il problema, visto che si lasciarono morire di tristezza entro poche settimane.
Vogliamo sapere quali sono le nostre preferenze reali? Vogliamo scoprire una volta per tutte cosa sceglierebbe ogni elemento di questo consesso di quattro uomini se posto di fronte al dilemma città-o-campagna? Urge un esperimento, ho esclamato. E per fare un esperimento serve una cavia. 
Tipica figlia di vent'anni che, interpellata,
si accinge a un'educata risposta.
I tre esemplari di cittadini che avevo attorno nel momento della mia decisione si sono subito dimostrati recalcitranti: quando ho parlato di esperimenti e cavie Ugo ha fatto finta di ricevere una telefonata e mentre rispondeva col labiale ci diceva tengo-la-suoneria-bassa, Lillo guardava in basso, Michele bofonchiava che lui, in quanto personaggio virtuale, inventato al solo scopo di riempire qualche riga di un post in se stesso abbastanza vuoto, non poteva essere oggetto di un esperimento reale .
Non avendo a portata di mano alcun volontario adulto, e vista l'esperienza fatta otto secoli fa dallo Svevo, mi sono affrettato a escludere dalle ipotesi anche i minori che avevo a disposizione (oltretutto sarebbe quanto meno tardivo isolare le mie figlie per una quindicina d'anni e poi piombare nella loro cameretta, fare slalom tra gli escrementi e chiedere vi-piace-più-la-città-o-la-campagna, come minimo mi beccherei un verdoniano "a stronzo, punto esclamativo"). 
A quel punto non mi rimaneva che utilizzare un soggetto probabilmente meno gradevole esteticamente rispetto a una cavia ma che se non altro ritengo sufficientemente duttile e gestibile: me stesso.
Il quesito da sbrogliare era: qual è il paesaggio con cui vorrei incorniciare le mie giornate, al netto dei vincoli di cui sopra? Strade e palazzi o campi e mulattiere? Dove punta la mia più profonda indole, il mio puro senso estetico, il mio "io" reale?
Cavie. Che carine.
Quella sera, congedati gli ospiti pusillanimi e depennati i loro riferimenti dalla mia rubrica telefonica, ho organizzato l'esperimento in questi termini: ho preso il soggetto (non prima di aver indossato dei robusti guanti in lattice), l'ho ripulito da tutti gli orpelli che potrebbero influenzare le sue scelte: famiglia, lavoro, aspettative sociali, ambizioni, influenze di terzi, amicizie. L'ho spogliato anche dei vestiti. Ho ottenuto un esemplare asettico, esattamente nelle stesse condizioni in cui si presenta la domenica mattina quando esce per correre (tranne per il trascurabile particolare che indossa scarpe e calzoncini): niente orpelli né vincoli che lo influenzano, completamente libero di scegliere i percorsi e il paesaggio di sottofondo per le successive due ore.
(Nota intertestuale: una situazione di totale libertà di scelta il soggetto ce l'avrebbe anche nelle rare serate libere dedicate al cazzeggio, ma in quei casi decide di esprimere la propria libertà costringendola in angusti limiti, come a dire il massimo della libertà di scelta è scegliere di non scegliere: solito locale, solito tavolo, solita consumazione).
Il soggetto di cui sopra, dicevamo, ha un ventaglio ampio di alternative da cui attingere quando esce per correre, e piena libertà di elezione: dalla campagna più impervia, alla prima periferia, al centro urbano più sfacciato; dal paesaggio silvestre di Villa Ada, con sentieri sterrati e celati che farebbero perdere l'orientamento a un boy scout; alla ginnica e modaiola Villa Pamphili, con i suoi percorsi misurati e gli spogliatoi; alla borghese Villa Borghese, ricamata da ampi viali costeggiati da statue marmoree; alla pista ciclabile del lungotevere nord, regolare e veloce; a quella del lungotevere sud, un po' più urbana e con tratti da media periferia; fino al percorso interamente urbano e turistico "der centro de roma". È in questo caso che la libertà di scelta è piena di esprimersi verso le proprie inclinazioni.
E che ti combina il soggetto? Svincolato da lacci e lacciuoli ti snocciola un tragitto che tocca Piazza del Popolo, Via del Corso, Piazza Venezia, Fori Imperiali, Colosseo, Circo Massimo, Lungotevere dei Tebaldi, San Pietro. Non so se mi spiego: il massimo dell'espressione metropolitana. Il massimo del caos (pur stemperato dal fatto che sono le sette di mattina di domenica). Con buona pace del percorso natura.
Ecco perché sono un cittadino.