sabato 6 agosto 2011

Caos #2 - Secondo Prologo: del come spesso in Italia non si fa buona divulgazione scientifica

Prima di addentrarmi nella presentazione della teoria del caos, o di quello che ci ho capito, vorrei allungare ancora un po’ la brodaglia e approfondire alcuni aspetti che ritengo fondamentali e che riguardano due modi opposti di fare divulgazione scientifica.
Dicevo qualche post fa che mi era stata consigliata caldamente la lettura di Formicai, imperi, cervelli, un noto saggio di Alberto Gandolfi che parla di caos e complessità. Ho purtroppo dovuto constatare che i miei pregiudizi sugli studiosi che in Italia si occupano di divulgazione scientifica erano fondati. Di solito non leggo mai la letteratura scientifica (parlo sempre di pubblicazioni divulgative) italiana, preferisco sempre i saggi anglosassoni, sia perché sono di prima mano (di solito la saggistica italiana segue a ruota i best seller anglofoni, vedi la rinascita darwiniana, la moda di Gödel, o quella dei numeri primi), sia perché l'approccio è sicuramente più onesto.
Ma andiamo con ordine.
Farò un elenco delle cose che non mi sono piaciute del libro di Gandolfi, prendendolo ad esempio di buona parte della recente letteratura divulgativa scientifica italiana, ma un qualsiasi testo di Oddifreddi sarebbe andato bene (non ho avuto modo di leggere Amedeo Balbi, ma seguo con molto interesse i suoi blog e ho l'impressione che potrei essere smentito dai suoi scritti). Nel corso della (noiosa) trattazione che segue a volte il libro verrà messo a confronto con "Caos", un best seller americano scritto da James Gleick e più volte citato da Gandolfi come la naturale pietra di paragone del suo saggio per la parte dedicata alla teoria del caos.

Difetti di Formicai, imperi, cervelli:
- Innanzitutto già dalle prime pagine si parte con un attacco un po' scontato e molto superficiale al cosiddetto riduzionismo nella scienza, ossia l'approccio in base al quale per conoscere un fenomeno è necessario conoscerne le parti che lo compongono. In questo modo non si rende piena giustizia al riduzionismo, ed un approccio scientifico intero viene ridotto ad una affermazione banale e facile da smontare. In base all'approccio riduzionistico conoscere realmente le parti che compongono un fenomeno include la conoscenza anche delle relazioni tra di loro. Marvin Minsky, il pioniere dell'intelligenza artificiale che viene citato a pag 51, viene presentato come un oppositore al riduzionismo, quando a mio parere è un riduzionista puro, solo che lo è in senso completo, non banale. Con ciò non voglio comunque alimentare una faida tra olismo e riduzionismo che è ormai anacronistica e completamente fuori luogo.
- a pag 70 si presenta il meccanismo fondamentale del caos e il celebre modello di Lorenz in maniera quantomeno fuorviante. In poche parole si mostra come spesso gli algoritmi alla base di molti fenomeni fisici e naturali sono non-lineari, pertanto a piccole variazioni dell’input corrispondono enormi e difficilmente prevedibili variazioni dell’output. Alla prima lettura mi sono detto, beh, mi pare normale che il risultato cambi se la differenza nell'input è dello 0,2%, non mi pare una differenza trascurabile. E mi era sfuggito il fulcro del caos, il fatto che il risultato non cambia solo perche cambia l'input dello 0,2%, ma in una zona di caos cambierebbe anche con 0,00000000000000000000000001% e di un valore difficilmente determinabile con precisione in anticipo. Questo meccanismo mi è risultato chiaro solo dopo aver letto il libro anch'esso divulgativo ma di ben altro spessore di Gleick e dopo aver smanettato con la mappa logistica (vedi il futuro post Caos #3, che se continuo di questo passo maturerà insieme alle castagne).
- si ripete più volte che i modelli del caos sono non deterministici. Ma non è cosi, sono deterministici nel senso che rispondono a regole ben precise, solo che non seguono un andamento lineare nei risultati, e pertanto sono difficilmente prevedibili. Il punto non è l'indeterminismo ma la non linearità, che è ben altro concetto.
- in parecchi punti del libro si parla di caos come sinonimo di caso, ma non ci azzecca proprio niente. Il caos di cui parla chi se ne occupa seriamente è un caos a suo modo ordinato, forse difficile da prevedere, ma per nulla casuale. E’ vero che il libro di Gandolfi è incentrato più che altro sulla complessità, ma scivoloni di questa portata sulla questione del caos, strettamente collegato alla complessità, sono imperdonabili.
- a pag 80  e poi a pag 222 si parla di evoluzione, e si dice che le mutazioni selezionate si accumulano del genotipo senza manifestarsi nel fenotipo. Si dice che nel percorso evolutivo spesso (spesso? E quando?) a livello fenotipico non succede nulla per lunghi periodi, ma sotto la cenere, a livello genotipico la spinta evolutiva si muove, è in fermento. Ma come fanno ad essere selezionate queste mutazioni, queste spinte, se non si manifestano nel fenotipo? La base della teoria dell'evoluzione è proprio questa: la selezione avviene a livello fenotipico, nell'incontro tra organismo e ambiente, altrimenti che ti selezioni? Anche questa mi pare un’affermazione quantomeno superficiale.
- continuo: a pag 90 si dice testualmente: "non bisogna aver studiato fisica quantistica per capire che il cervello è ad un livello più alto di un programma per computer". Se c'è una cosa di cui ho imparato a dubitare sono queste frasi retoriche del cazzo. Che significa non bisogna aver studiato…? Che non sai spiegarmi quello che hai affermato e quindi speri che io lo intuisca o me ne convinca da solo? È una cosa talmente naturale che non ha bisogno di spiegazioni? Se la scienza avesse proceduto con passi come questo non sarebbe andata molto lontano. La scienza è andata avanti a forza di esperimenti che hanno ribaltato ciò che sembrava ovvio, e di paradossi apparenti che poi non si sono rivelati tali. A parte l'inopportunità della frase retorica in un testo che pretende di avere un minimo di credibilità, non trovo così scontato che il cervello sia ad un livello diverso rispetto ad un programma di computer; probabilmente, anzi sicuramente è molto più complicato di un programma di computer ma ad un livello diverso significa che ha all'interno un intero sistema di complessitá in più, come il rapporto tra un organismo completo e una sua singola cellula. E non mi pare per ora dimostrato.
- ma la cosa che mi fa più incazzare è che fin dall'inizio Gandolfi mette le mani avanti riguardo alla notazione numerica: "tranquilli, leggete con fiducia perché non presenterò formule matematiche, solo una ma, giuro, piccolissima". Gli dispiace, la avrebbe eliminata con piacere se avesse potuto, ma purtroppo l'equazione logistica ha proprio dovuto metterla, ma il povero lettore non se ne deve preoccupare, che può tranquillamente saltarla se gli fa paura, tanto non aggiunge nulla al senso del libro. Non aggiunge nulla?!?! Ma se è l'unica cosa che potrebbe chiarire qualcosa in tutto il libro! L'unica che mi ha stimolato a approfondire l'argomento! E che cos'è questo terrore per le formule matematiche? E’ tipicamente italiano, appartiene ad un paese in cui se non hai letto Manzoni non sei nessuno ma puoi benissimo non sapere cose l'entropia. Un paese in cui i professori di latino sono quelli che dettano legge nel consiglio di classe e quelli di scienze e biologia non li caca nessuno. Quando a pag 181 fa capolino la piccola equazione logistica, dopo altre scuse, si sorvola quasi completamente sul suo reale significato, perdendo un'occasione più unica che rara di rendere un servizio alla comprensione del caos.
- e poi lo stile metodologico seguito: in Formiche manca qualsiasi approfondimento sul contesto storico all’interno del quale la nuova teoria si è sviluppata: nulla sulle spinte accademiche, nulla sui profili biografici dei pionieri della materia, quasi nessun aneddoto sui passi fatti, tutti elementi che sono invece ben amalgamati in Caos, e rendono il saggio di Gleick molto più godibile e ben collocato storicamente.

Beh, direi che qui metto il punto. Questa cosa qui sopra forse è inutile ai fini dell’annunciata saga bloggistica sul caos che prima o poi dovrei decidermi a portare avanti e incomprensibile per quelli che Formiche non lo hanno letto, però c’è l’avevo sulla punta di quell’affare lungo e sensibile che spesso serve nell’atto sessuale (la lingua) e dovevo dirlo, anzi scriverlo da qualche parte. E perché non sul MIO blog?

1 commento:

  1. Anonimo9/11/11

    #1 06 Agosto 2011 - 23:06

    Beh potevi limitarti a mandare un'email a Gandolfi, o, al limite allo stronzo che ti ha consigliato il libro. Pdb
    utente anonimo
    #2 08 Agosto 2011 - 09:05

    ed io che pensavo che la lingua ti servisse ad attaccare i francobilli......


    p.s. la lingua lunga e sbavosa è un fenotipo vero?

    e.
    utente anonimo
    #3 08 Agosto 2011 - 10:02

    Magari non nei modi leggiadri e discreti che sono propri al sig. Pdb, ma le avrei detto qualcosa di analogo. Che dice Gandolfi?
    (con la storia della lingua lunga e sensibile tenta di riabilitarsi sessualmente, sig. Tacchino, ma la vedo di molto dura...)
    rigorosamenterosso
    #4 08 Agosto 2011 - 13:06

    Bah, questo blog è un luogo libero e aperto a tutti, dove ognuno può dire la sua, compreso Gandolfi. Fategli sapere che occorre difendere il suo libretto e vediamo cosa c'ha da dire.
    aaqui

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