venerdì 9 marzo 2012

Allevamento delegato

Mattinata inusuale, quella di oggi: trascorsa a casa con mia figlia quattrenne e la sua influenza, in attesa di tata T disponibile solo dall'una.
Mattinata meravigliosa, quella di oggi: la febbre della piccola G si è abbassata rispetto ai picchi himalayani di ieri e abbiamo passato il tempo a disegnare, colorare, leggere i numeri, fare puzzle, cucinare le cose che ci piacciono, chiacchierare, insomma crescere, il tutto con la rara tranquillità offertaci dall'assenza di appuntamenti e scadenze, che esistono anche nel mondo dei bimbi, che credete, li abituiamo da subito ai nostri dài che facciamo tardi a scuola, in piscina, alla festa, al parco.
A tavola mi chiede tranquilla: papo, mi chiama papo, papo perchè non rimani tutto il giorno con me? Provo a spiegarle che devo andare al lavoro, pare capisca, e accoglie tata T con un sorriso.
Il sorriso manca a me, però, mentre mi reco al lavoro di corsa eppergiunta con il senso di colpa dell'inevitabile forte ritardo: è che sono io a non aver capito. Rimugino sul fatto che anch'io avrei voluto rimanere tutta la giornata con lei, e che è davvero strambo questo aggeggio che ci siamo costruiti attorno, che chiamiamo sistema mododivita società e che è progettato proprio giusto giusto per impedirci di fare le cose che dovremmo davvero fare. Mi trovo in metro, in un angusto vagone, angusto come questo metodo di produzione in cui ci siamo incastrati, che ci sembra persino naturale, ma non lo è affatto, non è naturale dover andare ogni giorno da qualche parte a produrre qualcosa, un servizio, un bene, un'attività, spesso (almeno nel mio caso e in quello della maggior parte delle persone che frequento) legata a un bisogno voluttuario indotto dal meccanismo stesso, quasi sempre non indispensabile, non faccio il medico di pronto soccorso, nè l'idraulico, nè il poliziotto, nè il professore, produco report, statistiche, tabelle; dicevo, andare a produrre un servizio la cui necessità è prodotta dal meccanismo stesso, in un circolo autoalimentato, in maniera autoreferenziale, prigioniero di un sistema che ormai ha vita propria e proprie finalità, ben distinte da quella dei singoli individui, costretto ad esserlo, prigioniero, undici ore al giorno lontano da casa, per potermela poi permettere una casa, dei vestiti, del cibo, la possibilità di avere una famiglia.
E per sottostare al meccanismo sono pronto mio malgrado a rinunciare a ciò che avrei fatto più volentieri, a ciò che sono evoluto per fare, a ciò che è naturale che facciamo, e che fanno in maniera naturale gli animali, beati loro, ossia a crescere i nostri piccoli (perlomeno in età prescolare, che poi diventerebbe quantomeno complesso). E invece la società che abbiamo scelto di costruire nelle ultime dieci o venti generazioni funziona in un modo diverso, tutt'altro che naturale. Non abbiamo il diritto di crescere i nostri piccoli, ma dobbiamo farlo fare ad altri per nostro conto: quando ci va bene, a nonne e zie o, quando ci va peggio, a tate, baby sitter e asili nido prezzolati. Non è un modo naturale di vivere. A questo penso in metro, e questo avrei voluto spiegare a mia figlia G quando l'ho salutata lasciandola alla nostra (comunque meravigliosa) tata T. Non so se lo avrebbe capito.

ps: a dire il vero, rileggendo qui sopra, il tutto pare un po' confuso anche a me, ma ormai il tasto pubblica l'ho già premuto.

7 commenti:

  1. Io ci penso spesso. tra l'altro se il figlio lo allevi tu o tua moglie vieni considerato "non attivo" lavorativamente. Se lo fa la tata invece è un lavoro ed entra riccamente nel PIL. E' proprio un sistema del piffero.... Insomma una volta ci si prendeva cura dei bimbi e dei vecchi in casa ed eravamo "poveri", oggi che paghi qualcuno per farlo siamo "ricchi"..... mah

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  2. No, non è confuso, è sacrosanto. Chi è confuso è il suo datore di lavoro. Davvero la pagano per produrre statistiche e tabelle? Non sanno che se ne trovano a migliaia su internet e basta fare copiaincolla, tanto non le legge nessuno? (la sua tata è Emma Thompson? E quanto la paga?)

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  3. nulla, la paga Sua Maestà Britannica.

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  4. Anonimo11/3/12

    Questo modello di società è al punto di implosione..... Ma innegabilmente è stato geniale averlo creato: non credo che in un altro sistema tutti (o quasi) avremmo avuto un lavoro e quindi i soldi per pagare quelli che fanno n lavoro vero e utile, come il meccanico delle moto... S'

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  5. beh, a dire il vero anche le moto e tutto quello che gira loro intorno (compresi i meccanici) rientrano a mio avviso nella categoria dei bisogni indotti, comunque afferro l'opinione: inventiamoci lavori autoreferenzialii e cerchiamo di far funzionare il tutto...

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  6. Anonimo13/3/12

    Da quando ho lasciato il precariato, pochi mesi, dopo un ventennio, ho lasciato anche la colazione con mia figlia cinquenne per correre a quel lavoro che ho voluto con forza per dare a lei la sicurezza. Ma per avere sicurezza non ha la mamma in casa e io passo le mie giornate con estranei. E' un circolo vizioso caro aaqui. Eppoi ti senti dire, dalla capa prodiga di solidarietà tutta femminile, che lei i suoi figli li ha cresciuti col cellulare, delegando a due tate diverse e vuole che questo ti sia d'esempio. Allora guardo le case nella campagna che attraverso ogni giorno e penso ad una casa con l'orto affianco da coltivare, come la crescita della mia bambina. Ma per fare gli alternativi pare si debbano avere le risorse e allora il circolo ricominica.

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  7. hai fotografato benissimo l'assurda situazione.
    il problema è che, proprio come dici tu, non si scorge via d'uscita.

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