Leggere biografie è sempre stato un esercizio ammaliante: buttarsi a capofitto in un’epoca spesso distante dalla propria scoprendone lati della vita quotidiana, contesti storici, modi di pensare tipici del tempo è già affascinante. Ma farlo accompagnati dalle vicende e dai pensieri di personaggi eccezionali, pionieri in grado di cambiare una volta per tutte la storia, è semplicemente impagabile. E uno degli uomini che ha avuto più influenza nella storia della cultura umana è stato senz’altro Charles Darwin.
Nella primavera del 1838 lo troviamo alle prese con i suoi dilemmi morali. Stava man mano entrando nel vivo della formulazione della sua rivoluzionaria teoria evoluzionistica (anche se più che di teoria dovremmo parlare di legge) ma si stava accorgendo che le sue considerazioni, una volta diffuse, avrebbero minato alle fondamenta tutta la visione filosofica dell’epoca. Questa consapevolezza gli dava ansia, dolori allo stomaco, tachicardie improvvise. Era costretto a passare le giornate chiuso nel suo appartamento londinese a rimuginare in segreto sui dati raccolti nel corso del suo viaggio intorno al mondo, sulle lunghe discussioni con gli allevatori inglesi, sulle teorie evoluzionistiche già proposte da altri studiosi negli anni precedenti; mentre nei suoi rari appuntamenti mondani, nei salotti culturali e nelle stanze accademiche doveva celare tutte le sue scoperte e le sue idee dietro un atteggiamento di pacato allineamento alle convinzioni dominanti del suo tempo: creazionismo, dualismo spirito/materia, centralità della specie umana all’interno del creato, superiorità della cultura europea.
Dentro di sé però percorreva nuovi sentieri: con i caratteri fitti con cui riempiva il suo “Taccuino C” Darwin osava geniali salti teorici che si sarebbero rivelati inconfutabili dopo decenni ma che allora poteva confessare solo a se stesso: “E’ difficile immaginare il pensiero se non come struttura del cervello (…) L’amore per la divinità è un effetto dell’organizzazione”. Stava cominciando a essere consapevole della vita organica come riducibile esclusivamente a elementi essenziali capaci di autoorganizzazione ed evoluzione. Una catena ininterrotta di generazioni con individui sempre più complessi. Ma se gli atomi della materia vivente avevano il potere di autosvilupparsi, allora non c’era più spazio per l’influenza divina.
Inoltre si conviceva sempre più che lo spirito e il pensiero non erano altro che un prodotto della materia vivente: una secrezione del cervello. Pertanto gli istinti e le caratteristiche mentali di base, in quanto prodotto dell’organizzazione neurale, potevano essere ereditate come un qualsiasi altro carattere fisico. Aveva oltrepassato la dicotomia tra spirito e materia e la aveva sintetizzata in una visione materialistica ed evoluzionistica.
Una volta presa questa strada diventava possibile anche intuire la selezione, generazione dopo generazione, di alcuni schemi mentali che sembrano infusi da entità trascendentali. Stava avvicinandosi a ipotizzare quella che poi Richard Dawkins avrebbe definito “trasmissione memica”, ossia la diffusione, tramite comunicazione ed educazione, di schemi mentali e culturali sottoposti a selezione naturale, primo tra tutti il sentimento religioso. Se l’idea di Dio fosse stata impiantata trascendentalmente nella mente degli uomini, allora dovrebbe essere presente in tutte le popolazioni. Ma i suoi viaggi gli avevano insegnato che in alcuni popoli l’idea di divinità intesa alla maniera occidentale non era nemmeno presa in considerazione. L’unica spiegazione era che quell’idea fosse anch’essa un prodotto dell’evoluzione, come la pelle scura o la resistenza al freddo. Ma come poteva sperare di ottenere una cattedra a Cambridge, roccaforte dell'autorità anglicana, con idee del genere? E il dolore allo stomaco aumentava.
Ovvero: "della gastrite come sottoprodotto delle teorie evoluzionistiche" . Sottotitolo: "chi ha Dio non ha bisogno del Malox"
RispondiEliminaPdb
Che ne dici delle foto? Non le trovi "à la Pop"?
RispondiEliminaÈ vero, lo sono. E danno al post quel gusto un po' retrò, come dire, di muffa.
RispondiEliminaPdb
Addirittura le immagini....
RispondiEliminaMorc
forse quindi il mio mal di stomaco non è da attribuire alla mensa aziendale ma a qualche grandioso pensiero che sto rimuginando?
RispondiElimina@e: se il pensiero sconvolge le certezze di un intero popolo, forse.
RispondiElimina