mercoledì 1 aprile 2020

La mia vita ai tempi del Coronavirus

Roma, 14 marzo. Mercato Trionfale aperto: vende cibo, non si può fermare il costante e alacre lavoro umano contro l'entropia. Gente che mantiene le distanze, una buona maggioranza con qualcosa che copre il volto, spesso mascherine anti-polvere o chirurgiche, a volte sciarpe o vecchie bandane anni 80, qualcuno con fazzoletti umidificati tenuti con gli occhiali. Molti più banchi chiusi rispetto al normale, dopo un po' realizzi che sono quelli che erano gestiti da pakistani, bengalesi e orientali in genere. C'è stata una sorta di selezione implicita quanto difficilmente spiegabile, la stessa che ha portato alla chiusura in pochi giorni dei ristoranti e dei negozi di casalinghi cinesi ben prima del decreto del 9 marzo.
Arrivando qui da solo in macchina, con il lasciapassare firmato in una tasca e la lista della spesa in un'altra, avevo le lacrime che mi rigavano le guance. Saranno state le strade vuote, o forse le nuvole basse, o magari è perché il sabato mattina la spesa la faccio con mia figlia grande, e stavolta c'era un decreto del Presidente del Consiglio ad impedircelo.
Ho provato a dire in casa che la situazione somiglia a quella di una guerra mondiale. L'intento era quello di creare coesione e senso di avventura in famiglia, come dire: siamo eroi, vinceremo. E poi il bello è che stavolta i paesi del mondo sono tutti alleati contro un nemico non umano, in una sorta di federazione intergalattica contro gli alieni. Tutti insieme. E poi un'altra cosa bella è che non ci sono bombardamenti, distruzione e morti ammazzati. 
E in questi eserciti i plotoni sono composti da famiglie. Si vive tutti all'interno di una miriade di piccole comunità coese e promiscue al loro interno ma isolate l'una dall'altra, perché come in tutte le guerre bisogna stare al sicuro, e tutto quello che si fa, lo si fa in una casa trasformata per l'occasione in bar, scuola, ufficio, palestra, parco giochi, mensa, cinema, deposito di viveri, pasticceria. Soprattutto pasticceria.
Vabbè, quindi con la guerra non c'entra niente, ha detto mia figlia piccola. Beh, in effetti no, ho risposto io.

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