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martedì 7 maggio 2013

Compilando un settetrenta

Messaggio all'Agenzia delle Entrate: quando faccio acquisti in farmacia mi chiedete il codice fiscale. Lo scontrino deve essere parlante, dichiarare senza ombra di dubbio tipologia dell'acquisto, identità dell'acquirente, detraibilità, deve persino far trapelare ipotesi di patologie. Non voglio pensare che tutte queste preziose informazioni vadano sprecate, al giorno d'oggi sono oro, lo sapete perfino voi, sono sicuro che le stipate da qualche parte, su un database in qualche server lontano.
Ebbene, mi dite perché cazzo ad ogni maggio devo ritirare fuori dai cassetti scontrini accartocciati e sbiaditi, devo tentare di leggerli con una lente d'ingrandimento in una mano e un prontuario nell'altra stando attento a sommare solo i farmaci detraibili che altrimenti poi mi fate l'accertamento, poi devo fare le fotocopie di tutto per il CAF e riempire a mano le caselle su un modello 730 che ha l'unico fottuto scopo di comunicarvi informazioni che già avete?
Un cordiale saluto.

giovedì 22 novembre 2012

Il cecchino

Un lavoretto pulito
Sembrava essere sparito dalla circolazione da quando aveva accoppato quel tuo collega arrogante, poi stamattina lo hai visto di nuovo in azione.
Eri nella sala d'attesa del dentista, anzi direi dell'azienda dentistica, visto che anche questa struttura come molte altre per sopravvivere alla crisi sta provando la carta delle economie di scala, dell'abbattimento dei costi fissi e dell'aumento dell'efficienza, e occupa quattro o cinque specialisti e un agguerrito manipolo di ragazzotte tra infermiere e segretarie.
Eccoti lì seduto che già aspettavi da qualche manciata di minuti dopo l'ora fissata per l'appuntamento (questo è un meccanismo che continuo a non spiegarmi e probabilmente getta le sue basi in un circolo vizioso di "so che vieni in ritardo, ti dico mezz'ora prima" rinforzato da "so che mi dici mezz'ora prima e allora vengo in ritardo" che però trova un inceppo quando si imbatte in un tipo puntuale come te, che infatti ora ti trovi ad aspettare).
Insomma eri lì tranquillo ad attendere il tuo turno quando entra quel roscio (1) spavaldo ed aggressivo nei modi e nell'abbigliamento pseudo militare, bomber, pantaloni verdi con tasconi e scarpe ginniche ipertecnologiche, con il suo sguaiato accento romano, e appena si affaccia sulla scena già lo vedi intento ad affermare con tutto se stesso il suo ruolo di maschio dominante. Si rende conto da subito che non può pisciare sull'attaccapanni e non gli rimane che apostrofare in modo pesante le infermiere e le segretarie e appoggiarsi con tutta la sua palestrata massa muscolare sul banco dell'accettazione per sbraitare a voce molto più alta del necessario: "ahò, so' Mazzetta, ciò n'appuntamento alle nove". Dopo la timida replica di attendere seduto il proprio turno, si mette ad andirivenire sbuffando rumorosamente e fissando gli astanti con occhiate aggressive come fossero prede da sbranare. 
Ed è successo. Hai di nuovo visto con la coda dell'occhio lo sportellino sul soffitto che si apriva con un leggero ronzio, mosso da pistoncini idraulici. Da lì è fuoriuscito un tubo metallico brunito lungo una trentina di centimetri, se lo avesse visto un esperto di balistica ci avrebbe riconosciuto la canna di una carabina calibro .22, munita di un discreto ma efficiente sistema di puntamento laser. Dopo una frazione di secondo che hai misurato essere lunga come mezzo sbuffo dello scimmione, un cerchietto rosso poco più grande di una lenticchia si è materializzato sulla sua fronte (dell'energumeno, non dell'esperto di balistica), giusto tra le folte sopracciglia. Poi un rumore sordo, STUMPF, e il tizio giaceva riverso sulla poltrona che aveva a fatica conquistato rubandola ad un ragazzino che si era alzato per prendere una rivista: un lavoretto pulito, senza sbavature, senza schizzi di sangue sulla tappezzeria o lordure sulla moquette. Lo sportelletto sul soffitto si era già richiuso col FFFS del meccanismo ben oliato. A qualcuno è passato in mente di avvertire la famiglia, ma senza troppe ansie, probabilmente con un tipo così madre, padre, moglie e figli avrebbero ringraziato il cecchino meccanico.
Poi però ti hanno chiamato, era arrivato il tuo turno, avevi la capsula da sistemare, hai aperto gli occhi e ti sei preparato, mentre il palestrato ti guardava con spocchia, eri passato prima di lui ed era un concetto difficile da accettare.

Note:
  1. dicesi di chi è rosso di capelli (NdA per non romani)

lunedì 24 settembre 2012

Quanno ce vo'

Mettendo in ordine i pantaloncini estivi mi sono per caso imbattuto in un pizzino con alcune righe che mi ero segnato e che avevo dimenticato. Più o meno diceva così: 

DARE LA MASSIMA DIFFUSIONE:
l'Autogrill di Sala Consilina Est fa schifo, il bagno degli uomini presenta ingenti quantità di merda spalmata sui bordi del water, in quello delle donne gli scarichi non funzionano e le porte sono rotte, al bar servono il caffé in bicchierini di plastica, i panini sono coperti di mosche e il tutto è innaffiato con grande scortesia. Se passate da quelle parti, tirate avanti.

Questa è la massima diffusione di cui sono capace.

martedì 12 giugno 2012

Fight Club

Il parcheggio dedicato ai motorini in prossimità della stazione della metro Cipro, con le strisce bianche ben evidenti ad indicare la gratuità dei posti assegnati alle due ruote in contrapposizione con quelle blu per i posti a pagamento, riservati agli autoveicoli, sta ad indicare una sorta di incentivo economico destinato a chi ha un minor impatto sul traffico urbano e sull’occupazione del suolo pubblico; spesso quel parcheggio gratuito è preda di incivili che, per evitare la zona a pagamento, piazzano la propria auto di traverso occupando in un sol colpo sei o sette posti moto.
E’ a mio parere doveroso che il cittadino dia un segnale a chi non rispetta le regole, e in questi casi il vostro tacchino adotta un comportamento che ha già avuto modo di spiegare qui, un innocuo atto di protesta: alza i tergicristalli della vettura mal parcheggiata, come a dire: “caro signore, disapprovo la sua arroganza e il suo menefreghismo nei confronti delle regole del vivere comune”.
Stamattina il Land Cruiser extra-large modello protezione civile non solo ne occupava otto di posti moto (giuro, li ho contati) ma faceva debordare il suo enorme muso sul marciapiede, occupandolo con entrambe le ruote anteriori. Dopo aver parcheggiato il mio scooter nel poco spazio rimasto, ho fatto quello che faccio sempre: ho alzato con calma i tergicristalli anteriori dell’astronave, come discreto segnale indirizzato al suo conducente.
Un tipo aggressivo è spuntato fuori dal nulla sbraitando.
-Che cazzo fai, lascia la mia macchina, io a te non ti ho toccato, tu non devi toccare me.
-Ma io ho parcheggiato bene mi pare, sei tu che hai invaso otto posti riservati e pure il marciapiedi; e poi non ho danneggiato l’auto, ho solo lasciato un segnale che voleva dire che hai parcheggiato di schifo. Visto che sei qui ti chiedo anche di spostare la macchina, grazie.
-La mia macchina non la devi toccare.
L’atteggiamento era dei più disgustosi, voler ribaltare la situazione con l’aggravante della più becera arroganza, quella legata al possesso dell'auto, assurta in quel momento a status symbol del faccio come cazzo mi pare: sentivo le ghiandole surrenali che secernevano adrenalina a fiotti. Mettiamola così: ha alzato la voce e ho alzato la voce. E forse le cose non sono nemmeno andate in questo preciso ordine. Tralascio i particolari (anche perché non li ricordo), basti sapere che ho concluso la mia invettiva con un “sposta questa cazzo di macchina” gridato a brutto muso. Ho fatto anche un’altra cosa: mentre la dicevo, questa frase, come un molossoide in un ring per combattimenti clandestini, ho fatto un passo avanti verso il mio avversario per saggiarne le volontà combattive.
Se ci ripenso ora mi viene quasi da ridere, ma ero una belva pronta a saltare alla gola (e nemmeno troppo metaforicamente). Lui all’istante ha fatto un passo indietro, in una sorta di remissione. Come se avesse accennato a mettere la coda tra le gambe. Per me è stato più che sufficiente, mi ritenevo completamente soddisfatto, ero pronto a finirla lì, ad accettare la giustizia ristabilita che era implicita in quel passo indietro, in quel piccolo cedimento. Come ogni buon molosso dominante, ero pronto a farmi annusare i genitali (questa volta metaforicamente).
Le cose parevano davvero sistemate, lui che sale sull’auto e mette in moto, io che sono ancora davanti al muso del Toyotone (il genere maschile è ammesso per quella stazza di auto). Poi il tipo mi guarda negli occhi attraverso il parabrezza, fa una brusca accellerata e lascia la frizione ripremendola subito dopo, facendo così fare uno scatto in avanti all’auto che in una sorta di abbaiata si avvicina pericolosamente al mio bacino. Come a dire: ora sono sul mio potentissimo mezzo, ti schiaccio quando voglio, la tua vita è nelle mie mani.
É qui che avviene una cosa stranissima, a mio parere inspiegabile: in questi casi l’Homo Sapiens dovrebbe farsi un rapido calcolo e dire: sai che c'è, ho davanti un coglione, e io non rischio la vita per un coglione, ho una moglie e due figlie, quindi giro le spalle e me ne vado. Questa è la cosa logica da fare, dice l’Homo. E invece il vostro tacchino, che Homo non è, sfoggia uno dei suoi numeri da adolescente in calore: tira un cazzottone sul cofano nero di quella macchina che, con il motore acceso e la marcia innestata, è a soli venti centimetri dalle sue gambe. Esattamente come avrebbe fatto l’Homo Neanderthalensis, o forse nemmeno, che anche lui era più furbo di un tacchino. A quel punto mi aspettavo di tutto. Il tipo per fortuna non va oltre, fa manovra e se ne va, e la cosa finisce senza danni. E mentre fa marcia indietro io sono ancora lì, pronto a guardarlo mentre romba via, come ero stato pronto pochi secondi prima ad affrontare parecchi quintali di SUV con la sola opposizione dei miei sessantasei chili di ossa e occhiali da miope. Come un vero coglione.
E ora mi rimetto completamente alla mercè di ciò che vorrete dirmi: sbeffeggiatemi, chiamatemi animale, fatemi notare che chi scende a quel livello è sempre in torto, fatemi capire che il perdente sono io, che poteva finire male per una cazzata, che non ne valeva la pena, che la calma è la virtù dei forti, che devo crescere, che una persona matura e con famiglia non si comporta così, che è da incoscienti, e ricordatemi pure che non è la prima volta che faccio cose del genere (ed eccone le prove), che prima o poi finirà male, che sono un povero idiota. Forse me lo merito.
Ma mi dovete convincere.

mercoledì 2 maggio 2012

Uomini e cani in esterno abruzzese



L'anziano autoctono immagina che la passeggiata con il cagnolino microtaglia senza guinzaglio si svolgerà come da programmi, cacatina, pisciatina, annusata a genitali di altri cinoesemplari, tanto più in questa giornata che comincia a profumare di primavera, e primavera e genitali hanno un effetto olfattivo stimolante per i tartufi canini.

martedì 13 marzo 2012

Il giustiziere de' noantri

Garbatella, piazza
Benedetto Brin
Domenica mattina. L'aria a Roma ha già assunto quella fragranza di primavera che ti mette in pace con le vie, la gente, il fiume. Sono in strada dalle sei e mezza per l'allenamento premaratona, da casa mia con venti minuti di andatura tranquilla arrivo di fronte al colonnato di San Pietro, la foschia indugia ancora sulla piazza e i poliziotti si aggirano attorno alle Punto di servizio, qualcuno prova una chiacchiera con le guardie svizzere, strano, pensavo fossero istruite a non dare confidenze a nessuno. Dopo altri dieci minuti fiancheggio l'isola Tiberina, vecchio seme della città, ancora dieci e attraverso il nuovo mercato di Testaccio. Giro tra le stradine dove si affacciano i locali notturni che fino a qualche ora prima sono stati teatro di file interminabili e musica che spacca le orecchie. Dopo un'oretta dalla partenza attraverso piazza Brin, angolo meraviglia di un quartiere meraviglia, la Garbatella, e con questo profumo di primavera che mi segue anche il nuovo ponte bianco sull'Ostiense mi garba.

domenica 9 maggio 2010

Il nemico

Episodio: sono in auto con la mia famiglia, percorro una strada piuttosto stretta e sono in fila, ma non capisco perchè. Dopo qualche decina di metri mi accorgo che l'attesa mia e della dozzina di altre auto in fila con me è dovuta alla sosta al lato della stradina di un grosso gippone nero, non per un guasto o per un malore del conducente, ma solo così, perchè doveva gridare qualcosa al telefonino e non gliene fregava niente di chi per passare doveva fare acrobazie. Quando è stato il mio turno di passare, mi sono bloccato al suo lato e mi sono attaccato al clacson. Il tipo, classico potenziale partecipante al "grande fratello", abbronzato e in tiro, mi guarda con strafottenza e mi fa segno con la mano di andare oltre e di non rompere.
Io fermo lì.
Attaccato al clacson, senza pausa, fino allo stremo.
Alla fine cede e va via.
Se avessi avuto un cric a portata di mano e meno familiari accanto gli avrei fracassato la sua ragione di vita, il suo lucido gippone.
In auto mi succede spesso, divento facilmente una bestia. Vengono fuori i miei peggiori istinti, senza nessun argine se non le persone che sono con me.
Sì, lo so, la mia potrebbe essere nient'altro che l'invidia e il livore repressi di un impiegato mediocre deluso dalla sua mediocre vita. Ma non credo sia così. E' molto più semplice. Io in quel momento individuo in quell'essere il mio nemico, il rappresentante di quell'arroganza, ignoranza, inciviltà, menefreghismo che costituisce quanto più odio nel mio prossimo. Gli do la colpa della stragrande maggioranza dei mali italiani.
In fondo non ho poi così tante probabilità di incontrare un tale campionario di schifezze in una sola persona, non frequento i posti dove questo tipo di fauna pullula: non vado in discoteche di grido, in ristoranti fichetti, in spiagge alla moda, l'unico ambiente che condivido con loro è la strada.
Quando ho la fortuna di incontrarne uno ho tutto il diritto di spaccargli la macchina, no?