sabato 27 aprile 2013

Infinito (number 1)




I bambini non hanno un concetto chiaro di infinito. Per loro è facile confondere l'inesauribile con il tantissimo, l'indefinito con l'enorme, l'illimitato con i miliardi di miliardi. Del resto Superman se vuole può volare con una velocità infinita, come infinito è il bene che si vuole al papo o il dolore che si prova per un graffio. Il primo contatto reale che hanno con il vero infinito è quando imparano sul serio a contare (andando oltre la sterile cantilena unoduetrequattro dell'infanzia) e capiscono il meccanismo dei numeri naturali e la potenzialità dell'aggiungere sempre un'unità. Ma non si pongono poi tanti problemi, l'infinito continua ad essere una cosa molto molto grande, ma alla fine confrontabile tranquillamente con il numero dei capelli o con quello dei granelli di sabbia.
Del resto è un concetto che anche nel corso della storia è rimasto per lungo tempo poco chiaro.



Nick Cage e la sua giacca simbolo
Aperta parente. Ribadisco ove ce ne fosse ancora bisogno  per i consueti visitatori e annuncio per la prima volta ai (spero quasi infiniti) nuovi ospiti, che questo modesto blog è l'unico posto dove posso davvero fare quello che mi pare; lo considero un po' come la giacca di pelle di serpente di Sailor (Nicolas Cage) in Cuore Selvaggio: rappresenta il simbolo della mia individualità e la mia fede nella libertà personale, libertà che stavolta ho deciso di utilizzare per ammorbarvi con qualche vaga e imprecisa nozione storico-matematica sul concetto di infinito nell'antichità (1). Tranquilli, ci metto qualche foto colorata qua e là così vi rendo più leggero l'ingrato compito di arrivare fino in fondo. E chiusa parente.

L'idea di infinito non è mai stata immediata e di facile comprensione per l’essere umano. L'estrema astrattezza ne fa da sempre terra di paradossi e veicolo di timori reverenziali, quando non proprio simbolo dell'assurdo e del malvagio.
I babilonesi e gli egizi, primi popoli ad avere un approccio matematico ad alcuni problemi pratici (misure di campi, astronomia, astrologia, calendari, questioni ereditarie) non l'hanno nemmeno sfiorata. Per loro poteva essere oggetto di calcolo o di indagine solo ciò che era ben concreto e di immediata utilità.
Altri che in seguito hanno provato ad affrontare l'argomento relegarono l'infinito e il non definito nel novero delle cose da evitare: i Pitagorici, nella loro concezione numerico/mistica, associavano il concetto di incompiutezza, di imperfezione e di mancanza di forma al male, e nella coppia péras-apeiron, una delle dieci paia di contrari o principi costitutivi delle cose, il secondo termine designa appunto l'infinito, il non-essere, l'imperfezione.

I primi timidi tentativi di affrontare lo spinoso argomento sono stati portati avanti dalla scuola eleatica nel V Sec. AC: un tipo chiamato Zenone, allievo di Parmenide e lui stesso pitagorico, ideò una serie di 4 paradossi, che conosciamo attraverso gli scritti di Aristotele.
Zenone di Elea
A dire il vero queste storielle, più che ad indagare il mistero dell'infinito, servivano a mostrarne al lettore l’assurdità. In uno di questi aneddoti Zenone afferma che per andare da un punto A ad un punto B bisogna prima arrivare ad un punto C che si trova metà strada, ma prima ancora bisogna arrivare a D che è a metà tra A e C and so on. In altre parole assume che lo spazio sia indefinitamente divisibile e che una lunghezza finita contenga un numero infinito di punti, che non si possono coprire con un tempo finito. Conclusione: il movimento è impossibile.
Aristotele, qualche anno dopo, nella Fisica, prova a confutare il paradosso di Zenone. Distingue due tipi di infinito, quello in estensione (ad esempio gli infiniti numeri naturali) e quello in divisibilità (metà della metà della metà...). Secondo Aristotele è possibile uscire dall'impasse del secondo tipo considerando che anche il tempo è infinitamente divisibile, quindi un tempo finito è sufficiente a coprire una distanza finita. Mi pare una buona via d'uscita.
Ma poco dopo lo stesso Aristotele manifesta il suo horror infiniti quando afferma che i concetti indefiniti e privi di forma o di limite sono imperfetti. In una sua disquisizione sulle relazioni tra punti e retta, afferma che il punto è indivisibile e privo di dimensione, pertanto un insieme di punti non può in alcun modo formare una retta continua, al massimo può servire da confine per i segmenti. Un punto attaccato ad un punto, o attaccato a mille punti, continua a non avere dimensioni. L'unico modo per costruire un segmento è muovere un punto e tracciarne il movimento. Il concetto di densità infinita e di continuità, quello che poi sarà proprio dei numeri irrazionali, è anche in questo caso accuratamente evitato.
Gli Elementi di Euclide
Euclide, attorno al 300 AC, nei suoi Elementi (Libro IX, Proposizione XX) presenta una elegantissima dimostrazione (2) dell'esistenza di infiniti numeri primi, affrontando il concetto di infinito estensivo: c'è sempre un numero con determinate caratteristiche (in questo caso la primità) più grande di un numero dato. L'esempio più semplice, se non vi è bastata la nota a pié di pagina, è quello dei numeri naturali: se aggiungo uno ad un numero grande a piacere, trovo sempre un numero più grande.
In realtà  il nostro eroe non parla di infinito in maniera esplicita, e l'enunciato originale (o meglio una traduzione il più possibile vicina all'originale) si presenta più o meno come:

I numeri primi sono più di qualsiasi moltitudine assegnata di numeri primi.
 
D'altro canto lo stesso Euclide evita con attenzione di parlare di infinito anche quando imposta il suo famigerato quinto postulato, quello delle rette parallele, che suona più o meno così:

Se una retta, venendo a cadere tra due rette, forma gli angoli interni da una stessa parte minori di due angoli retti, le due rette, prolungate a sufficienza, si incontrano dalla parte in cui sono i due angoli minori di due angoli retti.

Non si afferma che due rette parallele non si incontrano mai o si incontrano all'infinito (che è un po' la forma moderna ma imprecisa con la quale oggi conosciamo il quinto postulato), bensì che si incontrano dalla parte in cui la somma degli angoli interni (di incidenza con la retta secante) è minore di 180 gradi. Quindi, se la somma degli angoli interni è 180 gradi esatti, le rette non si incontreranno né da una parte, né dall'altra. E questa cosa Euclide la esprime senza mai nominare né tantomeno pensare all'infinito. Al posto di considerare due rette che si estendono all'infinito e dare la condizione di parallelismo, dà una condizione affinchè si incontrino a distanza finita.
un tipo fremente
Conclusione: niente infinito nell'antichità. O meglio, vaga percezione dell'esistenza del problema ma massima attenzione a non sfruguliare troppo il concetto, che potrebbe ribellarsi vomitando paradossi e sfighe varie.

Nella prossima puntata vedremo come l'idea verrà affrontata nei secoli successivi. Sono sicuro che non ve la perdereste per nulla al mondo. Già vi vedo tutti frementi.



Note:

1- Mi riferisco ovviamente al concetto che dell'infinito si era fatta la sparuta minoranza che aveva modo e tempo da dedicare al problema, perché sono alquanto sicuro che il 99% della popolazione avesse ben altri problemi e che dell'infinito non gli importasse una beneamata cippa.

2- Supponiamo ci sia solo un numero finito di primi (p1, p2, ..., pn). Ora consideriamo il numero ottenuto dalla moltiplicazione di tutti i numeri primi e aggiungiamo 1 (p1*p2*...*pn+1). Questo numero è primo, in quanto se lo dividiamo per ognuno dei numeri primi conosciuti (p1, p2, ..., pn) otteniamo sempre come resto 1. Ed è sicuramente più grande di pn. Quindi esistono infiniti numeri primi.
Pensate che questa cosa è stata immaginata 2400 anni fa. Non lo trovate anche voi semplicemente meraviglioso?

mercoledì 17 aprile 2013

Glossa al precedente post


Qualcuno mi ha fatto notare che ormai le macchine fotografiche digitali hanno completamente soppiantato quelle analogiche e nessuno (a quanto ne so) si lamenta perché non sente più la fragranza della pellicola o la liscezza al tatto del rullino, né sente il bisogno di riesumare una vecchia e pesante Nikon FM. Un momento, dico io, la cosa ha funzionato perché le foto digitali le puoi stampare su carta. Immaginate un mondo in cui la foto digitale si può vedere esclusivamente su schermo e soltanto foto analogica si può stampare. Le moderne macchinette non avrebbero fatto molta strada, tuttalpiù il loro ruolo sarebbe stato relegato a utilizzi professionali o per il web, e avrebbero convissuto tranquillamente con la vecchia pellicola, ognuno adatto ai suoi scopi. 
La fotografia digitale funziona perché alla fine la stampi su carta. Proprio come faceva Alfredo. La chiave di tutto è la carta. 
Per quanto mi riguarda trovo l'ebook reader ottimo per alcuni usi (ci leggo benissimo alcuni pdf trovati sul web o altra roba simile nata apposta per essere letta su schermo), ma continuo a leggere libri di carta. Che ne pensate?

sabato 6 aprile 2013

Ebook - fase 3.0

Come ogni mattina Alfredo preparò la cartella per andare a scuola. Il materiale necessario per la seconda liceo è cosa semplice, basta infilare il tablet con su caricati tutti i testi scelti dai professori, le schede degli esercizi e i programmi di scrittura aggiornati. L'unico fastidio era tirasi dietro una volta a settimana una decina di quegli antiquati fogli di carta Bristol che il vecchio e reazionario prof di disegno pretendeva per le esercitazioni a mano libera: il vegliardo non riusciva proprio a digerire le Apps di disegno virtuale.
Ormai da anni la casa di Alfredo, come le tutte altre de resto, era libera da scaffali, mobili a parete, faldoni per documenti, dischi; tutto lo scibile necessario era contenuto nel cloud di famiglia e all'occorrenza visionabile e utilizzabile da dovunque tramite tablet grazie al collegamento wifi che da decenni era obbligatorio e gratuito su tutto il territorio nazionale. Fu un'iniziativa del primo eresiarca della Repubblica Italiana, quel Beppe Primo che nel lontano 2015 aveva rivoluzionato la metodologia di archiviazione del sapere e le modalità di accesso ai documenti: da allora tutti i supporti cartacei, vinilici, plastici, papirici, erano stati eliminati e sostituiti da file elettronici disponibili sui cloud personali, familiari, aziendali, pubblici e governativi.
I primi falò organizzati dal neonato Ministero della Semplificazione Documentale furono dei veri e propri eventi mondani: ognuno accorreva con tutta la propria biblioteca fisica caricata su auto, furgoni, scooter, carretti a ruote, pieni di tutto quello che era ormai vecchio: testi scolastici, romanzi, raccolte di poesie, saggi di storia, cd musicali, dischi in vinile, film su dvd, documenti notarili, persino i vecchi volumi del nonno. Il tutto veniva diligentemente e gratuitamente sostituito dalle copie autorizzate elettroniche, se disponibili, oppure scannerizzato lì per lì in caso di documenti personali, vecchie lettere, fatture, contratti, atti, poi autenticato con firma elettronica dall'addetto comunale e infine cloudizzato. I falò erano una vera e propria festa, si ballava, si beveva, qualcuno ha pure conosciuto in quell'occasione il partner di una vita. Tutti erano pienamente consapevoli della rivoluzione che stavano finalmente portando a termine: un nuovo mondo vedeva la luce da quel momento, un futuro di semplificazione e di libertà dalla carta si stagliava all'orizzonte. Dopo la festa ognuno se ne tornava a casa con una password e tanto spazio sulle pareti di casa da riempire finalmente con oggetti moderni e belli da vedere e da mostrare agli ospiti. Ben presto i termini che designavano gli oggetti non più esistenti furono dimenticati, le parole sono memi dinamici, vivono grazie all'uso, muoiono presto se non utilizzate; "carta" rimase a designare più che altro il materiale da imballaggio e i supporti per la pulizia e la cura del corpo, che soffiarsi il naso con un tablet non era ancora possibile, nonostante i costanti sforzi di Apple e Samsung in tal direzione.
Alfredo era contento così, grazie alla Rivoluzione Documentale non aveva mai dovuto trascinarsi dietro zaini pesanti per andare a scuola, bastava una borsetta per il tablet e la sua memoria per le password, tutto lì. Adorava leggere, romanzi, saggi, divorava tutto, capiva che dietro quelle parole c'era la chiave per la comprensione dell'universo e lui era curioso da sempre. Il tablet lo accompagnava dovunque. Sulla sua porzione di cloud aveva archiviato circa tremila libri, ogni tanto ne richiamava uno sul suo tablet e lo affrontava, di solito prendeva appunti sul word processor e approfittava del collegamento al web per approfondire alcuni argomenti. Un mondo fatto su misura per le sue passioni.
Cominciò a pensare che alcune di quelle opere su file erano davvero fondamentali, tipo quel trattato di storia del pensiero matematico che aveva per le mani in quei giorni, pubblicata sul cloud di "Le Scienze" dal più autorevole terzetto della rete di quegli anni, gli Eredirudi Mathematici. Voleva che quelle parole fossero a sua disposizione sempre. Sì, certo, già lo erano, erano lì sul cloud, ma gli sembrava un modo troppo astratto di conservare qualcosa di così importante, non riusciva a toccare quelle parole, a possederle pienamente, il suo desiderio di dominio fisico non era completamente soddisfatto. 
Qualche tempo prima aveva scovato in cantina una vecchia stampante, appartenuta al nonno di suo padre; la rimise in sesto e cominciò dapprima a stampare le pagine più salienti di alcuni file sui fogli di carta che gli rimanevano dopo le lezioni di disegno, scegliendo accuratamente i paragrafi che voleva avere sempre lì davanti a sé. Poi passò a stampare interi saggi, romanzi, racconti. Ma le pagine così stampate erano troppo disordinate, allora si procurò del cartone dall'imballo del nuovo videoputer 56 pollici del padre e lo utilizzò per rilegare i fogli tra di loro; alcune opere a cui teneva particolarmente le rilegò con colorati cartoncini recuperati dalle scatole di scarpe, e su ci stampava pure il titolo, in modo da poterle distinguere a prima vista; si accorse ben presto che così rilegati quei fogli erano particolarmente gradevoli alla vista, e stavano benissimo ad ornare le pareti vuote della sua stanza.
Comperò uno scaffale per mettere dentro tutto quello che stampava, era bello da vedere e da mostrare ai compagni di classe che lo venivano a trovare. All'inizio non sapeva bene come chiamare quei pacchi di fogli rilegati insieme, poi fece qualche ricerca, scoprì che decenni prima c'era una parola che designava oggetti del genere. Lì chiamò libri. E il suo tablet all'improvviso gli sembrò obsoleto.