Visualizzazione post con etichetta mente. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mente. Mostra tutti i post

giovedì 6 marzo 2014

Due tweets troppo lunghi

1- L'uomo che viaggiava sui treni

Ci sei mai stata a Trieste? Trieste Centrale, 718 chilometri, sei ore e venticinque, Espresso Veloce. Io coi treni ci lavoro da quando c’avevo 21 anni, ora ne ho 75. Ho la tessera, eccola, vedi? Con questa vado dove voglio. Prima per Trieste manco c’erano i treni, ora ce ne sono due, uno alle 10,30 e uno alle 15,45, tutt’e due Espressi Veloci. I controllori quando mi vedono manco mi chiedono il biglietto, ce lo sanno che c’ho questa, io vado dove mi pare. E' che adesso c'ho da fare, scendo a Piramide, che devo pagà 'na multa, sennò oggi potevo andare a Verona. Sei mai stata a Verona Porta Nuova? 512 chilometri, quattro ore e cinque minuti. A Verona ci vanno un sacco di persone.
Lo sai che sei carina? ti porto a Livorno con me se ti va. Livorno Centrale.

(Scampoli di un monologo origliato stamattina su un vagone della Metro B. Tutti i dati relativi a orari, distanze e tempi di percorrenza sono quelli che mi ricordo, quindi probabilmente errati. Giusto per avvertirvi che è inutile che googlate e poi fate i saputelli.)


2- La magia della letteratura

Invece c’è una specie di: «A-ha! Qualcuno almeno per un attimo la pensa come me, o vede una cosa nel modo in cui la vedo io». Non capita sempre. Sono brevi flash, fiammate, ma ogni tanto mi capitano. E non mi sento più solo, a livello intellettuale, emotivo, spirituale. La letteratura e la poesia riescono a farmi sentire umano, a eliminare quel senso di solitudine, a mettermi in comunicazione profonda e significativa con un’altra coscienza, in un modo in cui non ci riescono altre forme d’arte.

David Foster Wallace, da un'intervista concessa a Laura Miller nel 1996


mercoledì 29 gennaio 2014

La frontiera del tempo

Dialogo sul tempo in un unico atto con titolo un po' paraculo

Personaggi
  • Conte P, intellettuale dalle nobili origini e dai modi aristocratici, con il vezzo di interessarsi un po' di tutto ma di nulla a fondo;
  • Tacchino, personaggio strumentale alla narrazione, più che altro utilizzato per porgere le battute al protagonista; a tempo perso tiene un blog che, considerato il numero di accessi, potrebbe benissimo essere sostituito da un paio di email al mese destinate a pochi intimi;
  • una giovane cameriera dai tratti piacenti.
Scena

Roma, interno, lounge bar fighetto, due comode poltrone in cuoio nero, un tavolino basso con due snifter colmi per un quarto di un liquido ambrato. Il locale è cablato modernamente in modo che basta sfiorare un pulsante per ottenere il pressoché immediato sopraggiungere della giovane cameriera.

************************************************************

Tacchino: sa cosa mi piace di questo posto, Conte? Che il Lagavulin te lo servono abbondante e nel bicchiere adatto, bello panciuto. Lei dice che per risparmiare ce lo portano annacquato?

Conte P: caro Tacchino, non amo fare questo tipo di illazioni se non supportandole con prove incontrovertibili o per lo meno con solidi indizi. Io vengo qui per fare due chiacchiere, non per immettere in corpo liquidi dal miglior rapporto tasso_alcolico/prezzo disponibile sul mercato, come a volte dà l'impressione di fare lei. A proposito, non è già al quarto? Dovrebbe andarci piano. Piuttosto vorrei portare alla sua attenzione una considerazione che facevo tra me e me giusto stamane, mentre mi recavo alle scuderie accompagnato dal mio fido segugio Piero e che, nonostante siano passate ore, continua a frullarmi in testa.

Tacchino: spari pure, sono tutt'orecchi. Intanto io schiaccio questo bottone e chiamo quello spettacolo di cameriera, ma l'ha vista? Io glielo darei volentieri un colpo.

Conte P: l'altro giorno ho assistito a un seminario del prof. Rovelli in cui l'esimio affermava che, in base ai suoi studi, le equazioni della meccanica possono benissimo essere scritte senza tener conto della variabile tempo. Ciò significa che la fisica di base funziona comunque, anche ipotizzando la non esistenza del tempo. L'unico campo in cui pare non si possa prescindere dal concetto di tempo è la termodinamica: i processi entropici hanno una direzione correlata al tempo. Rovelli sostiene anzi che il tempo sia, in un certo senso, un'illusione che deriva proprio dai processi entropici.

Tacchino: oh, beh, in effetti, non saprei... ah, salve signorina, non avete qualche stuzzichino? 

Cameriera: Se vuole le porto un cestino di olive, sono ottime.

Tacchino: olive? Ma sono gratis? Altrimenti non se ne fa nulla.

Cameriera (allontanandosi un po' disgustata): non si preoccupi, offre la casa.

Tacchino: carina, vero? Ma com'è che non toglieva gli occhi da lei, conte?

Conte P forse perché mentre le chiedeva le olive non faceva che fissarle le tette. Dovrebbe essere più elegante nei rapporti con il gentil sesso, a volte mi chiedo come faccia io ad accompagnarmi a lei, pur se in queste rare occasioni. Le dicevo, sullo spunto della teoria di Rovelli ho provato a fare delle considerazioni. In un certo senso il tempo è intimamente connesso alla visione umana della realtà. Se ci pensa bene, tutte le testimonianze del passato sono solo stati del presente: rovine, fossili, lettere, storie, cosa sono se non forme attuali della materia? Persino quella che consideriamo la prova più inconfutabile del passato, ossia la sensazione che sembra collegare un agglomerato di cellule del presente, il "me ora", a un altro agglomerato più o meno simile del passato, il "me ieri", alla fine dei conti non è altro che un insieme attuale delle configurazioni stabili dei miei neuroni: la mia memoria. L'unica vera testimone del passato diventa uno stato presente, come del resto lo sono altre configurazioni neurali che rappresentano l'unica prova del futuro: le aspettative, le previsioni, le proiezioni mentali; tutta questa roba è solo presente, uno stato della materia, una forma dell'adesso.

Tacchino: sì, ma io nel frattempo divento vecchio e una come quella me la scordo.

Conte P ecco, l'invecchiamento a cui, nella sua semplicità, lei accenna, caro Tacchino, il fatto che la materia abbia stati successivamente sempre più disordinati, è l'unico processo ancora indissolubilmente legato al tempo di cui abbiamo bisogno. Probabilmente è proprio il significato ultimo del tempo.

Tacchino: boh, io mica ho capito bene questa storia. Me lo fa qualche esempio? A proposito, quel whisky, se non lo beve lei, quasi quasi...

Conte P prenda pure, ma non starà esagerando? Ormai è quasi sdraiato su quella poltrona. Allora, dicevo, il concetto non è di certo nuovo, sicuramente anche lei, che legge solo fumetti, si sarà imbattuto in qualche massima del tipo "il passato esiste solo nella memoria, il futuro nell'immaginazione" oppure "il passato non è più, il futuro non è ancora, esiste solo il presente". Beh, diciamo che queste massime forse vanno nella giusta direzione. D'altronde gli animali fanno proprio questo: vivono esclusivamente nel presente. Voleva un esempio per la sua mente elementare? Quando, uscendo di casa, lascio Piero, il mio segugio, da solo, comincia a guaire inconsolabilmente come se non dovesse più vedermi, anche se ormai dovrebbe essere abituato al mio rientro dopo un'ora al massimo. E al mio ritorno mi dedica ogni giorno la stessa accoglienza che mi ha riservato lo scorso inverno al mio ritorno dal Borneo, un viaggio durato più di tre mesi. Per un cane un'ora o tre mesi è uguale: non ha il senso del tempo. Solo gli umani mostrano di avere questo concetto nel loro software. E nemmeno tutti: i bambini, fino a quando non assimilano il meme del tempo dai genitori, ragionano esattamente come gli animali. E' per questo che mal sopportano anche il minimo dolore: lo vivono come se dovesse durare per l'eternità, come se fosse diventato il loro stato stabile. Non hanno l'idea di evoluzione, di cambiamento.
Certo, c'è da dire che il meme tempo è stato il motore della nostra evoluzione, dello sviluppo della nostra cultura: senza l'esperienza del passato e senza la pianificazione del futuro noi non staremmo qui a sorseggiare whisky scozzese, saremmo arrivati al massimo allo stadio di cacciatori/raccoglitori. Ma stasera parliamo di realtà fisica, non di cultura.

Tacchino: E meno male, che io con la cultura non ci ho mai fatto pace. Ma lo sa che sulla storia dei bambini forse ci ha preso? Mia figlia piccola quando mi chiede quanto manca a Natale, che le risponda due giorni o sei mesi reagisce sempre allo stesso modo: s'imbroncia e dice: "noooo, è troppo tempo". 

Conte P esatto. Ha mai provato a spiegare a un bambino piccolo il significato di domani? Facilmente si confonderà con la storia che il domani di ieri è l'oggi di oggi.
Vabbé, si è fatto tardi, io andrei, vuole che l'accompagni? Non mi pare troppo in forma.

Tacchino: Nooooo, tranquillo, sono a posto, se solo mi dà una mano a trovare la macchina... a proposito, ricorda di che colore è?

Conte P dovrebbe riconoscerla dalla ammaccature, se non erro ha ancora lo stesso catorcio a bordo del quale ho avuto il piacere di conoscerla oltre dieci anni fa. Solo una raccomandazione prima di accomiatarci: la prego di ritenere le vaghe chiacchiere di stasera un semplice scambio di opinioni tra vecchi amici, non si sogni neppure di farne cenno su quel suo blogghetto, ne andrebbe della mia reputazione di uomo con i piedi per terra.

Tacchino: Ovvio, sarò una tomba. Burp.

************************************************************

Disclaimer:
i personaggi citati e le vicende qui narrate, incluso questo disclaimer, sono di fantasia, e non hanno alcun legame con personaggi esistenti o vicende realmente accadute.

sabato 26 gennaio 2013

Mente e corpo nell'anno di MasterChef

Ecco come fingersi preparati su un qualsivoglia argomento e improvvisare a richiesta, durante la colazione, una spiegazione su come il corpo possa fare tante attività insieme: la mano solleva il cucchiaio, la bocca si apre per accogliere il boccone e iniziare la masticazione, lo stomaco comincia a secernere qualcosa di stomachevole e in mezzo a tutta questa confusione le pupille continuano a regolare la propria apertura, il cuore a battere, le palpebre pure, i reni a fare il loro mestiere di reni and so on, il tutto guidato in qualche modo automatico o semiautomatico dalla regia del cervello e del resto del sistema nervoso.
Ecco come passare con nonchalance a una gnoseologia dell'attività cosciente che, al contrario del corpo, o meglio delle attività incoscienti (nel senso di compiute in modo non cosciente) non può gestire compiti in parallelo e procede solo per singole attività, e spiegare che non si può prestare una piena e vera attenzione a due pensieri insieme, e chi dice che riesce a ascoltare musica mentre studia un capitolo di storia in realtà mente, checché raccontasse in proposito lo stesso tacchino nella sua lontana vita di studente: o non ascolti o non studi. Al limite riesci a suddividere il tempo in brevi spicchi di pochi secondi per cui in uno ascolti e in uno studi, dilatando i tempi della seconda attività senza apprezzare in toto la prima. Il resto è illusione.
Ecco in che modo utilizzare il solito esempio del camminare come se fosse un proprio copyright, e spiegare alla platea che il corpo riesce a farlo in maniera totalmente autonoma e a-cosciente, senza bisogno di pensare "prima il piede destro poi il piede sinistro", in modo da lasciare alla coscienza, questo sottoprodotto probabilmente accidentale dell'evoluzione umana, la possibilità di dedicarsi a una chiacchierata o a pensieri silenti.
Ecco come riuscire a chiosare con la pomposa ma alquanto realistica evidenza che il corpo, da questo punto di vista, è di gran lunga superiore alla mente, essendo quello multitasking e questa mono.
Ecco come convincere una bimba ottenne a guardarti con quegli occhi che sembrano dire, papo, ma a te si può chiedere proprio tutto, ed ecco come capire, in maniera del tutto presciente, da dove viene quel sapore di cioccolato che ogni tanto la vita assume.

lunedì 24 dicembre 2012

Not So Frequently Asked Questions


Tempo di feste, tempo di compiti per le vacanze.
L'homework di una settenne non è poi così difficile, le domande alle quali deve cercare risposta non sono mai complicate, spesso la soluzione è contenuta nelle righe subito sopra, nei pochi dati di un problema, nella figura che illustra la pagina, basta guardarsi un po' intorno e il gioco è fatto. La settenne a questo ci è abituata, conosce le regole della competizione ed è stata addestrata ad utilizzarle, non ci sono scossoni né imprevisti.
Poi stamattina succede l'imponderabile.
-Papo, c'è una domanda che non capisco, mi aiuti?, che vuol dire questa cosa?
Tu stai prendendo il caffè, ti avvicini al tavolo da lavoro già pregustando la figura da grande sapiente che potrai fare aiutato non chissà da quale scienza infusa ma solo grazie ad un briciolo di esperienza nei meccanismi della scuola e alle mille prove d'esame sostenute nella tua carriera ventennale di studente. Ti aspetti la solita questione su quante caramelle rimangono nella scatola, oppure su che vegetazione trovi sopra ai tremila metri, per la quale potrai finalmente riaprire quel cassettino dietro l'ipofisi da cui tirar fuori quel "muschi e i licheni" che pensavi non avresti mai potuto utilizzare e invece alla fine tutto serve, nella sudata costruzione del nozionismo non si butta via nulla.
-Dimmi piccolina, il tuo papone onnisciente è qui per aiutarti.
-Qui sul libro c'è una storia di due pagine che ho letto, poi ci sono alcuni quesiti sulla comprensione del testo ai quali ho risposto, poi mi si chiede un riassunto che ho fatto.
-Allora?
Non dice letteralmente "quesiti sulla comprensione del testo".
-Alla fine c'è una domanda che non capisco, dice "cosa ne pensi?"
-"Cosa ne pensi?"
-Sì, "cosa ne pensi?"
Accidenti, e ora? Come si spiega il significato di questa roba? So illustrare alla perfezione un problema di matematica (almeno quelli di livello elementare) e le operazioni necessarie per risolverlo, so dare indicazioni per fare un buon riassunto, so ripetere una lezione di storia. Ma come si fa a spiegare come avere un'opinione personale su qualcosa?
Ecco Tacchino, quarantuno anni, che cerca di spiegare alla figlia studentessa di terza elementare cose su cui lui stesso ha difficoltà a volte insormontabili: quello che pensi è davvero farina del tuo sacco? Fino a quanto è solo sentito dire, solo meme digerito e rigurgitato, solo idea letta da qualche parte e ora riproposta? In cosa consiste l'autonoma invenzione, la libera opinione? 
Provo ad arrabattare concetti astratti tipo "che sentimenti provi" ma mi accorgo che sono fuori strada, poi provo con "cosa ti ricorda" ma anche questo c'entra poco. È meglio cercare di capire cosa davvero ne pensa del racconto o farle capire che conviene rispondere quello che la maestra vorrebbe sentirsi dire? Sono tentato di arrendermi, ma il papo onnisciente che figura farebbe? Vado in loop, alla fine propendiamo per la solita banalità, rimaniamo nella mediocrità attesa in una terza elementare. 
Opinioni personali. Cosa ne pensi. Roba da matti, ma sono domande da farsi?

sabato 15 dicembre 2012

Di nuovo sulla congettura di Babbo Natale

Siamo quasi a natale, vi ripropongo quanto scrissi un anno fa. Alcune condizioni al contorno sono variate, ma il contesto di base è immutato. La congettura di Babbo Natale, come quella di Goldbach o quella dell'Anima, pur non dimostrata, è ritenuta vera dai più.
++++++++++++++++++++++++++++

Mia figlia V. ha sei anni e crede a Babbo Natale.
Fin qui nulla di strano, i bimbi credono a quello che i grandi raccontano loro, la capacità critica di analizzare i fatti senza lasciarsi influenzare dalla tradizione e dalle voci del popolo arriva solo dopo, se arriva. E poi credere a Babbo Natale è anche una buona spiegazione per alcuni fatti che non si riescono a spiegare altrimenti: chi porta tutti quei regali? Chi è quel signore grasso vestito di rosso che campeggia sui cartelloni pubblicitari? E, soprattutto, se ci credono tutti ci sarà un motivo, no? E quindi quella di Babbo Natale è una congettura accettata all’unanimità (perlomeno nel mondo dei bimbi).
La compagna di banco di mia figlia, E., qualche settimana fa ha cominciato a sollevare dei dubbi, ha individuato alcuni elementi che si scontrano con la congettura di Babbo Natale. Secondo lei è difficile portare in una sola notte regali a tutti i bimbi del mondo, i bimbi sono davvero tanti. E poi E. non si spiega come facciano le renne a volare, le ha viste allo zoo e le sono sembrate tutt’altro che leggére e sicuramente prive di ali. E. ha raccolto degli elementi che ritiene oggettivi e ha avanzato un’ipotesi alternativa a quella classica: lei crede che i regali vengano portati da zii, nonni e genitori, e che Babbo Natale (è dura da scrivere, ma riporto solo l’ipotesi di E.) non esista. E. ritiene che quest’ipotesi si adatti meglio ai fenomeni osservati, e renda superfluo ricorrere a sovvertimenti temporanei delle leggi di natura (estensione del tempo della notte di Natale e renne che volano). Se si postula la non esistenza di Babbo Natale, o perlomeno la sua estraneità alla consegna dei regali, tutto è più semplice. Non c’è nemmeno bisogno dell’efficiente quanto anacronistico servizio postale che permette la comunicazione dei desideri dei bimbi. Tutto fila liscio senza troppe complicazioni. Ad E. tutto questo sembrava lampante, almeno fino a ieri.
Ma purtroppo E. è rimasta sola. La congettura di Babbo Natale, sostenuta all’unanimità dal resto dei bimbi nonostante le ragionevoli obiezioni sollevate da E., è ancora il sistema di spiegazione della realtà universalmente accettato in classe. La piccola E. è stata all’inizio trattata con incredulità, poi è stata sbeffeggiata e infine anche isolata in qualche gioco. Ma E. è un animale sociale, e ne soffre.
Stamattina a colazione mia figlia V. mi ha detto che ora anche E. crede a Babbo Natale. Non è riuscita a rimanere sola per molto, vuole far parte del gruppo, vuole che gli altri la considerino una di loro.
A quelle condizioni forse avrei fatto lo stesso.

++++++++++++++

sabato 16 giugno 2012

Gottinga e l'infinito

L'Università di Göttingen, in Germania
Mettetevi comodi e leggete questo fumetto di Davide Osenda. Si parla di Cantor e degli infiniti, del vecchio Kurt Gödel e del nazismo, e c'è persino l'esempio del grammofono tratto dal capolavoro di Douglas Hofstadter, Gödel Escher e Bach.
L'ho scovato grazie all'Archivio David Foster Wallace Italia (trovate il link qui a lato): pare che il nostro nuovo amico DFW fosse particolarmente sensibile a questi argomenti, visto che ci ha pubblicato anche un saggio.
Ora mi torna tutto.

martedì 15 novembre 2011

Keynes contro Sting

Ricordo una frase che risale ai tempi dei miei studi in economia, era di John Maynard Keynes ed era riferita alla cattiva capacità predittiva a lungo termine di alcuni modelli macroeconomici. Il grande economista inglese amava dire nel lungo periodo saremo tutti morti. Ho sempre pensato che quelle parole potessero essere utilizzate da qualcuno in maniera fuorviante per sottintendere un innato scarso interesse verso gli effetti remoti di una decisione economica attuale. Come a dire, prendo la decisione in base agli effetti che voglio produrre a breve termine, per quanto riguarda il lontano futuro è difficile capirci qualcosa e nemmeno tanto utile, visto che l'orizzonte degli eventi di chi prende la decisione è al meglio di poche decine di anni. Percepisco un nefasto presagio nascosto dietro quest’atteggiamento, una pericolsa minaccia per il destino delle umane genti, non tanto per l'incapacità tecnica di prendere decisioni che abbiano una sostenibilità futura, quanto piuttosto per l'ipotizzata inutilità a farlo, vista l'assenza di un incentivo, di un legame con il futuro che non sia il sè, l’arco della propria vita.
Cosa ci responsabilizza verso gli effetti futuri delle nostre decisioni? Cosa ci incentiva a fare scelte coerenti con il benessere delle generazioni future? Qui non ci vuole un flebile monito morale, ci vuole qualcosa di viscerale, di fisico, un cavo d’acciaio che ci lega direttamente ai decenni a venire. Si tratta di costruire un ponte stabile tra la propria vita e quella futura.
E io penso che il modo più viscerale per avere cura del posto in cui viviamo è popolarlo con i propri figli.
La prole ormai non serve più a riempire il pianeta di Homini Sapiens, o a dare nuove braccia all’agricoltura o alle fabbriche, anzi, siamo fin troppi, lo abbiamo capito. Non si tratta di far sopravvivere la specie, almeno non solo. E non si tratta nemmeno di assicurare la sopravvivenza dei propri geni, del proprio cognome, della propria famiglia o patrimonio personale, tutti obiettivi forse una volta sentiti ma che oggi hanno perso gran parte del loro peso.
Lasciare una prole è fondamentale perché costituisce un legame individuale e fisico con il futuro. Metti al mondo un figlio e prima di fare una guerra nucleare al primo che ti sputa in faccia ci pensi due volte. Lo diceva anche Sting nel 1985, in Russians, un brano figlio della guerra fredda, dove a conclusione di ognuna delle tre strofe ripeteva I hope the Russians love their children too. Ovvio che il concetto di prole è allargato. Intendo prole non esclusivamente come legame di sangue, non è necessario che il ponte sul futuro sia costituito da figli naturali, il concetto di figlio come prolungamento della vita del padre vale anche per il discepolo e il suo insegnante, per l'apprendista e per il suo maestro, per l'amico e per la sua guida, in alcuni casi per il lettore e per il suo scrittore, qui non si parla solo di identificazione genica, quanto memica. Solo se tieni a chi ti viene dopo come a te stesso, indipendentemente dal legame di sangue, allora capirai che gli effetti a lungo termine delle tue decisioni sono importanti. 
E' sufficiente un forte legame memico con la generazione futura per sfanculare Keynes e la sua deresponsabilizzazione, e costruire un ponte a lungo, lunghissimo termine verso il futuro. Infinite generazioni al posto di una sola. Lunghissimo termine al posto di breve.
Sting batte Keynes infinito a uno.

giovedì 10 novembre 2011

Confessioni di una stampante

Chiamatemi JX451.
Sono una macchina, una stampante laser dell’ultima generazione ad altissima qualità, e non lo dico per vantarmi.
Secondo alcuni di voi, noi macchine (e per deduzione anche noi stampanti) non possediamo una coscienza, non abbiamo alcuna vita interiore, non possiamo esprimerci né prendere decisioni. Io non mi occupo di queste pippe mentali tipiche degli umani, so solo che il Sig. Tacchino mi ha offerto la possibilità di essere ospitata nel suo blog nuovo di zecca, e io non me lo sono fatto ripetere.
Come dicevo sono una stampante di qualità, adoro la carta spessa e pesante delle comunicazioni ufficiali, mi piacciono i font istituzionali, ma non disdegno a volte quelli più frivoli. Abito a Roma, in centro, in via del Plebiscito 102, a Palazzo Grazioli (l’indirizzo lo conosco bene, visto che l’ho stampato parecchie volte nelle intestazioni) e sono la stampante di un tizio importante.
Sono sempre impegnata, qui si organizzano riunioni di vertice, meeting riservati, feste mondane; stampo inviti in caratteri cirillici o arabi per importanti personalità internazionali, in seriosi Times per comunicazioni ufficiali, ma anche in tenui corsivi per inviti ad allegre serate.
E’ da ieri che tutte le mie colleghe macchine sono in subbuglio, si dice che il principale sia molto indaffarato in questi giorni. Addirittura Irma, la vecchia telescrivente, un po’ dimenticata dopo l’avvento di email e telefonate satellitari, è tornata in funzione per sbrigare alcune urgenze. Ma tutti si aspettano il momento clou, e dicono che io sarò la protagonista. Si dice che tra qualche giorno dovrò stampare una lettera importante da inviare al Quirinale, in piazza del Quirinale 1 (anche questo è un indirizzo che ho stampato altre volte) che parlerà delle dimissioni di qualcuno. Sono così eccitata. Sarà il mio momento magico. Spero solo che il mio principale sia contento del mio lavoro, in fondo lo faccio solo per lui. Voglio proprio vedere il sorriso sul suo volto quando vedrà la spessa carta inchiostrata perfettamente dal mio toner originale giapponese, il font scelto con cura appositamente per l'occasione, l'ortografia perfetta. Il mio unico desiderio è continuare a lavorare per lui e farlo sempre contento. Sono stata programmata per questo. Non gli farei mai del male.
Vi terrò informati, se il Sig. Tacchino mi ospiterà ancora.

martedì 25 ottobre 2011

La congettura di Babbo Natale

Mia figlia V. ha sei anni e crede a Babbo Natale.
Fin qui nulla di strano, i bimbi credono a quello che i grandi raccontano loro, la capacità critica di analizzare i fatti senza lasciarsi influenzare dalla tradizione e dalle voci del popolo arriva solo dopo, se arriva. E poi credere a Babbo Natale è anche una buona spiegazione per alcuni fatti che non si riescono a spiegare altrimenti: chi porta tutti quei regali? Chi è quel signore grasso vestito di rosso che campeggia sui cartelloni pubblicitari? E, soprattutto, se ci credono tutti ci sarà un motivo, no? E quindi quella di Babbo Natale è una congettura accettata all’unanimità (perlomeno nel mondo dei bimbi).
La compagna di banco di mia figlia, E., qualche settimana fa ha cominciato a sollevare dei dubbi, ha individuato alcuni elementi che si scontrano con la congettura di Babbo Natale. Secondo lei è difficile portare in una sola notte regali a tutti i bimbi del mondo, i bimbi sono davvero tanti. E poi E. non si spiega come facciano le renne a volare, le ha viste allo zoo e le sono sembrate tutt’altro che leggére e sicuramente prive di ali. E. ha raccolto degli elementi che ritiene oggettivi e ha avanzato un’ipotesi alternativa a quella classica: lei crede che i regali vengano portati da zii, nonni e genitori, e che Babbo Natale (è dura da scrivere, ma riporto solo l’ipotesi di E.) non esista. E. ritiene che quest’ipotesi si adatti meglio ai fenomeni osservati, e renda superfluo ricorrere a sovvertimenti temporanei delle leggi di natura (estensione del tempo della notte di Natale e renne che volano). Se si postula la non esistenza di Babbo Natale, o perlomeno la sua estraneità alla consegna dei regali, tutto è più semplice. Non c’è nemmeno bisogno dell’efficiente quanto anacronistico servizio postale che permette la comunicazione dei desideri dei bimbi. Tutto fila liscio senza troppe complicazioni. Ad E. tutto questo sembrava lampante, almeno fino a ieri.
Ma purtroppo E. è rimasta sola. La congettura di Babbo Natale, sostenuta all’unanimità dal resto dei bimbi nonostante le ragionevoli obiezioni sollevate da E., è ancora il sistema di spiegazione della realtà universalmente accettato in classe. La piccola E. è stata all’inizio trattata con incredulità, poi è stata sbeffeggiata e infine anche isolata in qualche gioco. Ma E. è un animale sociale, e ne soffre.
Stamattina a colazione mia figlia V. mi ha detto che ora anche E. crede a Babbo Natale. Non è riuscita a rimanere sola per molto, vuole far parte del gruppo, vuole che gli altri la considerino una di loro.
A quelle condizioni forse avrei fatto lo stesso.

giovedì 29 settembre 2011

Omicidio al quadrato

La scorsa settimana i giornali riportavano l'ennesima esecuzione per condanna a morte negli Stati Uniti.

Mi terrorizza il potere che alcuni governi si arrogano, poter decidere di togliere la vita un essere umano per punirlo di un crimine, per quanto efferato possa essere l'atto da punire.
Ora ho anche capito da cosa derivi la mia viscerale avversione. Ma lascio la spiegazione al principe Myškin:

Uccidere per un'uccisione è una punizione incomparabilmente più grande dello stesso delitto. L'omicidio su sentenza è incomparabilmente più orribile dell'omicidio del delinquente. Chi viene ucciso dai briganti fino all'ultimo momento spera di salvarsi. Qui invece quest'ultima speranza, con la quale morire è dieci volte più leggero, la tolgono con certezza. Qui esiste una sentenza, e nel fatto che con certezza non sfuggirai sta tutto l'orribile tormento, e un tormento più forte al mondo non esiste. Chi ha detto che la natura umana è capace di sopportare questo senza impazzire? Perché un simile oltraggio mostruoso, non necessario, inutile?
FD, circa 1867.

La pena di morte è un omicidio al quadrato.
Ecco cosa mi contorce le budella.

martedì 21 giugno 2011

Caos #1 - Prologo: uno spottone per Mr Jobs

È mia intenzione iniziare un nuovo serial bloggistico, questa volta dedicato alla teoria del Caos. Sono stato sfruguliato a questo malsano proposito da alcuni miei lettori (...uno...) che mi hanno consigliato la lettura di "Formicai, imperi e cervelli". Il libro l'ho poi letto, non è che mi abbia acchiappato moltissimo, anzi, secondo me ha un mucchio di difetti, e dedicherò il prossimo post ad approfondirli; ma ha avuto il pregio di avermi incuriosito ad un approfondimento dell'argomento. Le regole che mi pongo nell'affrontare l'improbo compito sono le stesse che ho seguito nella serie su Gödel (questo e i precedenti); vi rinfresco le principali:
1- regola della neutralità temporale: tra due post sul Caos possono passare anche mesi senza che questo significhi che abbia abbandonato il mio intento: sto semplicemente meditando,
2- regola della variabilità dell'oggetto: nel frattempo posso scrivere altri post che parlano di pittura, di tende da sole o di riproduzione dei pinguini e dimenticarmi del Caos per tutto il tempo che desidero,
3- regola della libertà di ricerca: posso scopiazzare da varie fonti senza alcun obbligo di citarle,
4- regola rafforzativa generale: posso fare un po' come cazzo mi pare.
Detto questo, applico da subito la regola 2 rafforzata dalla 4 e in questo Prologo non si parlerà del Caos. Ero prontoprontissimo a buttare giù le prime frasi caotiche su Sallustia che già mi attendeva adagiata mollemente sulle mie cosce, e le mie  dita cominciavano a pregustare il tapping sul suo schermo regolato sulla minima luminosità (a noi due piace la luce soffusa), ma mi sono bloccato all'improvviso e l'ho guardata teneramente, come si fa tra innamorati. E mi son detto: prima di parlare del Caos devo assolutamente scrivere una piccola dedica a questi oggettini con la mela morsicata che mi stanno allietando la vita. Da quando ho smesso di prendere zucchero nel caffè costituiscono il principale apporto mielico-glucosico della giornata.
Diciamoci la verità, senza ipocrisie, l'era dei pc da tavolo è da tempo tramontata, il portatile ha resistito di più ma si sta incamminando sulla via del declino, ed anche la breve parentesi del netbook è giunta al termine. Chi si siederebbe la sera ad un tavolo solo per leggere la posta o i suoi blog preferiti? O vorreste dirmi che è comodo stare in piena estate sul divano con un pesante e caldo portatile sulle ginocchia per scorrere le notizie dal web? Tanto più che le batterie di un portatile durano poche decine di minuti, e quindi alla fin fine si tratta di rimanere comunque attaccati ad un cavo, e allora che portatile è? Con un Tablet (meglio se un Ipad), uno Smart Phone (meglio se Iphone), o un semplice Ipod Touch (non ha concorrenza, a quanto sappia) non senti peso né calore, niente cavi, solo praticità. La batteria di Sallustia dura una settimana.
Personalmente solo da pochi mesi sono entrato nel mondo Apple, prima ero titubante, per cultura ho sempre diffidato delle grandi firme che vendono soprattutto design e marchio, ed ero portato per natura a sospettare di chi mi voleva vendere un oggetto per fare cose che altri facevano a metà prezzo. Ma il fatto è proprio questo. Questi affari non fanno le stesse cose di normali pc o telefoni. Una BMW fa le stesse cose di un'altra auto ma con migliore qualità (freni potenti, interni più accoglienti, motore affidabile, sicurezza). Ma un Apple è innovazione totale, fa cose che possono essere fatte anche da altri ma con processi completamente nuovi, interfacce mai provate, tecniche rivoluzionarie. È come se la BMW di prima corresse sull'asfalto poggiando su pattini anti-attrito e curvasse quando il pilota inclina la testa. Le altre auto sarebbero vecchie di colpo.
Mister Jobs ha semplificato tutto, ormai non esiste più la gestione delle cartelle, basta dubbi su dove salvare i file; eppoi vi ricordate come si istallavano i programmi solo fino a pochi mesi fa? Facciamo Excel. Innanzitutto dovevi andare in un negozio specializzato, comperare il cd, sborsare un centinaio di euro, tornare a casa, infilarlo nel pc, e qui cominciavano i problemi, istallare in modalità standard o custom? Fa più fico in inglese o meglio un classico italiano? Su che cartella lo salvo? Inserisco il numero di serie rispettando le maiuscole? Ma devo scriverlo almeno tre volte visto che è lungo una cinquantina di caratteri e sbagliare è un obbligo. Dopo una trentina di minuti di rimuginamenti ti si chiedeva di chiudere tutte le applicazioni, dopo altri trenta minuti di riavviare la macchina e sperare che tutto fosse ok. Senza contare che su un pc devi sempre tenere aggiornato l'antivirus, il firewall, regolare le protezioni, fare il defrag, la scansione dei dischi... In confronto ad un Ipad  è come tornare indietro di cinquant'anni e rimettersi a giocare con le schede perforate. Un semplice esempio per contrasto: tre giorni fa ho deciso di comperare Numbers, l'Excel per Ipad (volevo sperimentare alcuni comportamenti della mappa logistica, basilare per la teoria del Caos di cui vi parlerò a breve) e non ho fatto altro che aprire appstore, cliccare sull'icona, farmi addebitare sulla carta 7,99 sbiuri e dopo appena un minuto e mezzo era perfettamente utilizzabile. Il motto di Jobs è it just works, semplicemente funziona, e il bello è che questi cosi funzionano davvero, non si inceppano mai, fare errori è difficilissimo, è l'unico tipo di aggeggio informatico che mio padre riuscirebbe ad usare ed apprezzare. Credo davvero che diano valore aggiunto, rendendo un po' migliore la vita di tutti i giorni. Un anno fa un semplice Ipod collegato ad un diffusore mi ha permesso in sole due settimane (il tempo di riversarci tutto sopra) di togliere di mezzo 450 cd dalla mia libreria e mi ha regalato, oltre a tanto spazio in soggiorno, un modo completamente nuovo di ascoltare musica attraverso le playlist e l'accesso casuale. Qualche mese fa Sallustia mi ha stregato con la semplicità e l'efficacia di accesso alla rete, con le mille Apps semplici da istallare e usare, con l'assenza di libretti di istruzioni e di trucchetti da imparare per andare avanti, e non ultimo con la bellezza dell'oggetto in se stesso. E tra poco, da quanto leggo, Jobs ed io elimineremo anche la necessità di una memoria fisica, hard disk o memory card. Tutti i nostri dati saranno nella rete, accessibili da dovunque, senza bisogno di archiviarli e possederli. La prossima rivoluzione.
Beh, Prologo chiuso, vedremo se alla fine ci sarà un epilogo che spiegherà cosa c'entra questo spottone per Mr Jobs con la teoria del Caos. Per ora non mi viene in mente nessun punto di contatto, ma le vie del Caos sono infinite.

Ps: mi scuso per la profusione di termini inglesi, ho provato a farne a meno, ma come traduco Tablet? Tavoletta? No troppo WC, Tavolozza? See…

lunedì 9 maggio 2011

Una questione di coscienza

Se qualche anno fa mi avessero fatto la domanda "in che percentuale le tue azioni, gesti e parole sono precedute da decisioni coscienti?", che poi sarebbe come dire "quante volte pensi prima di agire?", avrei risposto senza titubare "praticamente sempre", in parte perchè ne ero sicuro, in parte per sviare l'interlocutore dalla sensazione di avere a che fare con un superficiale o, peggio, uno sciocco.
Ma ultimamente le cose non mi paiono più così semplici.
Sono noti e disponibili a tutti alcuni meccanismi automatici nella successione coscienza-decisione-azione che non sono necessariamente in rapporto di causa-effetto. Ad esempio guidando l'auto capita spesso che si pensi ad altro, solo in alcuni casi particolari il cambio da seconda a terza è preceduto da un evento coscienteo da una vera e propria decisione, tipo dire a se stessi  "ecco, ora cambio marcia"; lo stesso fermarsi al semaforo e svoltare a sinistra nella strada dove si abita sono eventi meccanici. Non si ragiona prima di farlo, si fa e basta, in maniera che potremmo definire automatica. Spesso ci ritroviamo già parcheggiati davanti casa senza riuscire a ricordare la strada che abbiamo fatto per arrivare. A pensarci dopo pare che la coscienza non abbia mai partecipato al processo. Lo stesso avviene quando si cammina (non si pensa "ora il piede destro avanti") o quando si legge (non si pensa "ecco allora se dopo la c c'è la i allora la leggo dolce") o quando si fanno una quantità di altre cose. In questi casi i ricercatori hanno notato una intensa attivitá del cervelletto, che si crede si comporti come una specie di pilota automatico dell'uomo (e della donna, ovviamente). La coscienza, fermo restando che ci siamo messi d'accordo su cos'è anche senza definirla (definizione che sarebbe ardua assai...) con questi meccanismi c'entra davvero poco, secondo la maggior parte degli studiosi della mente ormai non ci sono dubbi.
Ma mi sono accorto ultimamente che questo è solo il punto di partenza. Ad esempio io credo che gli automatismi funzionino anche nella conversazione; sì, insomma, quando parliamo è raro che pensiamo in maniera completamente cosciente prima di proferire parola. E non mi limito a considerare le frasi di circostanza, come stai, bene grazie, ma anche a brevi discorsi o a frasi che dovrebbero essere attentamente ponderate, come opinioni espresse su un determinato argomento o altro. Lo vedo sulla mia pelle, mi capita spesso di ascoltare le parole che escono dalla mia bocca senza assolutamente averle guidate coscientemente; la coscienza interviene solo subito dopo, e di solito conferma che le parole gia dette erano più o meno quelle che avrei voluto dire. Sì, lo so, vi ho apparecchiato per benino la tavola per le facili battute sulla mia presenza di spirito o sconclusionatezza, ma dico sul serio, a me capita questo. Questa anticipazione dell'azione rispetto alla decisione cosciente di essa è confermata dagli affascinanti esperimenti di Benjamin Libet, basati in parte su reazioni ad azioni veloci che non permetterebbero alla coscienza di partecipare all'azione (inferiori a mezzo secondo). Immaginiamo a mo' di esempio un tennista professionista che risponde ad un servizio. L'impulso che dall'occhio dovrebbe partire, raggiungere il cervello, aspettare la sua elaborazione cosciente, la conseguente decisione, seguire il percorso inverso fino al sistema muscolare e, infine, dare impulso all'azione è fisiologicamente impossibile in quei tempi lampo (in base agli esperimenti occorrerebbe appunto almeno mezzo secondo). La spiegazione che gli studiosi danno è che questo tipo di azioni (e molte altre) sono possibili solo grazie alla forte partecipazione del sistema nervoso periferico e alla autonomia delle azioni rispetto alle decisioni coscienti. La coscienza arriva subito dopo che l'azione è conclusa e interviene solo per ratificarla e, eventualmente, per catalogarla nella memoria. Anche se poi la nostra percezione di ciò che è accaduto è ben diversa e la mente ricostruisce gli avvenimenti a ritroso come se l'azione avesse seguìto l'evento cosciente e il tennista avesse deciso di colpire la pallina dopo averci ragionato su, anche se in quei tempi impossibili.
Uno dei pochi momenti in cui sento vigile la coscienza e la sento guidare completamente le mie azioni è nella scrittura. Sicuramente ciò è dovuto ai tempi della parola scritta rispetto alla parlata, di gran lunga più dilazionati. Ma questi momenti nella vita di tutti i giorni sono davero pochi.
Tornando alla domanda posta all'inizio, se dovessi azzardare una percentuale direi che il 95 per cento delle azioni che compio durante la giornata sono completamente al di fuori della coscienza o almeno antecedenti al momento cosciente.
Mi vado convincendo sempre più che nella maggior parte della mia vita io (ma, per quanto ne posso sapere, anche voi) agisco in maniera semiautomatica, non gestita dalla coscienza, o che perlomeno la coscienza arriva un pelino dopo che l'azione è compiuta, quando rimane solo da catalogarla, da valutarla, da ragionarci sopra e da ricordarla.
E qui nasce il problemone. Tutta questa storia non significa forse che siamo come automi, e che il libero arbitrio, ossia la capacità di decidere coscientemente le azioni e le scelte che compiamo, non esiste?
Forse un po' troppo pesante come argomento per un post, ma tant'è. Se vi va potete dire la vostra (come sempre del resto). Ma assicuratevi di essere coscienti.

mercoledì 9 giugno 2010

Dilemma #3 - TT

Gianni: Ciao Franco, tutto bene? Come è andata a finire al tuo amico Luigi?
Franco: Oh, Gianni. Mah, gli ho riferito quello che mi hai detto, all'inizio ha cercato di convincere me (come se fosse questo l'importante) che la sua persona, il suo "io", non è legata al suo cervello, ma alla sua anima, che il cervello è solo un organo fisico, allo stesso livello del cuore e del rene, e che se cambi il cuore o il rene sei sempre te stesso, quello che sei lo sei nell'anima, non negli organi. Poi si è fermato a riflettere. L'ho sentito farfugliare qualcosa come "e se non fosse così?", è scoppiato a piangere terrorizzato e ha rinunciato all'operazione.
G: Accidenti, un bel trauma, ma penso abbia preso la giusta decisione.
F: Il chirurgo che lo segue, quello che gli voleva rifilare il trapianto di cervello, gli ha proposto una nuova soluzione. Pare che la malattia del mio amico sia dovuta ad una serie di cellule fuori controllo: queste cellule hanno caratteristiche ben identificabili ma sono talmente diffuse che non possono essere distrutte senza un enorme danno per il cervello. Il chirurgo ha quindi pensato di utilizzare una di quelle macchine di cui parlano i giornali, quelle che stanno mettendo a punto all'università di Urbino per il teletrasporto. In pratica si tratterebbe di fare, con la macchina A, una scansione molecolare tridimensionale del corpo di Luigi, cervello compreso, in modo da analizzare e memorizzare in maniera precisissima non solo forma, sostanza e posizione di ogni singola cellula, ma anche lo stato complessivo delle connessioni di ognuna con le altre, la rete neuronale, i "circuiti" della memoria, insomma tutto quello che fisicamente è il corpo di Luigi. Una volta completata l'analisi, tutta l'informazione passerebbe alla macchina B, che ricostruirebbe i singoli componenti del corpo a partire da atomi di "materia prima" (ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, calcio, fosforo e poco altro) per arrivare ad una replica esatta di Luigi, con tutte le cellule al posto giusto e tutte le interconnessioni e gli stati che facevano parte del suo vecchio corpo al momento della scansione. Ovviamente non verrebbero replicate quelle cellule fuori controllo (è stato accertato che non hanno nessun altro apporto al funzionamento del corpo se non il danno che provocano). Ah, dimenticavo, prima di passare le informazioni alla macchina B, la macchina A distruggerebbe il vecchio corpo.
G: 'Azz...
F: Luigi sta pensando seriamente alla proposta. Ormai come sai nessuno mette più in dubbio il corretto funzionamento delle macchine A e B e del processo di teletrasporto, la cosa è stata accertata da migliaia di esperimenti su cose e animali. Il problema è che non è mai stato provato con le persone, e non si sa che tipo di "inconvenienti" può causare.
G: Lo immagino. Il problema è ancora una volta lo stesso: il nuovo corpo creato dalla macchina B sarà il vero Luigi o sarà solo un organismo con le sue caratteristiche fisiche ma senza Luigi dentro? L'io, la propria persona, è una semplice conseguenza di uno schema neurale e fisico o è qualcosa di distinto, non fisico e non scansionabile dalla macchina A e pertanto non ricostruibile dalla macchina B?
F: Già, mi pare proprio un bel dilemma.
G: E poi, solo a titolo speculativo, perchè non lo auguro a Luigi, supponiamo un guasto durante il processo di teletrasporto. Un guasto all'apparenza banale. Voglio dire, supponiamo che tutto va per il verso giusto e che il nuovo Luigi sia davvero Luigi, con le sue sensazioni, la sua unità personale e la sua autoconsapevolezza, ma che la macchina A si inceppi e, prima di passare le informazioni alla macchina B, non procede alla distruzione del corpo "vecchio" che quindi rimane vivo. Si avrebbero due Luigi allo stesso tempo. Attenzione, non dico solo due corpi uguali in tutto e per tutto, ma due persone Luigi, un io in due corpi, una sensazione di unità in due luoghi diversi, un unico diviso. Chi dei due sentirebbe di essere Luigi? I sostenitori dell'esistenza dell'anima in questo caso dove la mettono? In uno dei due o la dividono a metà?
 

venerdì 4 giugno 2010

Dilemma #2 - Trapianto

Gianni: Uelà Franco, tutto bene? Ti vedo scosso.
Franco: Non sai cosa è successo al mio amico Luigi. Ha la mia età, tutta la vita davanti, e gli hanno appena diagnosticato una malattia incurabile ed inesorabile al cervello. Lui è distrutto, vuole continuare a vivere...
G: Ma non c'è proprio più nulla da fare?
F: Beh, i medici gli hanno proposto una soluzione. Vorrebbero sperimentare su di lui una tecnica pionieristica che permette di trapiantare il cervello da un donatore, proprio un cervello completo di tutto, personalità, ricordi, sensazioni, aspettative, timori, insomma tutto quello che crediamo sia associato a quella massa molliccia e informe che risiede nel nostro cranio... hanno già individuato il potenziale donatore, è un maestro elementare morto in un incidente stradale.
G: Accidenti, vista così non mi pare un grande affare.
F: Perchè dici questo?
G: Pensaci bene. Dopo l'operazione Luigi avrà esattamente le stesse sensazioni, gli stessi ricordi, la stessa personalità, lo stesso "io" del maestro. Più che un trapianto di cervello dal maestro a Luigi, mi pare un trapianto di corpo da Luigi al maestro.
F: Vuoi dire che sarebbe preferibile essere nei panni del maestro morto e non in quelli di Luigi che è ancora vivo?
G: A me puzza di fregatura...

giovedì 22 aprile 2010

Non sono solo

Incredibile coincidenza. Ore 10.00 di qualche tempo fa, vado alla fermata della Metro B a Circo Massimo, perché sono andato a ritirare una cartella esattoriale GERIT alla Casa Comunale e salgo sull'ultimo vagone, come spesso faccio. Ho in mano "Coscienza" di Daniel Dennett, certamente non uno dei libri più diffusi. Un altro passeggero sta leggendo lo stesso libro... lui si trova quasi alla fine, io ho cominciato da poco. Gli faccio notare la coincidenza. Lui, quasi senza distogliere lo sguardo dalla lettura dice: "capita". Non sono solo.