Poi arrivò il tempo del rock e delle garage band. Cominciai con velleità da chitarra solista ma, non avendo la classe e il carisma da frontman, mi riciclai in quel ruolo che più o meno è l'analogo del portiere: mi misi a suonare il basso.
A parte alcune eccezioni tipo Sting o McCartney, che a quanto ne so non avrebbero dovuto spaventarmi ma piuttosto venirmi in aiuto per confermare la regola, il bassista era quello a cui si richiedeva poco virtuosismo e zero visibilità, ma una costante e umile presenza; e, cosa più importante, senza di lui la band non suonava. Le caratteristiche calzavano perfettamente al mio io: era un ottimo metodo per presenziare alle prove e ai concertini degli anni universitari rimanendo sempre un po' defilato. Ruolo che pareva cucito su misura sulla la mia smania di appartenenza al gruppo unita al terrore di sbagliare.
Ora però, se ti trasferissi negli Stati Uniti, per la festa del ringraziamento avresti il posto d'onore.
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