domenica 29 maggio 2011

La congettura di Pdb: il metodo sperimentale alla prova

Dicesi congettura un'affermazione o un giudizio fondato sull'intuito, ritenuto probabilmente vero ma non dimostrato, perlomeno non ancora.
Il concetto è tipico della matematica, campo in cui la dimostrazione definitiva di un teorema deve essere inconfutabile e in caso di ipotesi plausibili ma non dimostrate si parla appunto di congettura. Ad esempio è famosa quella di Goldbach, che afferma che ogni numero pari maggiore di due può essere scomposto nella somma di due numeri primi. È stata verificata empiricamente per parecchie migliaia di numeri, è accettata da quasi tutti i matematici ma non è stata dimostrata in maniera inequivocabile.
Voglio invece presentarvi ora il primo tentativo di applicare il concetto di congettura alla biologia. La congettura di Pdb non è ancora molto conosciuta, non la troverete su wikipedia, almeno non sino ad oggi, a dire il vero credo che con questo nome la conosciamo solo in due, io e Pdb, appunto. Poco male, l'importanza di un concetto scientifico non è direttamente proporzionale alla sua fama e all'inizio anche la teoria dell'evoluzione e la relatività generale erano conosciute solo dai loro ideatori e dai pochi che avevano avuto la fortuna di ascoltarle di prima mano.

Ok, passiamo al nocciolo del post.
Considerato che una pianta per la sua crescita si alimenta di acqua e dei sali minerali e composti organici contenuti nella terra nella quale affonda le proprie radici (per semplificare possiamo dire che si alimenta proprio di acqua e terra) e considerato che le piante crescono, e alcune anche parecchio, ergo la terra attorno alle radici dovrebbe diminuire progressivamente lasciando attorno ad esse un vuoto, una voragine, una caverna, radici scoperte, insomma. Certo, il vuoto sarebbe riempito dalla terra che con il semplice ausilio della gravità sostituirebbe la precedente, ma questo meccanismo a lungo termine finirebbe comunque per lasciare un vero avvallamento nei pressi della pianta, proporzionale alla sua crescita in altezza e larghezza. Nel caso di un albero dal tronco possente l'effetto dovrebbe essere molto evidente, e ci si aspetterebbe un vero e proprio cratere proprio dove il tronco si unisce al suolo. La congettura di Pdb si può quindi esprimere così: data una pianta in crescita, il vuoto che si formerà attorno alle sue radici sarà proporzionale alla sua massa.
Il concetto è convincente ma non evidente: se la sostanza che forma il tronco, i rami, le foglie e tutta quella materia vegetale viene dalla terra, come mai questo vuoto congetturato non c'è?  Bisogna innanzitutto scoraggiare l'ipotesi che potrebbe essere venuta in mente a qualche lettore che, a digiuno degli elementi fondamentali della chimica, si incaponirebbe a sostenere che la pianta si nutre di sola acqua (in verità anche io all'inizio ero stato attratto da questa facile spiegazione...): la solita wikipedia, fonte di sapere di ogni webnauta che si rispetti, sostiene che il legno è fatto di cellulosa e lignina, un polisaccarde e un polimero organico entrambi a base di carbonio, quindi non derivabili direttamente dall'ossigeno e dall'idrogeno dell'acqua, ma dalla terra. Anzi la terra credo sia proprio fatta di residui di vegetali morti nel corso delle varie ere geologiche, mista a frammenti di sassolini e altri residui organici. Solo che andando a passeggio in un querceto non mi pare che ci si imbatta in questi fossi profondi alla base degli alberi, quindi se è valida la premessa ci deve essere qualcosa che impedisce al fosso di crearsi.
L'ipotesi principale, ovviamente da verificare, è che il vento, i fenomeni erosivi e gli altri lenti movimenti geologici fanno sì che queste depressioni, appena createsi, si livellino. Per verificare la congettura non ci si può affidare all'osservazione dello stato naturale, in quanto sono troppe le variabili che concorrono all'esito. Qui serve un modello ed un approccio sperimentale.
Il metodo sperimentale, dopo la formulazione di ipotesi per spiegare il fenomeno, appronta dei test sulla base di modelli esemplificativi della realtà, esemplificativi nel senso che non possiedono le mille complessitá e variabili dell'ambiente naturale, o perlomeno ne escludono parecchie. Si spera che in quest'esclusione non siano scartate proprio le cause sulle quali stiamo indagando. Un buon modello di un albero che cresce in ambiente naturale potrebbe essere una pianta invasata. Qualche mese fa mi ero ripromesso di fare esperimenti su una pianta sul mio terrazzino per misurare con accuratezza se la terra sarebbe diminuita con la crescita del vegetale indipendentemente da cause esogene, che so, acquazzoni, vento forte, uccelli che scavano. Poi ho pensato 'sti cazzi e ho abbandonato il proposito per un bel po', con buona pace della congettura e del suo ideatore.
Poi un bel giorno, come un fulmine a ciel sereno, ecco davanti a me l'evidenza chiarificatrice, il lampo di genio dello sperimentatore, l'illuminazione risolutrice del verificatore, l'esperimento già pronto bell'e fatto: sabato scorso, intento ad impegnare in maniera costruttiva un pomeriggio casalingo, mi sono trovato senza nemmeno rendermi conto a... rimettere terra nei vasi! Proprio così, e si trattava di vasi ben protetti da vento, acqua, uccelli ed eventi esterni qualsivoglia. Ho dovuto fare un vero e proprio rabbocco di terra, perchè quella originale sembrava svotata, divorata dalla pianta e, ancor più mirabile a dirsi, la poca terra rimasta ad una leggera pressione delle dita sprofondava subito denunciando ampie aree vuote sottostanti... proprio come previsto dall'ipotesi.
La congettura di Pdb da sabato scorso per me è dimostrata.
Nel puro spirito scientifico si accettano ovviamente ipotesi alternative, ma solo se accompagnate da validi esperimenti a supporto.

giovedì 26 maggio 2011

Giovani Marmotte #2, ovvero come stimare le ore di luce

Voglio continuare ad insegnarvi l'arte della sopravvivenza. Potete anche fottervene dei miei consigli, ma poi quando vi troverete immersi fino alla collottola nelle sabbie mobili del Borneo non dite che non ve l'avevo detto.
Un trucchetto facile facile per calcolare rapidamente quanto tempo manca al tramonto del sole: pare banale ma è più preciso di quanto si possa immaginare: si tende un braccio verso il sole che cala e, piegando la mano ad angolo retto, si contano quante dita mancano tra il sole e l'orizzonte, ogni dito vale dieci minuti che mancano al tramonto. Se non frequentate il Borneo può tornare utile anche durante una passeggiata in montagna per calcolare di quante ore di luce disponiamo o in spiaggia per aspettare il momento giusto per il mojito.

domenica 22 maggio 2011

Lettera aperta a Ulisse

Ieri c'era ulisse, il programma di varia scientificità di alberto angela (il figlio...), l'ho guardato come al solito tra un piatto da lavare e un'occhiata al web ed è finita che sono andato a letto incazzato. Una delle rare trasmissioni che ho modo di guardare stava diventando il solito prodottone da pubblico del grande fratello, le cui vendite aumentano in maniera proporzionale alle lacrime sbattute in prima serata e alle storie intime messe alla berlina. Oggi ho pensato di mandare qualche riga alla redazione, altrimenti come fanno a sapere che sono incazzato?, e ho spedito questa:

Ieri sera, come spesso faccio il sabato, mi sono sintonizzato su Ulisse, un programma che apprezzo per le buone ricostruzioni storiche unite ad un distacco oggettivo apprezzabile in questo tipo di trasmissioni. Si parlava dell'attentato dell'11 settembre alle torri gemelle, nella prima parte si ricostruivano in maniera abbastanza attenta gli orari, le modalità, gli angoli di impatto, i piani coinvolti, i problemi strutturali delle torri, gli ascensori che non funzionavano, le scale strette e poche. Poi nella seconda parte il vistoso calo di stile: decine di minuti tutti incentrati sulla ricerca dell'identità di una delle persone che era stata fotografata mentre si buttava dagli ultimi piani in preda alle fiamme, chiacchiere sulla famiglia, interviste morbose all'esperto di turno su quali siano le pulsioni di un momento di terrore, valutazioni sulla scelta migliore tra buttarsi di sotto o attendere impotente fuoco e fumo, e ancora interviste a vari familiari per capire come consideravano il gesto, se vergognosa viltà o coraggiosa ultima scelta. Perchè tutto questo indugiare su particolari che alla storia terribile dell'attacco nulla aggiungono? Perchè non utilizzare quei minuti per approfondire qualcosa di più oggettivo, di più concreto, qualcosa che meglio si sarebbe adattato allo stile della trasmissione? Mi è parsa una chiara concessione alla più bassa commercializzazione del morboso e alla curiosità del pubblico, più che Ulisse mi pareva il peggior Voyager.
Spero non sia un cambio di rotta definitivo.
Saluti.

Sono in attesa di scoprire se mi rispondono, e se questa globalizzazione dell'informazione, questa interconnessione planetaria, questa democraticizzazione delle relazioni nell'era del web non sia la solita presa per il culo.
Vi terrò informati.

venerdì 20 maggio 2011

Giovani Marmotte #1, ovvero come orientarsi con l'orologio

Stavolta qualcosa di concreto, non le solite masturbazioni mentali. Bisogna sapere che il Sole, nel suo immaginario percorso attorno alla Terra, rispetto alle nostre latitudini sorge più o meno ad est sud est e tramonta più o meno ad ovest sud ovest, quindi nel suo tragitto si terrà sempre un po' verso sud. Beh, certo un tantino grossolana come indicazione, ma avendo a disposizione un orologio a lancette (che funzioni) possiamo provare ad affinarla. Se durante le ore diurne puntiamo la lancetta delle ore verso la posizione del Sole, la bisettrice dell'angolo formato dalla la lancetta delle ore e dalla posizione delle 12 indicherá in maniera sufficientemente precisa il sud. Provateci la prossima volta che cercherete una via di uscita dalla foresta Amazzonica, mi ringrazierete.

martedì 17 maggio 2011

Metapost

Ho ancora il culo (vi avevo promesso che avrei parlato di culi, no?) poggiato sul velluto rosso di una poltrona della sala 1 fila F del Giulio Cesare, scorrono i titoli di coda di Habemus Papam, l'ultimo di Nanni Moretti, e mentre mi alzo e recupero le mie povere cose penso che devo assolutamente scriverci un post su questo film qui, solo poche righe dove parlerò di quello che mi è rimasto appiccicato agli occhi e al cervello.
Non mi dovrò soffermare, mi dico trafelato mentre raggiungo l'uscita, solo sul fatto che mi è stato mostrato un Papa con caratteristiche umane, fin troppo umane; questo più o meno se lo aspettavano un po' tutti, e anch'io avevo visto un trailer qualche giorno fa dove questo approccio traspariva chiaramente.
Salendo sul motorino penso che nel mio post dovrei invece sottolineare di aver assistito più che altro alla storia di un uomo consapevole dei propri limiti, già cosa rara, e senza alcun timore di palesare questi limiti agli altri, cosa ancor più rara: negli ultimi anni mi sento circondato, fisicamente e mediaticamente, da persone che tendono ad occupare posti a prescindere dalle proprie intrinseche capacità, solo per il potere o la visibilità che l'incarico può dare, e questo contrasto tra pellicola e mondo reale mi è proprio rimasto sulla cornea.
Penso poi che nel post dovrei parlare del concetto di competitività di cui la pellicola è intrisa: immaginavo fino a ieri che un conclave fosse quanto di più competitivo si potesse immaginare, persone ormai non più in tenera età che si trovano potenzialmente a concorrere tra di loro per il coronamento più alto che essi possano immaginare, quello di essere Primo tra i primi. Invece nel film ci si affeziona presto a questo gruppo di vecchietti tutti leali tra di loro, a questa atmosfera da gita fuori porta, all'anelito sincero di scegliere e di poter poi servire il Prescelto. Durante l'elezione nulla trapela della gara, nulla dell'invidia, nulla della voglia di prevalere tra i cardinali. L'unica figura che introduce la competitività tra i vegliardi è esterna a questo ambiente da ospizio felice, ed è uno psicoterapeuta, Moretti appunto, laico e non credente, il quale dice da subito di essere il più bravo strizzacervelli sulla piazza, racconta che è addirittura stato lasciato dalla moglie per il fatto di essere il migliore, e poi giudica i cardinali in base alle quotazioni date dai bookmakers inglesi, organizza subito un torneo di pallavolo tra le compagini continentali per poi rimanerci male se la competizione non si conclude con un vincitore.

Mentre aspetto il verde al semaforo di Via delle Milizie penso di aggiungere nel mio post qualche riga per far notare la totale assenza di misticismo nel conclave: se si esclude qualche canto all'inizio, i vecchietti la sera prima di addormentarsi giocano a carte, fanno puzzle, mangiano, cercano di godersi la gita a roma, tutto tranne che pregare, e questa atmosfera non fa che aumentare la benevolenza verso questo gruppetto eterogeneo ma estremamente unito.
Concluderò il post consigliando vivamente agli appassionati di Moretti e non solo a loro, mi dico schivando la Smart che mi taglia la strada, un film che capovolge luoghi comuni ben radicati ma mai affrontati in pubblica piazza.
Poi, 
appena poggio le gomme sull'asfalto di Piazzale degli Eroi gli argomenti cominciano a sgretolarsi nella mia mente, perdono di interesse e di originalità, prendono un non so che di stantìo; mentre salgo su Via delle Medaglie d'Oro puzzano già come il prosciutto cotto in frigo da tre giorni, e mi faccio persuaso che tutta questa pappardella sul film che ho visto a malapena interessa a me, figuriamoci i pochi che leggeranno pigramente il blog tra una chiacchiera sul tempo e uno sguardo alla TV; mentre parcheggio sotto casa le mie idee per il post sono diventate solo le stanche e banali considerazioni di uno spettatore mediocre, scrivere un post su queste sciocchezze diventa assolutamente esecrabile; apro la porta di casa ed ho solo una sicurezza nella mia vita: non scriverò mai un post del genere, ma come mi è venuto in mente, roba da matti... non mi resta che sfilarmi le scarpe senza slacciarle e andare di corsa a dormire.
Non scrivo immondizia, io.
Buonanotte.

domenica 15 maggio 2011

Destabilizzazione on the rocks

Mi accorgo di aver sempre più bisogno di compiere gesti routinari, di frequentare posti conosciuti, di esercitare solide consuetudini, di pascermi di vecchie abitudini, di circondarmi di piccole sicurezze, di godermi i miei insignificanti passi evolutivi, come i bambini. E come i vecchi.
Poi basta un aperitivo con gli amici di una volta per destabilizzare questa normalità e gettarmi nell'ansia, a volte stimolante a volte molto meno, dell'incertezza.
Ma mi va bene anche così.

lunedì 9 maggio 2011

Una questione di coscienza

Se qualche anno fa mi avessero fatto la domanda "in che percentuale le tue azioni, gesti e parole sono precedute da decisioni coscienti?", che poi sarebbe come dire "quante volte pensi prima di agire?", avrei risposto senza titubare "praticamente sempre", in parte perchè ne ero sicuro, in parte per sviare l'interlocutore dalla sensazione di avere a che fare con un superficiale o, peggio, uno sciocco.
Ma ultimamente le cose non mi paiono più così semplici.
Sono noti e disponibili a tutti alcuni meccanismi automatici nella successione coscienza-decisione-azione che non sono necessariamente in rapporto di causa-effetto. Ad esempio guidando l'auto capita spesso che si pensi ad altro, solo in alcuni casi particolari il cambio da seconda a terza è preceduto da un evento coscienteo da una vera e propria decisione, tipo dire a se stessi  "ecco, ora cambio marcia"; lo stesso fermarsi al semaforo e svoltare a sinistra nella strada dove si abita sono eventi meccanici. Non si ragiona prima di farlo, si fa e basta, in maniera che potremmo definire automatica. Spesso ci ritroviamo già parcheggiati davanti casa senza riuscire a ricordare la strada che abbiamo fatto per arrivare. A pensarci dopo pare che la coscienza non abbia mai partecipato al processo. Lo stesso avviene quando si cammina (non si pensa "ora il piede destro avanti") o quando si legge (non si pensa "ecco allora se dopo la c c'è la i allora la leggo dolce") o quando si fanno una quantità di altre cose. In questi casi i ricercatori hanno notato una intensa attivitá del cervelletto, che si crede si comporti come una specie di pilota automatico dell'uomo (e della donna, ovviamente). La coscienza, fermo restando che ci siamo messi d'accordo su cos'è anche senza definirla (definizione che sarebbe ardua assai...) con questi meccanismi c'entra davvero poco, secondo la maggior parte degli studiosi della mente ormai non ci sono dubbi.
Ma mi sono accorto ultimamente che questo è solo il punto di partenza. Ad esempio io credo che gli automatismi funzionino anche nella conversazione; sì, insomma, quando parliamo è raro che pensiamo in maniera completamente cosciente prima di proferire parola. E non mi limito a considerare le frasi di circostanza, come stai, bene grazie, ma anche a brevi discorsi o a frasi che dovrebbero essere attentamente ponderate, come opinioni espresse su un determinato argomento o altro. Lo vedo sulla mia pelle, mi capita spesso di ascoltare le parole che escono dalla mia bocca senza assolutamente averle guidate coscientemente; la coscienza interviene solo subito dopo, e di solito conferma che le parole gia dette erano più o meno quelle che avrei voluto dire. Sì, lo so, vi ho apparecchiato per benino la tavola per le facili battute sulla mia presenza di spirito o sconclusionatezza, ma dico sul serio, a me capita questo. Questa anticipazione dell'azione rispetto alla decisione cosciente di essa è confermata dagli affascinanti esperimenti di Benjamin Libet, basati in parte su reazioni ad azioni veloci che non permetterebbero alla coscienza di partecipare all'azione (inferiori a mezzo secondo). Immaginiamo a mo' di esempio un tennista professionista che risponde ad un servizio. L'impulso che dall'occhio dovrebbe partire, raggiungere il cervello, aspettare la sua elaborazione cosciente, la conseguente decisione, seguire il percorso inverso fino al sistema muscolare e, infine, dare impulso all'azione è fisiologicamente impossibile in quei tempi lampo (in base agli esperimenti occorrerebbe appunto almeno mezzo secondo). La spiegazione che gli studiosi danno è che questo tipo di azioni (e molte altre) sono possibili solo grazie alla forte partecipazione del sistema nervoso periferico e alla autonomia delle azioni rispetto alle decisioni coscienti. La coscienza arriva subito dopo che l'azione è conclusa e interviene solo per ratificarla e, eventualmente, per catalogarla nella memoria. Anche se poi la nostra percezione di ciò che è accaduto è ben diversa e la mente ricostruisce gli avvenimenti a ritroso come se l'azione avesse seguìto l'evento cosciente e il tennista avesse deciso di colpire la pallina dopo averci ragionato su, anche se in quei tempi impossibili.
Uno dei pochi momenti in cui sento vigile la coscienza e la sento guidare completamente le mie azioni è nella scrittura. Sicuramente ciò è dovuto ai tempi della parola scritta rispetto alla parlata, di gran lunga più dilazionati. Ma questi momenti nella vita di tutti i giorni sono davero pochi.
Tornando alla domanda posta all'inizio, se dovessi azzardare una percentuale direi che il 95 per cento delle azioni che compio durante la giornata sono completamente al di fuori della coscienza o almeno antecedenti al momento cosciente.
Mi vado convincendo sempre più che nella maggior parte della mia vita io (ma, per quanto ne posso sapere, anche voi) agisco in maniera semiautomatica, non gestita dalla coscienza, o che perlomeno la coscienza arriva un pelino dopo che l'azione è compiuta, quando rimane solo da catalogarla, da valutarla, da ragionarci sopra e da ricordarla.
E qui nasce il problemone. Tutta questa storia non significa forse che siamo come automi, e che il libero arbitrio, ossia la capacità di decidere coscientemente le azioni e le scelte che compiamo, non esiste?
Forse un po' troppo pesante come argomento per un post, ma tant'è. Se vi va potete dire la vostra (come sempre del resto). Ma assicuratevi di essere coscienti.

venerdì 6 maggio 2011

La crudeltà degli icneumonidi

Altra bestiolina simpatica: l'icneumonide. La storia comincia piuttosto male, in quanto parla di questo insettucolo dal nome difficile (è semplicemente un tipo di vespa che scava la sua tana nella terra) che deve la sua fama ad un costume alquanto splatter: paralizza col suo veleno una vittima (un bruco, di solito), la trasporta nella buca e depone le proprie uova all'interno delle sue carni. Il veleno é iniettato con particolare cura in ciascun ganglio del sistema nervoso centrale della vittima in modo da paralizzarla senza ucciderla. In questo modo le larve che nasceranno all'interno del bruco potranno cibarsi di carne fresca perchè ancora viva. Il bello è che il veleno, un po' come il curaro, agisce solo sulle capacitá motorie dell'insetto vittima, lasciandolo cosciente (per quanto si possa ammettere una coscienza negli insetti) mentre viene divorato dal proprio interno.
Dal punto di vista di un osservatore umano questa abitudine appare talmente crudele che Charles Darwin, di solito distaccato commentatore, ne rimane sconvolto. La sua fede, già fortemente minata dalle scoperte che aveva fatto sull'evoluzione della vita, vacilla ancora di più, anche se in pubblico continuerà a dirsi credente soprattutto per non dare dispiaceri alla devotissima moglie.
Fatto sta che la vespa che fa divorare ai figli un bruco vivo dal suo interno è un evento che non merita giudizi morali da parte nostra, e non perchè noi come specie facciamo ben di peggio, ma semplicemente perchè la categoria morale in questo caso non è applicabile: la natura non è crudele, è solo indifferente.
Come umani siamo abituati ad interpretare ogni manufatto come uno strumento per raggiungere un fine, e fin qui può anche andare, un orologio ha le lancette perchè devono indicare un'ora, il martello ha la testa pesante per picchiare forte sui chiodi. Ma abbiamo il vizio di estendere questo modo di vedere anche a cose che non rientrano nella categoria dei manufatti, ad esempio lo facciamo con le stelle e la loro interpretazione astrologica, oppure con i segni che crediamo di scorgere nei fondi di caffè, fino a chiederci perchè questo terremoto ha colpito proprio casa mia, perchè la malattia ha scelto me e non il mio vicino di casa. Abbiamo la tendenza a cercare motivazioni, scopi, finalità in tutto ciò che accade. Non riusciamo a non attribuire ad un evento naturale caratteristiche positive o negative.
Tornando agli icneumonidi, la domanda "perchè tutta questa crudeltà" con cui Darwin si era scontrato risulta, come lui del resto sapeva bene, semplicemente mal posta, priva di senso, è come se chiedessi "quanti chili pesa un inverno" o "di che colore è il mal di denti", è un genere di domanda che non si fa, che non ammette risposta.
La storia degli icneumonidi è cominciata male ma ha un lieto fine.
La morale è che non esiste crudeltà nella natura, è un concetto che abbiamo inventato noi esseri umani allo scopo di intepretarla, e in quanto tale appartiene totalmente ed esclusivamente a noi. In natura non c'è scopo, non c'è crudeltà nei mezzi per raggiungere un fine, le cose accadono e basta.
Parafrasando il grande Richard Dawkins, la natura non sa nulla e non si cura di nulla, la natura semplicemente è. E noi danziamo alla sua musica.
È questa la cosa difficile da comprendere, ma una volta rotto il diaframma che ci separa da questa consapevolezza tutto viene da sè, tutto è facile e naturale. Basta abituarcisi e smetterla di piangere.
Beh, forse non è proprio il lieto fine che vi aspettavate.

martedì 3 maggio 2011

La magia di Eulero

Sono sopravvissuto a malapena all'attacco della colonna mirmecola. Un intero weekend rigeneratore nelle campagne viterbesi non è stato sufficiente a guarire le ferite riportate in battaglia. Ne sono uscito talmente provato nel fisico e nello spirito che non so se riuscirò a portare avanti ancora per molto questo giochino onanistico che mi ostino a chiamare blog, nemmeno mantenendo la bassissima frequenza di postaggio alla quale ho ormai abituato i miei lettori. Purtroppo però non mi sono mai distinto per coraggio e decisione, quindi non me la sento di finirla qui e cancellare tutto di punto in bianco.
Ho deciso di intraprendere un'altra strada, più arzigogolata e vile ma di sicuro effetto: postare robetta che per caratteristiche di contenuto (estrema astrattezza, difficoltà, inconcludenza, inutilità) o di forma (accenti sbagliati, maiuscole a sproposito, punteggiatura a cazzo) costringerà i lettori ad abbandonarmi tra i più fantasiosi e meritati improperi. In poche parole voglio piallarvi le palle fino a farmi mandare a cagare.
E comincio subito giocandomi
 il jolly: con questo post stimo di perdere almeno il 50% della mia platea, ossia ben tre lettori umani (più uno meccanico, in quanto mi impegno a disabilitare sin da ora l'automatismo da me programmato per cliccare sul blog ogni sei minuti ed aumentare in maniera fraudolenta gli accessi).
Ho gia detto che non sono un matematico, ma mi vanto di aver più o meno capito le cose che ho riportato finora su questo argomento.
Oggi vorrei parlare di una cosa che non ho capito affatto. Ma sono in buona compagnia: insieme a me non l'ha capita nessuno, professionisti della matematica inclusi.

Pur non essendo chiara a nessuno nel suo funzionamento intrinseco, questa cosa di cui vi parlerò è vera, e rappresenta una magia dei numeri che mi lascia stupito e perplesso (non so se più stupito o più perplesso, per citare Abatantuono).
Ricordate i numeri irrazionali, no? Cazzolina, ne ho parlato appena
due settimane fa! Ok, ripassino veloce: si tratta di numeri che non possono essere espressi come rapporto tra due numeri interi, e che di conseguenza non possono essere scritti in maniera precisa se non con infinite cifre decimali. Uno di questi è \sqrt {2} \,, il rapporto tra la diagonale di un quadrato di lato uno e il suo lato.
Ci sono numeri irrazionali ancora più interessanti, come ad esempio  π, il rapporto tra la lunghezza di una
circonferenza e il suo diametro (alcune delle particolarissime caratteristiche di  π  le trovate
qui); oppure e, la
base dei logaritmi naturali (vedere
qui per capire di cosa è capace questa). Per questi numeri irrazionali sono ad oggi stati scoperti solo i primi pochi miliardi di cifre decimali, c'è ancora da lavorare parecchio visto che sono infiniti...
Poi c'è un'altro ente matematico molto strano che è  i, ossia l'unità immaginaria (per approfondimenti vedi 
qui), si tratta del numero inventato per risolvere le radici dei numeri negativi, postulando che  i al quadrato sia uguale a -1.
Ora immaginiamoci una formula che lega tra loro questi numeri molto particolari e apparentemente senza alcuna relazione tra loro. Ognuno o è inesprimibile in maniera esatta (gli irrazionali) o (nel caso dell'unità immaginaria) è un ente matematico di astrattezza piuttosto spinta. Una formula costruita con una loro combinazione avrà sicuramente come risultato un pastrocchio, un numero stranissimo, forse nemmeno calcolabile.
E invece c'è questa cosa che è conosciuta col nome di identità di Eulero (non nel senso che è la vera identità di Eulero, di giorno matematico nerd e di notte supereroe mascherato, ma nel senso che questa cosa qua l'ha scoperta Eulero):

e^{i \pi} + 1 = 0 \,\!

Cerchiamo di capire, per quanto possibile.
Questi numeri apparentemente non sono collegati tra loro da nulla, uno e il modo per sapere la lunghezza della circonferenza avendo a disposizione il diametro, uno serve come base per i logaritmi, uno per risolvere equazioni complesse, noi li prendiamo, li mescoliamo, poi aggiungiamo 1 al tutto e otteniamo... ZERO!!!

La cosa pare assurda, inspiegabile, i numeri estremi di cui abbiamo parlato sopra risultano essere legati strettamente tra di loro da questa magica relazione, e non si sa bene perchè. E come se non bastasse insieme a loro ci sono lo zero e l'uno, fondamentali nella definizione assiomatica dell'aritmetica in quanto elemento neutro dell'addizione e della moltiplicazione. Non vi sembra pazzesco? A me sì, si tratta di una formula con 5 costanti, di cui due (π e e) non riusciamo ad esprimerle nel sistema decimale e quindi non sappiamo di preciso quanto valgono, una ( l'unitá immaginaria i ) addirittura per alcuni neanche esiste, e poi ci sono 0 e 1, che paiono proprio fuori luogo, e invece c'è questa cosa ineffabile che le mette in relazione tra loro in maniera esatta, e accade come d'incanto che tutte le infinite cifre decimali degli irrazionali svaniscono nel nulla, l'unità immaginaria va a farsi un giro, e tutto torna a casa, il risultato è esatto quanto inatteso.
La cosa più inspiegabile mi pare poi come cazzo abbia fatto Eulero a rendersene conto e a tirarla fuori...
Ovviamente questa cosa è dimostrabile, ma ciò non toglie nulla alla sensazione di magia che emana.
...

Tranquilli, è finita.
Il defribrillatore è sempre lì sulla mensola, dove l'avete lasciato l'ultima volta.