Visualizzazione post con etichetta autoreferenzialità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta autoreferenzialità. Mostra tutti i post

lunedì 3 novembre 2014

Modesto ma veemente assalto alla casta

Mi sembra che oggi siano i giornalisti quelli che decretano quale sia il bene e quale il male.

Sono loro che giudicano il metodo Stamina sostituendosi ad autorità sanitarie e a sperimentazioni scientifiche.
Sono loro che decidono se un alimento è sano, se il biologico avrà successo, se una dieta è bilanciata; sono sempre loro che giudicano la qualità di vita di un Paese, se un'università è d'élite, se il clima sta cambiando, se i ghiacciai si sciolgono per davvero o se una democrazia è in pericolo.

Trasmissioni come "le Iene" possono far chiudere esercizi commerciali e mettere sotto inchiesta enti pubblici con servizi da poche decine di minuti e quattro interviste. 
Ogni settimana un'inchiesta di Report annienta un diverso settore: pochi giorni fa è toccato alla pizza, poi al caffè, ieri ai piumini. E il bello è che lo fa con contenuti a dir poco opinabili ma con clamore da Watergate. Tipo: il prof. Perin sostiene che la pizza bruciata può far male (dov'è la novità? anche svegliarsi la mattina fa male, aumenta l'entropia e ti avvicina al giorno della morte); oppure: alcuni pizzaioli disonesti condiscono la pizza con olio di girasole al posto di quello d'oliva (e 'sti cazzi? manco fosse cianuro).
... e chi se ne frega...


La ricerca spasmodica di complotti e catastrofi si è impossessata del telespettatore e i giornalisti da inchiesta ci sguazzano come pesci rossi nell'acqua di rubinetto: sono loro, i giornalisti d'assalto, l'ultima frontiera del potere, l'ennesima casta, i nuovi intoccabili. Sono gli unici che possono parlare di tutto pur dichiarandosi sfacciatamente non esperti, che possono attaccare impunemente chiunque, fottendosene di regole che loro stessi si vantavano di maneggiare alla perfezione, tipo il diritto di replica o gli elementi basilari del contraddittorio. Non devono rendere conto a nessuno se non all'audience e alla risonanza mediatica delle loro dichiarazioni. Possono scegliere, tagliare, montare interviste e inserire immagini in modo arbitrario, lanciando messaggi ben precisi senza alcun tipo di verifica o controllo se non quello che si fanno da soli. E se si sbagliano, beh, al massimo una piccola e discreta rettifica in fondo al programma successivo e tutto è sistemato. 

A quando una puntata di Report autoreferenziale, incentrata sul potere che i giornalisti stessi si sono ritrovati per le mani e su come questo viene usato?

mercoledì 29 gennaio 2014

La frontiera del tempo

Dialogo sul tempo in un unico atto con titolo un po' paraculo

Personaggi
  • Conte P, intellettuale dalle nobili origini e dai modi aristocratici, con il vezzo di interessarsi un po' di tutto ma di nulla a fondo;
  • Tacchino, personaggio strumentale alla narrazione, più che altro utilizzato per porgere le battute al protagonista; a tempo perso tiene un blog che, considerato il numero di accessi, potrebbe benissimo essere sostituito da un paio di email al mese destinate a pochi intimi;
  • una giovane cameriera dai tratti piacenti.
Scena

Roma, interno, lounge bar fighetto, due comode poltrone in cuoio nero, un tavolino basso con due snifter colmi per un quarto di un liquido ambrato. Il locale è cablato modernamente in modo che basta sfiorare un pulsante per ottenere il pressoché immediato sopraggiungere della giovane cameriera.

************************************************************

Tacchino: sa cosa mi piace di questo posto, Conte? Che il Lagavulin te lo servono abbondante e nel bicchiere adatto, bello panciuto. Lei dice che per risparmiare ce lo portano annacquato?

Conte P: caro Tacchino, non amo fare questo tipo di illazioni se non supportandole con prove incontrovertibili o per lo meno con solidi indizi. Io vengo qui per fare due chiacchiere, non per immettere in corpo liquidi dal miglior rapporto tasso_alcolico/prezzo disponibile sul mercato, come a volte dà l'impressione di fare lei. A proposito, non è già al quarto? Dovrebbe andarci piano. Piuttosto vorrei portare alla sua attenzione una considerazione che facevo tra me e me giusto stamane, mentre mi recavo alle scuderie accompagnato dal mio fido segugio Piero e che, nonostante siano passate ore, continua a frullarmi in testa.

Tacchino: spari pure, sono tutt'orecchi. Intanto io schiaccio questo bottone e chiamo quello spettacolo di cameriera, ma l'ha vista? Io glielo darei volentieri un colpo.

Conte P: l'altro giorno ho assistito a un seminario del prof. Rovelli in cui l'esimio affermava che, in base ai suoi studi, le equazioni della meccanica possono benissimo essere scritte senza tener conto della variabile tempo. Ciò significa che la fisica di base funziona comunque, anche ipotizzando la non esistenza del tempo. L'unico campo in cui pare non si possa prescindere dal concetto di tempo è la termodinamica: i processi entropici hanno una direzione correlata al tempo. Rovelli sostiene anzi che il tempo sia, in un certo senso, un'illusione che deriva proprio dai processi entropici.

Tacchino: oh, beh, in effetti, non saprei... ah, salve signorina, non avete qualche stuzzichino? 

Cameriera: Se vuole le porto un cestino di olive, sono ottime.

Tacchino: olive? Ma sono gratis? Altrimenti non se ne fa nulla.

Cameriera (allontanandosi un po' disgustata): non si preoccupi, offre la casa.

Tacchino: carina, vero? Ma com'è che non toglieva gli occhi da lei, conte?

Conte P forse perché mentre le chiedeva le olive non faceva che fissarle le tette. Dovrebbe essere più elegante nei rapporti con il gentil sesso, a volte mi chiedo come faccia io ad accompagnarmi a lei, pur se in queste rare occasioni. Le dicevo, sullo spunto della teoria di Rovelli ho provato a fare delle considerazioni. In un certo senso il tempo è intimamente connesso alla visione umana della realtà. Se ci pensa bene, tutte le testimonianze del passato sono solo stati del presente: rovine, fossili, lettere, storie, cosa sono se non forme attuali della materia? Persino quella che consideriamo la prova più inconfutabile del passato, ossia la sensazione che sembra collegare un agglomerato di cellule del presente, il "me ora", a un altro agglomerato più o meno simile del passato, il "me ieri", alla fine dei conti non è altro che un insieme attuale delle configurazioni stabili dei miei neuroni: la mia memoria. L'unica vera testimone del passato diventa uno stato presente, come del resto lo sono altre configurazioni neurali che rappresentano l'unica prova del futuro: le aspettative, le previsioni, le proiezioni mentali; tutta questa roba è solo presente, uno stato della materia, una forma dell'adesso.

Tacchino: sì, ma io nel frattempo divento vecchio e una come quella me la scordo.

Conte P ecco, l'invecchiamento a cui, nella sua semplicità, lei accenna, caro Tacchino, il fatto che la materia abbia stati successivamente sempre più disordinati, è l'unico processo ancora indissolubilmente legato al tempo di cui abbiamo bisogno. Probabilmente è proprio il significato ultimo del tempo.

Tacchino: boh, io mica ho capito bene questa storia. Me lo fa qualche esempio? A proposito, quel whisky, se non lo beve lei, quasi quasi...

Conte P prenda pure, ma non starà esagerando? Ormai è quasi sdraiato su quella poltrona. Allora, dicevo, il concetto non è di certo nuovo, sicuramente anche lei, che legge solo fumetti, si sarà imbattuto in qualche massima del tipo "il passato esiste solo nella memoria, il futuro nell'immaginazione" oppure "il passato non è più, il futuro non è ancora, esiste solo il presente". Beh, diciamo che queste massime forse vanno nella giusta direzione. D'altronde gli animali fanno proprio questo: vivono esclusivamente nel presente. Voleva un esempio per la sua mente elementare? Quando, uscendo di casa, lascio Piero, il mio segugio, da solo, comincia a guaire inconsolabilmente come se non dovesse più vedermi, anche se ormai dovrebbe essere abituato al mio rientro dopo un'ora al massimo. E al mio ritorno mi dedica ogni giorno la stessa accoglienza che mi ha riservato lo scorso inverno al mio ritorno dal Borneo, un viaggio durato più di tre mesi. Per un cane un'ora o tre mesi è uguale: non ha il senso del tempo. Solo gli umani mostrano di avere questo concetto nel loro software. E nemmeno tutti: i bambini, fino a quando non assimilano il meme del tempo dai genitori, ragionano esattamente come gli animali. E' per questo che mal sopportano anche il minimo dolore: lo vivono come se dovesse durare per l'eternità, come se fosse diventato il loro stato stabile. Non hanno l'idea di evoluzione, di cambiamento.
Certo, c'è da dire che il meme tempo è stato il motore della nostra evoluzione, dello sviluppo della nostra cultura: senza l'esperienza del passato e senza la pianificazione del futuro noi non staremmo qui a sorseggiare whisky scozzese, saremmo arrivati al massimo allo stadio di cacciatori/raccoglitori. Ma stasera parliamo di realtà fisica, non di cultura.

Tacchino: E meno male, che io con la cultura non ci ho mai fatto pace. Ma lo sa che sulla storia dei bambini forse ci ha preso? Mia figlia piccola quando mi chiede quanto manca a Natale, che le risponda due giorni o sei mesi reagisce sempre allo stesso modo: s'imbroncia e dice: "noooo, è troppo tempo". 

Conte P esatto. Ha mai provato a spiegare a un bambino piccolo il significato di domani? Facilmente si confonderà con la storia che il domani di ieri è l'oggi di oggi.
Vabbé, si è fatto tardi, io andrei, vuole che l'accompagni? Non mi pare troppo in forma.

Tacchino: Nooooo, tranquillo, sono a posto, se solo mi dà una mano a trovare la macchina... a proposito, ricorda di che colore è?

Conte P dovrebbe riconoscerla dalla ammaccature, se non erro ha ancora lo stesso catorcio a bordo del quale ho avuto il piacere di conoscerla oltre dieci anni fa. Solo una raccomandazione prima di accomiatarci: la prego di ritenere le vaghe chiacchiere di stasera un semplice scambio di opinioni tra vecchi amici, non si sogni neppure di farne cenno su quel suo blogghetto, ne andrebbe della mia reputazione di uomo con i piedi per terra.

Tacchino: Ovvio, sarò una tomba. Burp.

************************************************************

Disclaimer:
i personaggi citati e le vicende qui narrate, incluso questo disclaimer, sono di fantasia, e non hanno alcun legame con personaggi esistenti o vicende realmente accadute.

mercoledì 3 luglio 2013

Ansiosi e dormiglioni


Ero lì che leggevo di uno scrittore americano che, terrorizzato da tagli, correzioni e dalle altre operazioni di editing che avrebbe potuto subire il suo enorme manoscritto, e con la subconscia ansia causatagli dalle regole ferree impostegli durante l'infanzia dalla madre insegnante di grammatica prescrittiva, scrisse una nota precauzionale alla propria casa editrice:

Al correttore di bozze:
Ciao. P. C.: le seguenti caratteristiche non-standard presenti nel ms. sono scelte volute, e qualunque Vostra correzione verrà annullata dall'autore:
- virgolette semplici per indicare dialoghi & titoli, e virgolette in coppia all'interno - inversione dell'ordine consueto. (1)
- nomi comuni e verbi fraseologici in maiuscola come Sostanza, Malattia, Entra Dentro ecc.
- neologismi, catacresi, solecismi e infrazioni sintattiche nelle sezioni che riguardano Minty, Marathe, Antitoi, Krause, Pemulis, Steeply, Lenz, Orin Incandenza, Mario Incandenza, Fortier, Foltz, J. O. Incandenza sr, Schtitt, Gompert.
- congiunzioni multiple all'inizio di proposizioni principali.
- virgole prima di preposizioni posizionate alla fine di una frase.
- trattini per formare termini composti.
- lacerti di frasi a seguire frasi eccezionalmente lunghe.
- suddivisione in paragrafi incoerente, e paragrafi estremamente lunghi.

E mi chiedevo quanto potrebbe aver sofferto lo stesso scrittore se fosse in qualche modo venuto a conoscenza dei refusi disseminati nella traduzione italiana (la maggior parte probabilmente attribuibili non all'autore ma all'editing, e comunque che pretendete dalla prima traduzione mondiale in ordine di tempo di un tomo di tal fatta?).
E poi passavo senza alcuna apparente soluzione di continuità a considerare che, se ti trovi fuori casa, una chiesa può rappresentare il luogo ideale per correggere bozze (ma anche per scrivere, leggere, pensare e riposare al fresco d'estate e al caldo d'inverno), e il bello è che nessuno ti chiede conto della tua presenza e del tuo silenzio (2), e che anche il Mc Donald riesce ad offrire questi vantaggi, se sei disposto a cedere una buona dose di silenzio e tranquillità che solo il tempio ti può garantire per ottenere un bagno accessibile e pulito.
Ero lì che valutavo i pro e i contro dello scambio quando la mia attenzione venne attirata da un verso gutturale a bassissima frequenza, come un russare, anzi era proprio uno che russava, e mi accorsi che il cinese che avevo di fronte nel vagone della linea per Rebibbia si era addormentato in piedi, appena appoggiato con la schiena alla porta scorrevole; e niente, mi chiedevo come fanno 'sti cinesi a dormire in qualsiasi posto e in qualsiasi posizione, sarà che hanno un gene-del-sonno-qui-dove-mi-trovo, boh.

Basilica dei SS Ambrogio e Carlo
(foto da Wikipedia)
Note:
(1) mi rendo conto di quanto sia superficiale l'attenzione che la scuola italiana riserva all'insegnamento della punteggiatura. Per quanto posso testimoniare dal corso dei miei studi, non ricordo nemmeno un accenno all'uso -ormai diffusissimo, e non solo nella letteratura anglosassone- dei trattini e ne ricordo uno sfuggevole a quello delle virgolette; e dalla quotidiana lettura di scritti di ogni tipo (mail, post, articoli, sintesi, analisi, presentazioni) mi appare palese come l'importanza di un corretto uso della punteggiatura sia quantomeno sottovalutata.
E ora mi aspetto una serie di commenti a correzione degli errori di punteggiatura che troverete nel presente post.
(2) la Basilica dei SS Ambrogio e Carlo, su via del Corso, costituisce un eclatante esempio di quanto affermo: attraversare i tre metri dell'ingresso e passare dai rombi, le sirene, il vociare e la calca umana del centro di Roma nel periodo dei saldi estivi al frescolino e alla quasi assoluta quiete della navata centrale è una sensazione impagabile. E lo spazio per sedersi in tutta tranquillità abbonda. La Basilica dei SS di cui sopra si presta ottimamente alla bisogna anche perché, non custodendo opere d'arte di richiamo internazionale, non è frequentata da sciami di turisti algidi e sudaticci (a meno che non conoscano a menadito i lavori di  Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone). Provateci: effetto fuga garantito.

domenica 9 giugno 2013

Loop

Lo smodato apprezzamento per il vincolo di brevità proposto da Twitter mi fa trascurare il blog. Ma non credo ne sentiate la mancanza.

sabato 5 gennaio 2013

Il gioco della vita

Immaginate un mondo bidimensionale diviso in tanti quadratini uguali che rappresentano la minima unità di spazio e che chiameremo celle; ogni cella può essere piena (nera) o vuota (bianca) e ha otto vicini che confinano con essa per un lato o per un angolo. Immaginate un quadrato di, facciamo, mille celle di lato come campo di gioco.
Definiamo le due uniche leggi fisiche del nostro mondo virtuale, solo e nient'altro che queste:
  1. una cella vuota con tre vicini pieni diventa piena, altrimenti rimane vuota.
  2. una cella piena con due o tre vicini pieni rimane piena, altrimenti diventa vuota.
Se siete portati ad antropomorfizzare, potete intendere la regola 1 come nascita da tre genitori, la regola 2 come morte da isolamento o sovraffollamento.

In questo mondo semplificato il tempo scorre in modo discreto, per istanti successivi, un po' come nei combattimenti nei film di Bruce Lee.
Vediamo come funziona questa cosa che abbiamo creato: se in un istante abbiamo una sola cella nera, questa nell'istante successivo diventerà bianca (o morirà per isolamento) e poi il nulla.
Se abbiamo invece tre celle piene contigue e allineate in orizzontale, nell'istante 1 la cella centrale avrà due vicini pieni, e quindi nell'istante successivo rimarrà piena (regola numero 2), mentre le altre due celle, a destra e a sinistra di quella centrale, avranno un solo vicino nero, e diventeranno bianche (sempre regola numero 2). Di contro le celle sopra e sotto la celle centrale, inizialmente vuote, avranno nell'istante 1 tre vicini neri (le tre celle iniziali) e quindi diventeranno nere nell'istante due (regola numero 1). Semplice no?
Per rendere il tutto più realistico, qui sotto vi propongo la situazione dinamica, una figura chiamata "lampeggiatore" di periodo 2 (ogni due istanti torna alla configurazione iniziale):



Ci sono altri lampeggiatori di periodo 2, come questi:





Ma ci possono essere anche figure cicliche a periodi maggiori di 2.
Ci sono poi figure che rimangono sempre fisse, le più semplici delle quali sono queste (provate ad applicare la regola numero 2 ad ogni cella e vedrete che funziona, in quanto ogni cella nera ha due o tre vicini neri):








Di solito, se si dispongono casualmente nello spazio delle celle nere, le configurazioni così create si modificheranno istante per istante per approdare poi ad una situazione statica o all'estinzione. A volte però si può costruire qualcosa di interessante.
Vi consiglio di provare voi stessi a creare delle figure per vedere quanto tempo sopravvivono e se hanno delle caratteristiche particolari. Se, come credo, non vi va di fare i calcoli per conto vostro, sappiate che in rete ci sono decine di programmi, anche online, che lo faranno per voi (ad esempio questo o quest'altro, o se siete ipadizzati ci sono alcune Apps da scaricare), visto che questo mondo artificiale è ben famoso, è stato ideato e poi sviluppato dal matematico britannico John Conway già dall'inizio degli anni settanta, e si chiama "The Game of Life", o semplicemente Life.
Lo scopo iniziale di Conway era mostrare come da un mondo semplice con basilari leggi fisiche (due, nel nostro caso) fosse possibile ottenere comportamenti simili alla vita.

Se questo obiettivo vi sembra esagerato provate a giocarci un po' e scoprirete che ci sono delle figure che si modificano riempiendo celle verso un lato e svotandone altre nel senso opposto e che quindi pare si muovano.
Ad esempio questo è un aliante, la più sempice struttura semovente:



e questa una nave spaziale



Se andiamo verso una maggiore complessità, possiamo trovare delle strutture che ne mangiano altre, che si uniscono a formarne una più grande, o che emettono impulsi informativi verso l'esterno, come il cosidetto "cannone di Gosper", che spara alianti (sono le figurette che vanno verso sudest).



Life avuto moltissimo successo tra studiosi e semplici curiosi in tutto il mondo: sono stati elaborati programmi per PC per simulare a forti velocità le evoluzioni delle figure più complesse, sono state progettate nuove proprietà, sono nati forum per discutere delle figure migliori, persino organizzate battaglie tra creature per trovare la più resistente, la più adatta, in una sorta di evoluzione darwiniana. Vi consiglio di andare a sbirciare su You Tube alcune delle panoramiche più rappresentative (a mo' di esempio vi indico questa, davvero strabiliante).
Life è stato utilizzato anche per provare a simulare la vita artificiale. Ad esempio è stata progettata una figura che è capace di replicare se stessa, una sorta di DNA virtuale. Abbiamo tra le mani un giocattolone in cui, partendo da elementi semplicissimi e regole minime, se si riesce a raggiungere un livello di aggregazione sufficientemente complesso, si giunge a meccanismi che sembrano fuori della portata delle iniziali e semplicissime regole ed elementi, e che sembrano addirittura creati da intelligenze superiori, sembrano avere una vita propria (se avete dato un'occhiata agli esempi su You Tube quest'affermazione non vi sembrerà così assurda), mentre invece sono solo organizzazioni complesse di elementi semplici che seguono un algoritmo, una regola fisica, nient'altro. Qualcuno potrebbe dire che in Life un'intelligenza superiore c'è, ed è quella del demiurgo che inventa la figura e la deposita sul piano di gioco, ma a ben vedere l'apporto del demiurgo è più che altro per simulare una disposizione casuale delle celle che potrebbe verificarsi anche spontaneamente, se solo avessimo a disposizione il tempo necessario e una regola che ogni tanto fornisce un errore, tipo la replicazione non sempre perfetta del DNA.
Prendiamo ad esempio l'aliante. È una figura molto semplice, viene fuori autonomamente dopo pochissimi tentativi ed errori. Ed è il fondamento di tutto il resto su Life, del movimento, dell'informazione che passa da una struttura all'altra. In linea teorica è stato dimostrato che sarebbe possibile creare su Life una macchina di Turing universale, con le informazioni che passano al suo interno grazie ad un nastro di alianti, e quindi svolgere ogni tipo di calcolo (sulla rete ci sono parecchie macchine universali di Turing costruite su Life, ma non so se funzionano davvero). Per alcuni ciò significa che potenzialmente, raggiungendo la necessaria complessità, si potrebbe creare artificialmente una mente, una coscienza. È stato calcolato che una struttura del genere dovrebbe essere sufficientemente complessa (servirebbero 10 alla tredicesima celle, un quadrato di circa tre milioni di celle di lato) ma non c'è da meravigliarsi delle dimensioni teoriche di questo "mostro", considerato che anche con queste dimensioni non sarebbe più grande rispetto ai suoi mattoni fondamentali di quanto un organismo semplice lo è rispetto ai suoi atomi (1).

Che piaccia o meno, fenomeni come questo mostrano il nocciolo della potenza dell'idea darwiniana. Un minuscolo brandello di meccanismi molecolari, impersonali, irriflessivi, automatici e privi di una mente è il fondamento ultimo di tutta l'azione, e quindi di tutto il significato, e quindi di tutta la coscienza, dell'universo.

Vi lascio con un magnifico esempio delle potenzialità di Life: un mega-schema dove, con i meccanismi atomici di Life, viene riprodotto a dimensioni estremamente maggiori Life stesso. In poche parole un Life frattale, sottolineato dall'azzeccatissimo commento audio, una nota che sembra continuamente crescente ma a ben vedere è ciclica, a suo modo una nota frattale.






Note:
  1. Per chi volesse approfondire, consiglio l'ottima trattazione dei significati evolutivi del Game of Life di Conway come viene esposta nel libro di Daniel Dennett, L'Idea Pericolosa di Darwin, dal quale è anche tratto il corsivo finale.

mercoledì 14 novembre 2012

Carnevale della Matematica #55: Sorprese Matematiche

Cari pennuti, vi segnalo il carnevale della Matematica numero 55, ospitato per questa edizione da Maddmaths.
Il vostro tacchino, fino ad ora famelico lettore di tutte le edizioni passate, stavolta, non si sa come, è riuscito ad infilarsi tra gli invitati. Ghiotto com'è di tartine al salmone pensava di farne una scorpacciata a spese di chi fa gli onori di casa, poi ha capito che si trattava di una festa virtuale, con tartine virtuali, che sanno di polimeri e silicio.
Interessante quanto subdola la tecnica utilizzata per scroccare l'invito: ha recuperato un vecchio post di quasi un anno addietro, lo ha camuffato per nascondere per quanto possibile le banalità, gli ha appioppato un titolo che lo facesse sembrare in tema e lo ha proposto pensando che nessuno lo leggesse (del resto era la stessa tecnica che aveva funzionato così bene per la tesi di laurea, perché non riprovarci). Stavolta invece qualcuno ha letto (a proposito, il post è questo). Il pennuto ha provato a fuggire ma le porte ormai erano chiuse e i giochi fatti.
Gli altri contributi sono meravigliosi, non perdeteveli.


mercoledì 22 agosto 2012

Infinite loop



Eschaton - schema della partita dell'8 novembre APAD

“Sta nevicando sui giocatori
ma non sul territorio.
Fanno parte della mappa,
non del fottuto territorio del cazzo.”










Talvolta è capitato che qualcuno, incuriosito dalla mole del libro che imbracciavo o dalla postura che assumevo in metro per bilanciarne il peso rimanendo in equilibrio sulle gambe senza cedere alla tentazione di sedermi (il che sarebbe stato peggio perché mi avrebbe messo ancor più in balìa degli importunatori) o inorridito dalle protuberanze gommose che mi fuoriuscivano dalle orecchie, che avrebbero potuto essere scambiate per auricolari di un sistema per l’ascolto della musica ma che poi ad un’analisi più approfondita si rivelavano essere tappi industriali Stent anti-rumore in schiuma espansa, insomma è capitato che quel qualcuno, facente parte per svariati motivi di quella relativamente ristretta cerchia di persone che si possono definire mie conoscenze, mi abbia chiesto, dopo i convenevoli, “ma questo libro, di che parla?”. Ed è lì che mi bloccavo.
Perché se mi avesse domandato qualcosa di oggettivo, che so, Quanto costa, Quante pagine ha, Quanto pesa, Quanto ti costa il suo peso, allora non avrei avuto problemi a rispondere. E anche se mi avesse chiesto giudizi di valore, tipo, Ti piace? Ti diverte leggerlo? Ti sei pentito di averlo iniziato? Beh, anche in quel caso sarei riuscito ad improvvisare una risposta.
Ma di che parla proprio non sapevo dirlo, così, all’uscita della stazione della metro. I Promessi Sposi, quello sì, so di che parla quel libro, di due tizi che provano a sposarsi, e I Fratelli Karamazov parla delle vicende di una famiglia (1). Ma Infinite Jest no.
Poi succedeva che la domanda me la portavo un po’ in giro, la ospitavo nel mio ufficio, o la pasteggiavo a mensa insieme al caffè, dopo pranzo. E provavo ad immaginare la risposta che avrei potuto dare a quel tipo lì sulla metro. Forse sarebbe stato sufficiente incentrarla sui luoghi: IJ parla di due posti, un’Accademia di Tennis e una Casa di Recupero per Tossicodipendenti. Oppure no, sarebbe stato meglio spiegare che IJ parla di una famiglia, gli Incandenza, e del loro rapporto con il separatismo quebechiano. O che parla delle relazioni, peraltro molto indirette, tra i due protagonisti (protagonisti?) Hal e Gately. Le recensioni “ufficiali” incentrano l’attenzione sul Samizdat, l’opera proibita, e dicono che IJ parla dell’intrattenimento e della dipendenza. E forse hanno ragione loro.
Ma arrivato all'ultima riga me ne sono reso conto di che parla, questo chilo viola. Non perché nelle ultime pagine venga rivelato chissà quale retroscena o esca fuori chissà quale lettura nascosta degli avvenimenti. Anzi, non succede nulla di tutto questo. E' solo che arrivato alla fine ti accorgi all'improvviso che l’oggetto del libro, quello che Wallace racconta per milleduecentottantuno pagine, ce l’hai tra le mani. Questo Infinite Jest parla di se stesso. E’ proprio questo l’intrattenimento perfetto, lo spettacolo che incanta, il vero Samizdat. Questo libro. Rimani lì a guardarlo per un attimo e poi non puoi fare a meno di tornare alla prima pagina, come se fosse la milleduecentottantaduesima e a continuarne la lettura, e ricominci a leggere pure le note, e l’intrattenimento continua, all’infinito (2).
Questa roba dà dipendenza, l’ho già detto, e bisognerebbe scriverlo sulla copertina, sotto al titolo. Non solo perché la lettura ti assorbe completamente, ogni buon libro ne è capace, ma perché ti ritrovi a considerare desiderabile comportarti come ogni singolo personaggio, nonostante siano per la maggio parte estremi, dei derelitti, degli psicopatici, gente ai margini della società, ai limiti della depressione, vicini alla bestialità. Ma vuoi essere come loro, così, per curiosità. Per amore. Vorresti provarlo, il Demerol, per sentirti come Gately e per poi avere l’occasione di disintossicarti alla Ennett (3).
Mi rendo conto che non posso chiudere la questione in quattro parole, una risposta al tipo della metro dovrò pur darla, e dovrò pur lasciare a chi passa da queste pagine la sensazione di aver perlomeno un'idea di che parla Infinite Jest, di David Foster Wallace. E allora ho provato a fare una sintesi, un bignamone, una mera esposizione dei fatti principali così come li percepivo durante la lettura; non ho fatto altro che copiare qui in basso le parole che mi appuntavo a matita sulle ultime pagine del libro man mano che la lettura proseguiva; quanto segue può risentire quindi di omissioni, linguaggio troppo colloquiale, riferimenti a cose e fatti non descritti in precedenza, insomma, potrebbe rivelarsi una vera schifezza, ma mi sembrava brutto lasciarla scritta lì, che dopo un po' la matita sbiadisce, e l'ho copiato qui, nell'imperituro mondo del web. Soprattutto quanto segue non ha nessuna presunzione di completezza, e prescinde da giudizi di valore. Ok, in neretto qualche giudizio di valore. Potete scrivermi segnalando quello che volete: errori, omissioni, travisazioni. Prometto che ne terrò conto. Dove non specificato diversamente tramite l’età di Hal o l’indicazione dell’anno, le vicende si svolgono nell’Anno del Pannolone per Adulti Depend (per la struttura degli anni sponsorizzati vedi qui). Un'ultima cosa: il numero di pagina riportato è quello dell’inizio di ogni capitolo, e intendo come capitoli solo quelli contrassegnati nell’edizione italiana (ma immagino anche nell’originale) con il pallino bianco ombreggiato (4)

Sintesi dei fatti principali narrati in Infinite Jest, di David Foster Wallace

Pag. 3: Hal Incandenza ha 18 anni, è sottoposto al test d’ammissione ad una prestigiosa università. Ma quando prova a parlare escono solo versi incomprensibili e belluini. Lo portano via. Ricorda che da piccolo ha mangiato un pezzo di muffa.
Pag. 20: Erdedy aspetta la consegna di marijuana.
Pag. 32: Hal ha 12 anni, va da un conversatore professionista e scopre che è il padre travestito.
Pag. 37: Hal riceve la telefonata di Orin.
Pag. 39: Un medico saudita riceve per posta una cartuccia e la visiona. Wardine viene maltrattata dalla madre e dal compagno di lei, Roy Tony.
Pag. 47: Hal e Mario conversano prima di addormentarsi. Orin Incandenza nella piscina condominiale a Phoenix.
Pag. 58: Hal fuma mariuana nella sala pompe dell’ETA. Don Gately durante una rapina uccide accidentalmente un importante esponente del terrorismo quebechiano. Troelsch ha il raffreddore.
Pag. 75: James Incandenza e i suoi film (in nota).
Pag. 77: Orin si paracaduta e atterra sul campo di football.
Pag. 79: Si parla di sostanze e di un sogno di Hal.
Pag. 81: Kate Gompert nell’ospedale psichiatrico e la sua crisi d’astinenza da marijuana. Schitt filosofeggia su tennis e caos. Tiny Ewell si disontossica. Varie persone rimangono incantate di fronte alla cartuccia visionata dal medico saudita.
Pag. 104: Marathe, esponente del terrorismo separatista quebechiano (gli AFR) sulla sedia a rotelle, incontra Steeply, agente dei Servizi non Specificati, nel deserto. Cazzeggio negli spogliatoi dell’ETA. Marathe e Steeply continuano il dialogo. All’ETA si visionano cartucce. Ognuno degli studenti anziani parla agli studenti giovani (detti “fratellini”) che ha in tutoraggio. Esperianza romantica di Mario con Motonave Millicent Kent nei boschi dietro l’ETA.
Pag. 151: Lyle il guru in sala pesi. Scimmia di Povero Tony, Il Vostro e C. Wo il cinese dà loro roba tagliata male e C ci rimette la pelle.
Pag. 161: Dialogo telefonico di Hal e Orin. La Ennet House. Un saggio di Hal. Report di Steeply. Elenco di terroristi separatisti. I difetti della videofonia.
Pag. 179: Analisi delle urine all’ETA. Pemulis.
Pag. 186: Anno 1960. Un uomo parla al figlio, James Incandenza, in un garage. Apad: Pemulis se ne va in giro. Allenamenti e consigli “ecco come fare per”. Messaggi scritto lasciati a Pat Montesian, alla Ennett.
Pag. 216: Programma radio di Madame Psychosis e l’edificio dell’Unione, al MIT. Avril Incandenza. La Ennett House e i dintorni. La sala pesi dell’ETA. Cose che si imparano in una struttura di recupero da dipendenza come la Ennett. Elenco di tipi di assuefazioni e di tatuaggi. Pemulis tira fuori il famigerato DMZ.
Pag. 261: Joelle Van Dyne e Molly Notkin. Joelle e James Incandenza. Joelle in overdose. Orin e Hal parlano per telefono della morte del padre e dello shock di Hal.
Pag. 307: Torneo di tennis al Port Washington Tennis Academy. Schacht e Pemulis. John Wayne. Don Gately e il suo lavoro alla Ennett. La sala comune. Storia di Orin che decide di giocare a football alla Boston University. Orin e Joelle. Crisi d’astinenza e declino di Povero Tony Krause.
Pag. 367: Corsi dei prorettori all’ETA e cronaca di Troeltsch dei risultati del torneo del PWTA. In nota telefonata tra Hal e Orin su separatismo. Tutto su Mario Incandenza. Ancora Marathe e Steeply.
Pag. 385: Regole di Eschaton. Partita di Eschaton. Come funzionano gli Aa di Boston e i loro incontri. Vari personaggi. Hellen Steeply e Orin Inc.
Pag. 457: Il presidente Gentle e la politica USA. Proiezione del film di Mario. L’avvento di Interlace e dell’intrattenimento senza pubblicità. Steeply e Marathe. Storia di Eric Clipperton.
Pag. 530: La madre di Gately. Mario e l’assenza di Madame Psychosys. Allenamenti mattutini all’ETA. Pat Montesian e Gately. Marathe e Steeply parlano degli esperimenti sul piacere. Gately guida. Gli AFR uccidono i fratelli Antitoi per cercare il master di IJ.
Pag. 587: Steeply e Marathe. Anno 1963: il padre di James Inc. vuole cambiare materasso. Hal e altri aspettano di essere convocati da Tavis. Gately e Joelle parlano della deformità.
Pag. 645: Randy Lenz e la sua mania di uccidere piccoli animali. Il sogno di Pemulis. Randy Lenz e Bruce Green. In nota: intervista di Hellen Steeply a Orin. Idris Arslanian e Pemulis parlano del modello anulare e del ciclo dei rifiuti. Storia della morte dei genitori di Green. Lenz uccide il cane di un canadese. Mario passeggia nei pressi della Ennett. Mansioni di Gately alla Ennett. Orin e l’uomo in sedia a rotelle. Il cambio di divieto di sosta alle 24.00. Rissa alla Ennett con i canadesi, Gately viene ferito.
Pag. 743: Ai public Gardens svuotano il laghetto. Un uomo in sedia a rotelle rapisce lo studente ingegnere tecnico del suono di Madame Psychosys. Cena all’ETA. Steeply e Marathe parlano di M.A.S.H. Kate Gompert e Erdedy alla Ennett. Partita Hal contro Ortho Stice, Hellen Steeply è sugli spalti, parla con De Lint e Poutrincourt. Matty Pemulis. Hal guarda i film del padre. Povero Tony esce dalla crisi. Erdedy e Gompert parlano della depressione. Primo giorno alla Ennett di Ruth Van Cleve. Randy Lenz scippa due donne cinesi. Gli AFR trovano una copia di IJ, ma non il master. Marathe alla Ennett. Nota: il gioco dei treni. Mario va in giro per le sue riprese, e parla alla madre della tristezza. Hal confessa a Mario la sua tossicodipendenza. Marathe si apre con Kate Gompert. Gli AFR interrogano Molly Notkin. Storia di Orin e Joelle. Hal prova a disontossicarsi e va all’incontro del “cucciolo dentro di te”.
Pag. 971: Gately in ospedale. Lo spettro di James Incandenza. La paura di Gately di ricadere nella dipendenza da Demerol. Adolescenza e giovinezza di Gately. I suoi sogni. Joelle e Gately. Hal al mattino presto. Ortho Stice con la fronte attaccata alla finestra. Storia di Gately e Fackelmann.

La questione IJ dovrebbe finire qui. Anche se quasi quasi...


Note:

  1. Prima di leggere IJ ho sempre messo I fratelli Karamazov in cima ai capolavori della letteratura. Arrivato a pag. 1104 mi accorgo che l’unico romanzo citato in IJ (almeno mi pare, ma sono pronto a ricevere smentite) è proprio I Fratelli Karamazov. Chiamatela coincidenza, se vi va.
  2. Confesso tuttavia che per ora mi sono fermato dopo la rilettura del primo capitolo. La tentazione di reimmergermi in IJ come se nulla fosse e la sicurezza di trovare in ogni pagina decine di dettagli che ora avrebbero un nuovo senso è infatti contrastata dal richiamo dei volumi (a) che in queste settimane si sono accumulati sul comodino e che gridano per avere la meritata considerazione.
  3. Ho provato a cercarne un paio di confezioni sul mercato grigio on-line per cominciare ad assumerlo regolarmente, ma senza fortuna. Qualche giorno dopo ho valutato l’ipotesi di iniziare a bere sul serio per poi avere l’opportunità di affrontare la fase disintossicazione in un circolo degli Aa. Ho persino cercato un modo per montare una cinepresa sul casco, per provare ad accogliere il mondo con l'afflato limpido e sereno di Mario, ad imitare da lontano la sua luce, a comprendere la sua felicità (b). Alla fine ho pensato che strizzare una pallina da tennis sgonfia sarebbe stato meno invasivo e più accettato da chi mi circonda. Giusto ora ne ho una per le mani.
  4. Spero possa servire se non altro ad orientarsi tra i capitoli in caso di seconda lettura a macchia di leopardo.
               (a) Rigorosamente cartacei, almeno per ora.
               (b) Non so se avete presente Deliverance, un film del 1972, conosciuto nella versione italiana come "Un Tranquillo Week End Di Paura" (non mi chiedete il perchè della traduzione, c'entra con il titolo come me con Bolt). Comunque: c'è un duetto chitarra-banjo che ha fatto epoca. Beh, il tipo che suona il banjo è quanto di più vicino all'immagine che ho di Mario Incandenza esista nella cinematografia mondiale.


martedì 14 agosto 2012

Grandezze paradossali

Settenne: papo, ti voglio tanto bene.
Papo: ok, ma tanto quanto?
Pausa.
Lunga.
Settenne: tanto quanto il mio cervello.
Papo: quanto cosa?
Settenne: sì, perchè il bene che ti voglio è nel mio cervello, ma lì dentro ci sono anche altre cose, quindi se il bene che ti voglio è grande come il mio cervello, allora è ancora più grande del bene che ti voglio.
Pausa.
Papo: è davvero grande.

lunedì 4 giugno 2012

Infinite content

immagine tratta da brainpickings.org
Questo libro mi dà il tormento. Mi intossica, mi causa dipendenza, si comporta nei miei confronti come una di quelle Sostanze (la maiuscola non è mia) di cui tratta in maniera tanto minuziosa. Anzi, a ben vedere questa sensazione di assuefazione è aumentata e portata all'estremo proprio dall'argomento che le pagine in cui sono immerso affrontano: guarda caso la dipendenza da Sostanze (l'autorefenzialità torna ad essere il minimo comun denominatore di parecchia di quella che considero la migliore roba che ho letto negli ultimi anni). Continuo a ripetermi che il poco tempo libero che riesco a racimolare deve essere esclusivamente dedicato alla lettura del chilo viola, e che non posso perdere tempo a fare altre cose, incluso parlare della mia ossessione. Qualche giorno fa mi era venuto persino lo schiribizzo di interrompere momentaneamente questo blog. Volevo appendere un cartello con su scritto “questo spazio è sospeso fino a data da destinarsi a causa di insormontabili problemi di connessione neuronica dovuti a sovraccarico da Infinite Jest”.
Ma poi mi sono convinto che una terapia sarebbe stata necessaria, sento il bisogno di spurgare le Sostanze assorbite nella lettura, come facevano le lumache che raccoglievo da ragazzetto d'estate dopo i temporali, e che mettevo in una rete appesa al muro del magazzino per aspettare che si svuotassero del contenuto dei propri intestini prima di passarle in padella (anche se poi non avevo il coraggio di farlo e le liberavo tutte). La terapia di spurgo migliore a mio parere è parlarne di quell'ossessione, sì, ma a piccole dosi; scrivere riguardo alle pagine che leggo, d’accordo, ma non troppo intensamente. In ogni processo di uscita dal tunnel, di affrancamento dalla dipendenza, le diluizioni sono importanti. Si può provare a disintossicarsi parlando con serenità e pacatezza del proprio problema, come nelle tecniche di condivisione e auto consapevolezza degli Alcolisti Anonimi tanto care a David Foster Wallace. Provare a raccontare ma in maniera diluita, un poco alla volta, ecco il segreto. Bisogna trovare il modo per annacquare il contenuto ossessivo con dosi di materiale inerte, con eccipienti neutri, con palline di polistirolo; ad esempio si può provare con cenni poco coinvolti su qualcosa di marginale, sul contenitore ad esempio, la forma del libro, il suo peso, il suo colore. Meglio ancora: con elementi sul contenitore di quel tutt’uno formato dall’insieme lettore/libro. Quindi la stanza da letto, o questo soggiorno o, più adatto nel mio caso, la Metropolitana di Roma, il vero contenitore delle mie letture.
Ecco la soluzione! E a ben vedere è quanto ho inconsapevolmente perseguito già nei due post precedenti: parlare del legame indissolubile tra contenitore e contenuto, tra strumento e fine, tra forma e sostanza, tra cornice e opera d'arte, tra ambiente e mente, insomma, tra la Metropolitana di Roma e la mia personale lettura di IJ, in modo da non rimanere eccessivamente intrappolato nelle pagine vere e proprie.
In rete i consigli sulla lettura del librone si sprecano, e spesso si schierano sullo stesso fronte: attenzione potenziali lettori, dicono questi stregoni, se volete andare avanti avete bisogno della massima concentrazione, quindi niente spiagge, niente mezzi pubblici, niente parchi, solo solitudine e isolamento completo. Non sono d’accordo. Non è importante il luogo in sé stesso, conta solo l’organizzazione. Contano le regole che ti dai.
Nello scorso post abbiamo analizzato la prima regola, la solitudine: se vuoi leggere IJ in metro, la prima cosa da fare è sbarazzarsi dei potenziali rompipalle che vogliono solo chiacchierare (puah). Oggi andiamo avanti col programma. La seconda regola è: non sedersi, mai.
Non è una questione di galateo metropolitano. E’ una semplice legge di sopravvivenza. Analizziamo i rischi che si corrono contravvenendo a questo principio cardine nella vita del lettore underground.
  1. In banchina, all’ora di punta, all’arrivo della metro, la tensione sale alle stelle. La lotta per posizionarsi sulla striscia gialla in modo da essere tra i primi a entrare, è senza quartiere. I più arditi si piantano proprio sul bordo dell’abisso rotabile, rischiando di trovarsi il naso tranciato dall’arrivo del locomotiva. Tutto è lecito pur di conquistare le prime file, spinte, strattoni, viscidi sguisciamenti, il premio è un ambíto posto a sedere. Qualche temerario non aspetta nemmeno l’uscita delle persone dal vagone e, contravvenendo ad una semplice regola del buon senso, prima si svuota una cosa, e solo poi si può riempire di nuovo, si butta dentro a capofitto appena le porte accennano ad aprirsi, bloccando l’intero processo di deflusso e richiamando su di sé maledizioni e anche qualche meritata spallata. Il pericolo in questo gioco è la perdita della dignità, oltre che farsi male.
  2. Ma il viaggiatore-libron-munito oculato non si siede nemmeno quando ci sono posti liberi. Neanche se la giornata è stata davvero pesante e ne sente la fatica nelle gambe. Neanche se ha per le mani un chilo viola da sorreggere e sfogliare. Innanzitutto se vi mettete comodi e siete sprovvisti di un sempre pratico cuore da merluzzo del nord atlantico, siate pronti a frequenti moti di compassione: c’è sempre qualcuno che più di voi meriterebbe di star seduto: un'ottantenne ingobbito dall’artrosi, una signora incinta, un ciccione dall’età indefinibile, un bimbo malfermo nelle gambe, una trentenne stragnocca. Vi guardano con quegli occhioni che implorano un atto di pietà (soprattutto la stragnocca) e l'unico risultato della vostra ostinazione a starvene seduti sarebbe quello di leggere poche pagine senza concentrazione, perché tutta l’attenzione sarebbe spostata su chi vi circonda e sulle cortesie che dovrebbe meritare. Un’ansia difficile da mettere a tacere.
  3. Inoltre sedersi spesso implica la necessità di disporre di uno stomaco di ferro. Stare seduti con le spalle compresse contro quelle del vicino significa sorbirne gli odori, percepirne i sudori, ascoltarne il respiro affannoso, assere esposti agli schizzi dei suoi starnuti, all’acredine del suo alito, al calore del suo corpo. No, grazie.
Fidatevi di me gente, la soluzione migliore è rimanere in equilibrio sulle proprie scarpe, a qualunque costo, con qualsiasi situazione di affollamento. In piedi si trova sempre un modo per rivolgere il viso verso un microspazio personale di almeno una trentina di centimetri di diametro, chessò, l'area di vuoto sopra una valigia, o lo spazio verso una porta o una parete. Io di solito mi piazzo di fronte ai sedili che corrono parallelamente al verso di marcia del treno, con lo sguardo verso chi é seduto, con la pancia all'altezza delle loro teste e con il viso che può godere del notevole vuoto che rimane sopra di loro, e il finestrino di fronte che aumenta la sensazione di spazio. Un ulteriore pregio di questa posizione è che non si è coinvolti nella serie di "scende?" ad ogni approssimarsi di stazione, visto che si è sufficientemente distanti dalle uscite. Lo considero un notevole vantaggio, quasi irrinunciabile se avete intenzione di continuare a leggere quell'enorme agglomerato di contenuto. Anche se poi in alcuni casi non è sufficiente aver conquistato una posizione decente, e potrebbe essere necessario ricorrere ad un buon paio di tappi per orecchie in polistirolo espanso Flents modello industriale.
È proprio in questo contesto, con questo contorno, con questi rumori di fondo, che ho affrontato la settimana di lettura di IJ.

Ed eccomi qui che, dopo una buona dose di palline di polistirolo riempitive riguardanti il contenitore, provo a spurgare la dipendenza dal contenuto sorvolando con leggerezza sulle pagine che mi hanno coinvolto e cercando di non rimanerne di nuovo irretito. E allora accenno quasi di sfuggita alla profetica descrizione del crollo della videofonia raccontata e supportata da un'approfondita analisi delle cause tra le pagine centosettantadue e centosettantotto, più o meno proprio quello che si è verificato nella realtà in anni ben successivi alla pubblicazione del libercolo.
Poi sfioro appena il discorso del padre di J. O. Incandenza al figlio, un monologo sul talento, sulle occasioni perdute della vita, sulle aspettative dei genitori.
Arrivo planando sulla serie di elenchi (e se avete letto il post sugli elenchi di Perec sapete quale effetto trascinante abbia questo tipo di lettura sui miei bulbi oculari) e atterro con un tonfo sui consigli "ecco come fare" dati nella cartuccia di intrattenimento da Hal Incandenza ai giovani tennisti dell'ETA, poi sui messaggi esilaranti scritti alla casella di posta della sig. na Patricia Montesian del CAAS, poi ancora sulla lista delle fughe abusabili ben ampliato nella nota numero settanta, e ancora sulle cose che si imparano se hai l’opportunità di passare del tempo in una struttura statale di recupero da sostanze come la Ennet House di Enfield Ma, fino a sbattere occhi, muso e stomaco sulla lunga, ipnotica e geniale evocazione delle menomazioni e imperfezioni fisiche snocciolata da Madame Psychosis nel suo + o -  Sessanta Minuti. Verrebbe la voglia di cercare su Wikipedia ognuno di questi astrusi termini medici, ma è preferibile non fermarsi alla mera comprensione dei termini e provare a leggerli ad alta voce (forse meglio se non si è in metro, stavolta) assaporandone i suoni con le viscere più che con le orecchie e con il cervello. Il bisogno di apprenderne il significato passa in secondo piano, d'altra parte se DFW avesse ritenuto indispensabile far conoscere il senso letterale dei termini ai propri lettori avrebbe inserito delle note, non mi pare si sia fatto troppi problemi in altre occasioni.

L'edificio dell'Unione, Enfield, Ma
Poi mi areno, e sono ormai in piena scimmia, nelle tre doverose letture che ho dedicato alle pagine duecentoventidue e duecentoventitre, la descrizione dell’architettura dell’edificio dell’Unione, in tutto e per tutto simile ad un cervello umano. Pia madre, chiasmi ottici, area uditiva, mesencefalo, solco frontale inferiore, sutura parieto-occipitale, giro temporale superiore, Ponte di Varolio, abducente, midollo allungato, in queste pagine non si riferiscono a parti del cervello umano ma a elementi architettonici del sito da dove Madame Psychosis trasmette il suo programma radiofonico indirizzato al solito target di geek genialoidi e nerd del MIT, in una sorta di grande metonimia in cui si mette in relazione un contenitore (l’edificio) a un contenuto ad esso simile (i cervelloni degli studenti). Detto così pare la fiera del qualunque, ma si tratta di pagine memorabili. E ho trovato estremamente seducente l'intera descrizione del programma radiofonico di Madame Psychosis (a proposito, nella nota ventiquattro, quella sulla filmografia di J. O. Inc., Madame Psychosis compare spesso come attrice, non so se questo sia solo un piccolo indizio insignificante o se avrà un concreto seguito nella storia, ma in una recensione while reading come questa bisogna assumersi dei rischi, e io scommetto sulla seconda ipotesi).
Piano, vacci piano Tacchino, dovevi diluire, dovevi annacquare, e ti sei fatto coinvolgere di nuovo. Ok, solo un'ultima cosa prima di liberarvi dalle mie ossessioni: non so se avete notato la finezza: non ho numerato i post come ho fatto precedentemente con altri serial blogghistici, stavolta ognuno ha un nome, un po' come gli anni nell'era sponsorizzata per intenderci.
Fine.
Tante care cose a tutti.
(E ricordatevi che provare a ballare da sobri è tutto un altro paio di maniche.)