lunedì 31 ottobre 2011

Tergicristalli parlanti

Avete notato anche voi che da qualche tempo molte auto parcheggiate in maniera eufemisticamente fantasiosa, per non dire da cani, hanno le spazzole tergicristalli sollevate? All’inizio non ci facevo troppo caso, poi mi è capitato di osservare una scenetta che mi ha aperto gli occhi: un distinto signore, dopo avere fatto tre manovre per svoltare su una stradina evitando di urtare un grosso SUV posteggiato arrogantemente quasi in mezzo alla carreggiata, ha accostato la sua auto, è sceso e, abbastanza meccanicamente, ha alzato entrambi i tergicristalli anteriori del SUV, risalendo poi sulla sua vettura e allontanandosi. Da allora ho notato parecchie altre vetture in seconda fila, sulle strisce pedonali, sui marciapiedi, in prossimità di incroci, insomma parcheggiate a cacchio, con le spazzole alzate.
Ecco cos’è: si tratta di un segnale, un messaggio al guidatore arrogante in quel momento assente, una sorta di codice che vuol dire “guarda che hai parcheggiato di schifo”: quando il buzzurro tornerà a prendere la propria vettura troverà il segnale, si presuppone lo sappia interpretare, e capirà di aver esagerato con il menefreghismo stavolta, e che qualcuno non ha gradito. E’ inoltre uno strumento di gratificazione (dai, un minimo…) anche per la vittima dello sgarbo, che avrà la consapevolezza di aver battuto il pugno, di non aver lasciato correre, di essersi in qualche modo ribellato alla situazione, pur senza atti vandalici, senza parolacce, senza escandescenze. Un civile segnale che non provoca effetti irreparabili, solo un decisa comunicazione. Si tratta solo di apprendere tutti il nuovo linguaggio. Certo, non mi aspetto che il cafone cambi definitivamente il suo sistema di valori solo perché ha trovato i tergicristalli sollevati, anzi con tutta probabilità parcheggerà male altre volte. Ma questi segnali funzionano così, pian piano diventano linguaggio comune e in men che non si dica avere il tergicristallo alzato si muterà in un’onta, in una cosa di cui non andar fieri, mentre il contrario si trasformerà in vanto: “figliolo, io nella mia vita non ho mai avuto un solo tergicristallo alzato da chicchessia, sappilo”. Un impatto potenziale da non sottovalutare, alla lunga. Potrebbe essere l'inizio di una rivoluzione.

sabato 29 ottobre 2011

Gita allo zoo

Mi piace andare allo zoo. Soprattutto perchè ora si chiama bioparco, e significa che gli animali non sono chiusi in semplici gabbie ma accolti all'interno di piccoli ambienti naturali ricostruiti con cura e rispetto delle loro peculiarità. Lo spazio che hanno a disposizione non è per nulla esiguo: se prendiamo ad esempio gli orsi, beh, credo abbiano almeno cinquecento metri quadri comprensivi di piscina, cascate e boschetto per nascondersi alla vista dei visitatori, una condizione di vita decisamente migliore di quella di molti umani. Poche cose sono preziose quanto capire e continuare ad essere sbalorditi  dalla complessità e dalla ricchezza biologica del mondo in cui viviamo, e lo zoo mi offre una meravigliosa occasione per insegnarlo alle mie figlie.
Non sono d'accordo con chi dice che gli animali qui soffrono perchè non sono liberi e non possono correre e cacciare come farebbero nel loro ambiente. Sofia l'elefante, Petronilla l'orango, i leoni, gli ippopotami, e la stragrande maggioranza degli animali sono nati all'interno di questi diciassette ettari inaugurati nel 1911. Non hanno mai conosciuto altro che questa comoda, sicura, routinaria e rassicurante esistenza nello zoo di Roma. E sono molto più utili alla nostra e alla loro specie rispetto a quanto possano essere i loro simili in libertà. Sofia ha quarant'anni: quante generazioni di bambini osservandola hanno imparato qualcosa sugli elefanti, sulla biodiversità, sulla grandezza e l'armonia della natura? Sofia ha fatto cultura, sicuramente più della maggior parte degli umani che conosco. Un bimbo che l'ha conosciuta ha un motivo in più degli altri per salvaguardare il mondo in cui temporaneamente alloggia, e più difficilmente da grande acquisterà un fermacarte di avorio, se gli si presenterà l'occasione. Sofia aiuta la sua specie e la nostra molto più di quanto potrebbe mai fare in libertà. Non mi pare poco.

martedì 25 ottobre 2011

La congettura di Babbo Natale

Mia figlia V. ha sei anni e crede a Babbo Natale.
Fin qui nulla di strano, i bimbi credono a quello che i grandi raccontano loro, la capacità critica di analizzare i fatti senza lasciarsi influenzare dalla tradizione e dalle voci del popolo arriva solo dopo, se arriva. E poi credere a Babbo Natale è anche una buona spiegazione per alcuni fatti che non si riescono a spiegare altrimenti: chi porta tutti quei regali? Chi è quel signore grasso vestito di rosso che campeggia sui cartelloni pubblicitari? E, soprattutto, se ci credono tutti ci sarà un motivo, no? E quindi quella di Babbo Natale è una congettura accettata all’unanimità (perlomeno nel mondo dei bimbi).
La compagna di banco di mia figlia, E., qualche settimana fa ha cominciato a sollevare dei dubbi, ha individuato alcuni elementi che si scontrano con la congettura di Babbo Natale. Secondo lei è difficile portare in una sola notte regali a tutti i bimbi del mondo, i bimbi sono davvero tanti. E poi E. non si spiega come facciano le renne a volare, le ha viste allo zoo e le sono sembrate tutt’altro che leggére e sicuramente prive di ali. E. ha raccolto degli elementi che ritiene oggettivi e ha avanzato un’ipotesi alternativa a quella classica: lei crede che i regali vengano portati da zii, nonni e genitori, e che Babbo Natale (è dura da scrivere, ma riporto solo l’ipotesi di E.) non esista. E. ritiene che quest’ipotesi si adatti meglio ai fenomeni osservati, e renda superfluo ricorrere a sovvertimenti temporanei delle leggi di natura (estensione del tempo della notte di Natale e renne che volano). Se si postula la non esistenza di Babbo Natale, o perlomeno la sua estraneità alla consegna dei regali, tutto è più semplice. Non c’è nemmeno bisogno dell’efficiente quanto anacronistico servizio postale che permette la comunicazione dei desideri dei bimbi. Tutto fila liscio senza troppe complicazioni. Ad E. tutto questo sembrava lampante, almeno fino a ieri.
Ma purtroppo E. è rimasta sola. La congettura di Babbo Natale, sostenuta all’unanimità dal resto dei bimbi nonostante le ragionevoli obiezioni sollevate da E., è ancora il sistema di spiegazione della realtà universalmente accettato in classe. La piccola E. è stata all’inizio trattata con incredulità, poi è stata sbeffeggiata e infine anche isolata in qualche gioco. Ma E. è un animale sociale, e ne soffre.
Stamattina a colazione mia figlia V. mi ha detto che ora anche E. crede a Babbo Natale. Non è riuscita a rimanere sola per molto, vuole far parte del gruppo, vuole che gli altri la considerino una di loro.
A quelle condizioni forse avrei fatto lo stesso.

lunedì 24 ottobre 2011

Tre straconsigli più un quarto

Primo. Quando corro spesso sono solo, e quando corro solo spesso metto le cuffiette, ma quando metto le cuffiette per ascoltare musica spesso mi annoio, quindi quando corro e non voglio annoiarmi spesso ascolto dei podcast. I miei podcast preferiti sono le lezioni di rock di Ernesto Assante e Gino Castaldo. Ognuno è un piccolo capolavoro di storia del rock, con un sapiente dosaggio di aneddoti biografici, riferimenti storici, ascolti ed excursus sui vari stili. Al momento ne sono disponibili 83, ognuno è dedicato a un artista e dura un’oretta e mezza. Li straconsiglio tutti.

Secondo. L’ultimo podcast di lezioni di rock che ho ascoltato è quello sui Sigur Ros, un gruppo islandese che non conoscevo, ma che ho imparato immediatamente ad amare. La loro musica trent’anni fa sarebbe stata definita progressive, ma ora è una definizione un po’ in disuso. Fatto sta che si tratta di originalissime e lunghe suite dalle atmosfere all’inizio eteree e rarefatte, ma che all’improvviso si trasformano in energiche galoppate rock. Ora quando corro e ascolto musica non mi annoio più. Anche i Sigur Ros li straconsiglio.

Terzo. Qualcosa, il più cinico dei blogger, è tornato all’attacco. Trovo fenomenali i suoi scritti, originali e cattivi, mai misurati e sempre fuori dal coro. Lo straconsiglio. Ma c’è un ma. I post sono tanto originali e fulminanti quanto banali e scontati sono i commenti a corredo; e sono decine, centinaia. Pare sia una gara a chi è più scurrile, tutti cercano di imitare Qualcosa, ma sembra che nessuno possa fare a meno di oltrepassare lo stretto confine tra cinismo di qualità e volgarità, e inevitabilmente si cade nel baratro. Navigando tra i blog ho imparato che nei migliori esempi i commenti sono indissolubilmente legati al post, sia come stile che come contenuto, lo integrano e completano, a volte sono dei post dentro al post. Quando questo connubio fallisce, allora il contrasto è stridente. E nel blog di Qualcosa la differenza di livello tra post e commenti stride talmente che consiglierei al padrone di casa di fare come mastro Astutillo: non permettere commenti. Avrebbe solo da guadagnarci.

giovedì 20 ottobre 2011

Riforma elettorale #1 - Proporzionale attiva

Lo dicevo io che negli attuali meccanismi di democrazia c’è qualcosa che non va. Anche Astutillo è della mia opinione, e nelle sue cose da sapere subito dice che la maggioranza ha sempre torto, e le poche volte che ha ragione è per il motivo sbagliato. E il vecchio Asty non sbaglia mai. La favola della maggioranza che deve governare perché è maggioranza è una delle più grosse baggianate che ci hanno rifilato negli ultimi secoli.
La maggioranza è foriera di scelte populiste, di slogan semplici da capire ma totalmente vuoti, di politiche a favore di lobby potenti, di scelte a breve termine solo per essere riconfermati alle prossime elezioni, di azioni a salvaguardia del proprio serbatoio di voti.
Ancor di più in un paese vecchio come il nostro, con l’età media di Raffaella Carrà. Alla fine ci troviamo ad essere governati da scaldapoltrone scelti da un settantenne, che quanto ad aspettative per il futuro al massimo può aspirare a un aumento di pensione o alla chiusura del cantiere della metro che intralcia il suo abituale percorso verso il pizzicagnolo. L’esito del meccanismo è che a rappresentarci nelle aule del potere fanno presenza, quando ci va bene, i soliti affabulatori in cerca di affermazione personale e redditi sicuri e, quando ci va male, Brunetta e Gasparri. Ma che sistema è quello che stabilisce che il mio voto vale come quello di mio nonno? Io ho una prole da mantenere, qualche decennio di visione prospettica, cultura un filino più completa, ma soprattutto un più consistente interesse nelle cose che accadono al mio paese. Perché il voto di Milena Gabanelli o del Barozzi deve valere come quello di Vasco Rossi o di Gigi D’Alessio? E perché un evasore ottantenne di Campione d’Italia ha la stessa voce in capitolo di un insegnante precario con tre figli a carico? E allora, prendendo spunto da una provocazione che PdB, mio commentatore di fiducia, aveva scagliato dal divano di casa sua, vi propongo di adottare la proporzionale attiva (da non confondersi con quella conosciuta sinora, che definirei passiva). Si tratta di dare un diverso valore al voto di ognuno degli aventi diritto, un peso proporzionale all’effettivo interesse nel futuro del paese. Applicherei la seguente formula:

P=Rad(Z)+R+(20/N)

dove

P=peso del voto
Z=numero dei figli minorenni a carico
R=tasso di partecipazione politica (variabile tra 0 e 1)
N=età
Rad=operatore radice quadrata (non so come scriverlo altrimenti)

Hai quarant’anni, quattro figli sul groppone e hai sempre partecipato alle elezioni e ai forum di discussione politica (di questa storia del forum vi parlerò nel post #2)? Il tuo voto vale 3,5.
Hai sessant’anni, i tuoi figli sono maggiorenni e votano per conto loro e te ne frega cazzi del Paese? Il tuo voto vale 0,3.
Hai trent’anni, un figlio piccolo e partecipi mediamente? 1,7.

Per ora ho preso in considerazione solo questi tre parametri, ma con un costruttivo confronto online sono disponibile a modificarli prima dell’invio della proposta all’Assemblea Costituente. Come dite? Arrivo tardi? La Costituente si è sciolta nel '48? Allora è il momento di farne un'altra.

martedì 18 ottobre 2011

Il libro autosufficiente

Da più parti odo la nefasta previsione: il libro di carta ha le ora contate, entro pochi anni i lettori digitali e i supporti elettronici sostituiranno con milioni di bit i chilometri di scaffali billy e di dorsi colorati che arredano con spocchia le nostre case; nella borsa del mare il reader prenderà il posto del giallone tascabile; nella metropolitana il kindle ruberà il palcoscenico al rilegato; le librerie chiuderanno (lo teme e anche il disagiato). E sento sempre il solito parallelismo tra la sorte toccata ai dischi in vinile e quella che attende a breve il libro cartaceo: “avete visto cos’è successo ai dischi? sono stati soppiantati prima dai cd e adesso dalla dematerializzazione totale della musica, ormai il supporto fisico non ha più senso, i brani sono diventati semplici file mp3 o similia. E ora i vecchi dischi sono spariti, non li trovi più nemmeno a Porta Portese, li conserva solo qualche audiofilo matusa per una sorta di onanistico godimento, ma non hanno più alcun senso”.
Ecco, mi pare proprio che nel caso del libro il parallelismo con il vecchio vinile sia non solo fuorviante, ma completamente sbagliato.
Mi spiego meglio: per ascoltare un disco c’è sempre stato bisogno di una strumentazione tecnologica. Prima il grammofono di inizio secolo, poi il mangiadischi degli anni sessanta, finoe al piatto-giradischi degli impianti stereo che si trovavano in qualsiasi casa fino ai ’90. La musica a casa non si può ascoltare senza una fonte di energia elettrica o senza tecnologia, per quanto antiquata essa possa essere. Provate ad accostare un vinile all’orecchio: non sentirete una emerita cippa. Non si può portare un disco in spiaggia e ascoltarlo. Serve qualcos’altro. E in questi anni, più che il supporto, è la tecnologia ad essere cambiata. Il supporto si è evoluto di conseguenza. E’ diventato digitale perché la tecnologia prima era analogica e ora è digitale. Ma era indispensabile anche prima.
Il libro è completamente diverso. L’unica tecnologia che sottintende è la stampa; ma questa, oltre a essere semplice e meccanica (perlomeno nell’idea), è completamente esterna rispetto al fruitore, posso anche non sapere cosa sia una tipografia e comunque riuscire leggere senza preoccuparmene. Il libro si può leggere senza una strumentazione a supporto, senza una connessione elettrica, senza apparati più o meno sofisticati che ne permettono la fruizione. Se accosto un libro all’occhio, beh, semplicemente funziona. E’ sempre stato uno strumento indipendente, lo posso portare sulla spiaggia, sulla metro, o leggere a casa, ma lo posso anche portare su un’isola priva di qualsiasi tecnologia. E’ questo che salverà il libro, essere un oggetto che basta a se stesso.

giovedì 13 ottobre 2011

Per la riuscita di una bella serata la pianificazione è tutto

Stamattina, dopo aver accompagnato la prole a scuola, sono passato da un casalinghi per comperare dell’acido muriatico; così stasera, dopo aver tolto con una spugna tutta l’acqua dal sifone, riuscirò finalmente a scrostare il calcare e la ruggine dal fondo della tazza del cesso.

domenica 9 ottobre 2011

Caos #3 - Pasticcio di pongo

Una barriera mi ha tenuto lontano dall’argomento caos per tutto questo tempo: la difficoltà di spiegare di cosa vorrei parlare. Sono settimane che cerco di raccogliere le idee e di annodare i vari fili che mi penzolano in testa dopo le letture sull'argomento.
Non essendo un matematico, i percorsi che seguo nel tentativo di affrontare argomenti tecnici sono spesso poco ortodossi, scollegati, e soprattutto e imperdonabilmente poco tecnici e rigorosi, nel senso che mi accorgo sempre più di non essere in grado di spiegare in maniera esaustiva tutti i necessari dettagli della teoria. Pertanto quello che man mano ho raccolto, e che provo a riproporre qui in alcuni aspetti, non solo è assolutamente passibile delle correzioni di un lettore più avvezzo di me ai segreti della materia, ma potrebbe addirittura essere privo della stessa possibilità di essere corretto in quanto talmente incoerente da risultare incomprensibile o privo di senso.
Me ne scuso sin d'ora.
Però ormai mi sono imbarcato in questa cosa, che nonostante tutto continua ad affascinarmi, e quindi provo a buttarmi nella mischia. Al massimo ci rimetterò il paio di lettori.

Di solito nei libri di testo perbene si comincia con una definizione, anche se a volte questa, lungi dall’essere di aiuto alla comprensione, crea ancor più confusione o, nel migliore dei casi, aspettative troppo precoci.
La migliore definizione di caos (ovviamente in senso matematico) che ho trovato si trova nel saggio di Ian Stewart Dio gioca a dadi?: il caos è comportamento stocastico che si verifica in un sistema deterministico.

Accenniamo un po’ di storia: negli ultimi due millenni la Geometria è stata quella euclidea. Punti, rette, piani. Cerchi e sfere, triangoli e coni. Galileo diceva che il libro del mondo è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. Una struttura che aveva il suo fondamento filosofico nella teoria platonica delle idee, per ogni cono che costruisci in maniera approssimata nel mondo reale esiste Il Cono, una figura geometrica perfetta per le quali valgono determinate caratteristiche e regole di costruzione. Si sapeva che le strutture concrete rappresentavano un'approssimazione della figura ideale e si credeva che la geometria euclidea fosse la sola capace di interpretare la realtà in maniera utile. Tuttora questa geometria rappresenta l'unica che si studia nelle scuole (a parte corsi universitari molto specialistici) e l'unica che l'uomo medio conosce. Ma Mandelbrot, uno dei profeti della nuova visione della natura, dice le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, il fulmine non si propaga in linea retta.
A tal proposito riporto una storiella simpatica: un giorno un contadino affidò ad un gruppo di matematici l’incarico di aiutarlo ad aumentare la propria produzione di latte. Quando ricevette la relazione finale, rimase decisamente interdetto: la prima frase era si consideri una mucca sferica
La geometria euclidea, e la matematica che c'è dietro, rappresenta sempre un'estrema esemplificazione della realtà, e si occupa di eccezioni, di casi particolari, di esempi limite a ben vedere rarissimi nella loro essenza: tra miliardi di curve chiuse forse, e dico forse, solo una è un cerchio. Inoltre si basa su equazioni stabili. Si prende un’equazione e ci si chiede quali sono i valori che la soddisfano. Il fatto è che la realtà non è così semplice.
Non so se avete un robot da cucina, qualche lettore più attrezzato potrebbe addirittura essere in possesso di un meraviglioso Vorwerk Bimby, uno strumento di altissima precisione, lame levigate ed allineate, motore senza vibrazioni, ingranaggi perfettamente molati. Il Bimby potrebbe essere preso come esempio di un mondo deterministico in miniatura. In base al comune sentire, se io metto due cubi di pongo nel Bimby, uno rosso e uno blu, e voglio impastarli insieme, sarà sufficiente calcolare la posizione esatta dei due blocchi e poi sarà possibile prevedere, ad ogni giro delle lame, il destino dell’amalgama, ossia dove si troverà ogni pezzetto di pongo al giro successivo. Ebbene, il caos dice che ciò non è possibile. E’ vero che siamo in un sistema deterministico (il Bimby), che conosciamo lo stato fisico iniziale (la posizione, forma e dimensione dei due blocchi di partenza), e che per i primi giri di lama le linee di pongo rosso dentro al pongo blu e di pongo blu dentro al rosso cominciano in maniera apparentemente regolare e precisa, e sembra che nulla impedisca che ciò continui per sempre, con una regolarissima miscela in cui è possibile prevedere un mescolamento regolare, continuo, simmetrico, speculare. Ma non è così per molto: già al quinto o sesto giro delle lame con ogni probabilità nascerà il caos. All’inizio compare come una insignificante deviazione in una linea di pongo blu, ma poi diventa presto talmente incontrollabile da perdere ogni simmetria, ogni prevedibilità. Ma non nel senso che non è possibile in teoria sapere al sesto giro cosa succederà, in fondo se il sistema è deterministico si può per ipotesi, ma nel senso che non è possibile trovare un andamento regolare e leggibile dello sviluppo dell’amalgama. Non si può prevedere con regolarità l’andamento del caos.
Provo a ridirlo in maniera diversa: c’è sicuramente un’equazione, per quanto complessa possa essere, che ci permette di dire, in linea teorica, cosa succederà ad ogni giro di lame, in fondo siamo in un sistema deterministico e conosciamo con buona precisione tutte le variabili. Però, rispetto alle soluzioni di un’equazione lineare, qui c’è qualcosa in più. C’è l’iterazione. Ad ogni giro, lo stato fisico del pongo risultato del giro precedente costituisce il punto di partenza del giro successivo. E non è detto che questa seconda situazione di partenza sia così regolare e perfettamente intellegibile come la prima. È qui che nasce il caos, nel senso che una variazione infinitesima (e quando dico infinitesima potrebbe essere anche la vibrazione di un autobus che passa a tre isolati di distanza) dopo una mezza dozzina di giri può prendere una strada del tutto imprevedibile e crescere in maniera esponenziale. La dinamica è così complessa, così sensibile alle micro condizioni iniziali da apparire casuale. Oppure al contrario, può andare tutto come previsto e liscio come l'olio, con volute regolari e periodiche, onde perfette di rosso e blu. Ordine e caos diventano due manifestazioni distinte del determinismo sottostante.

Questo fenomeno apparentemente strano è più reale e conosciuto di quanto pensiamo: utilizziamo infatti equazioni lineari per i sistemi poco complessi (sistemi fisici chiusi, passaggi matematici, semplici reazioni chimiche), ma dobbiamo ricorrere alla statistica per quelli più complessi come i fenomeni sociali, la crescita demografica, lo sviluppo economico, il movimento dei gas, gli ecosistemi. Lo facciamo proprio perché si tratta di sistemi sì deterministici, ma sicuramente non lineari e con all'interno vari cicli di retroazione, o feedback, quindi molto instabili e dinamici, in due parole complessi e caotici. L'unico modo per prevedere i risultati di un'azione di politica economica o di prevedere il movimento di una molecola in un gas è ricorrere a strumenti statistici.

Questa cosa si può spiegare anche matematicamente, tramite la funzione logistica. Non è altro che una semplicissima equazione di secondo grado (assomiglia a quella della parabola che si studia al liceo) solo che al posto di disegnarla per i valori che la soddisfano, proviamo ad iterarla. In poche parole si calcola il valore e lo si inserisce di nuovo nell’equazione di partenza, e poi si calcola il risultato e lo si riutilizza, in una sorta di flusso circolare, di anello retroattivo (non vi ricorda in qualche modo Gödel?). Poi si studia l’andamento dei risultati ottenuti e si analizzano gli intervalli in cui i risultati sono caotici. In pratica ci costruiamo un piccolo esperimento per ricreare il caos in casa, sotto condizioni ben determinate e quindi isolabili ed analizzabili, fino a spiegare come sia possibile che un battito di ali di farfalla a Tokio possa causare un uragano a Rio, ma senza sporcare per terra. Meraviglia di un esperimento controllato.
Ci ho provato in prima persona a fare questa cosa, e in effetti è stato semplice, a dimostrazione che il caos è dovunque: si è trattato solo di impostare una formula in excel e disegnare un paio di grafici. La cosa mi ha dato godimento e meraviglia e vorrei riproporvela per discuterne i risultati in uno dei prossimi post (chissà quando).
Per ora vi mollo, andate pure a scrostare il pongo dal Bimby, che se si secca so’ problemi.

giovedì 6 ottobre 2011

Wiki, Steve e Pi

Wikipedia, il sito che visito maggiormente, l’appiglio senza il quale sprofondo nell’insicurezza più nera, la base di partenza e di sviluppo di quasi ogni mio interesse, il simbolo di una nuova democrazia virtuale esportabile a mio parere anche nel mondo reale (vedi un mio post), ha chiuso (provvisoriamente) per protesta contro il comma 29 del DDL intercettazioni, di cui immagino già sappiate tutto. Mi manca molto. E’ l’inizio della fine per un paese sciagurato come il nostro.

Steve Jobs, fondatore e leader indiscusso di Apple, creatore di un nuovo modo di interfacciarsi con la nuova tecnologia, è morto. Volevo essere io ad aggiornare la sua data di morte in Wikipedia, ma per colpa di Berlusconi non posso. Lo consideravo un genio (parlo di Jobs, ovviamente, vedi un altro mio post).

Non ci resta che buttarci nell’unica sicurezza che ci rimane in questi giorni tristi e confusi: la matematica. Vi segnalo un sito formidabile: gli date in pasto una qualsiasi sequenza di numeri (nel primo campo da riempire) e lui vi dice se la sequenza è compresa nelle prime 200 milioni di cifre decimali di Pi greco. Vi rammento che Pi greco di cifre decimali ne ha infinite, essendo un numero irrazionale (ne parlo in questo mio post).

Non vorrei peccare in megalomania, ma in pratica ho scritto un post su tutto ciò che oggi conta.
E ora che faccio?

lunedì 3 ottobre 2011

Soundtrack a specchio

Cara Rigo, lungi da me l'intenzione di cominciare un interminabile gioco di rimandi e di citazioni reciproche, che tra l'altro non avrebbe nemmeno il pregio di aumentare di molto il numero dei lettori dei nostri piccoli blog, visto che le nostre attuali platee, a quanto intuisco, condividono un'ampia area di visitatori comuni.
Ma il suo bel post sulla colonna sonora della vita ha solleticato alcune manciate di neuroni rimasti per lungo tempo silenti in un angolo della mia glabra zucca in pieno processo di inesorabile decadimento. In quell’angolo era racchiusa la memoria di una certa musica ribelle in un periodo particolare della mia vita. Era l'epoca del mio primo gruppo punk: ci divertivamo con alcuni compagni del liceo a strimpellare in maniera semplice e spontanea i nostri economici strumenti musicali, scegliendo sempre i pezzi con rapporto impatto/difficoltà tecnica più vantaggioso e avendo cura di tenere il volume il più alto possibile.
Ci chiamavamo Candy and the Currant Buns, parafrasi di un vecchio pezzo dei Pink Floyd, e Suonavamo Skiantos, Cure, ma anche un Careful with That Axe, Eugene, un brano parecchio psichedelico basato su un interminabile ma semplicissima sequenza di basso dove si inseriva dopo una decina di minuti un grido lancinante del cantante, Mr. Candy nel nostro caso, che credo simulasse l'orrore per la vista di cosa era riuscito a combinare Eugene con quella cazzo di ascia. Era l’apoteosi.
Il punk in realtà era nato e morto durante una manciata di mesi che precedevano di una decina di anni le nostre performance, ma costituiva ancora la musica semplice e di sicuro impatto liberatorio che tutti erano capaci di eseguire. Come concetto era ancora ben vivo, anche se musicalmente era stato soppiantato dall’hard rock o dal metal, vera mondezza in confronto al suo padre nobile.
Ho ritrovato la stessa musica ribelle anni dopo ai tempi dell'università. Ricordo alcune serate nei discobar in centro dove proponevano una miscellanea eterogenea e inconcludente, ma ad un certo punto, stretto tra Il Triangolo di Renato Zero e il solito pezzo dei Simple Minds spuntava Should I Stay Or Should I Go dei Clash. Era il momento punk, il segnale che si poteva dare fuoco alle polveri, e che per i tre minuti seguenti tutto era concesso. Allora le masse in pista cominciavano a pogare senza esclusione di colpi (per i non addetti il pogo è quella sorta di danza indiavolata di tipo punk dove ci si butta addosso a tutti come tarantolati, non disdegnando gomitate allo stomaco o calci agli stinchi da dispensare ai vicino: involontari, ovviamente...). A quel punto io e br1, dopo aver cavallerescamente accompagnato le nostre dame al primo divanetto disponibile, e dopo aver bofonchiato qualche frase di circostanza tipo “che gente, possibile che si divertano così?” ci scambiavamo un cenno e con un sorriso ebete ci buttavamo letteralmente in pista, nel senso che ci catapultavamo a tirare spallate a destra e manca, trasportati dall'atmosfera da rissa permessa, ovviamente divertendoci come pazzi. Il senso era “ok, voi donne state qui al sicuro, parlate pure tranquillamente di ciprie e merletti, questo è un lavoro da uomini”.

sabato 1 ottobre 2011

Settembre record

Secondo gli ultimi dati diffusi dai meteorologi questo è il settembre più caldo del secolo, solo di poco più freddo del luglio meno torrido del quindicennio ma sicuramente almeno una tacca superiore al dicembre piu umido del lustro. Quel che è certo è che surclassa di parecchio il marzo più instabile dell'anno, oltre a fare il culo al lunedì più medio del quartiere. Praticamente un vero record.