martedì 13 marzo 2012

Il giustiziere de' noantri

Garbatella, piazza
Benedetto Brin
Domenica mattina. L'aria a Roma ha già assunto quella fragranza di primavera che ti mette in pace con le vie, la gente, il fiume. Sono in strada dalle sei e mezza per l'allenamento premaratona, da casa mia con venti minuti di andatura tranquilla arrivo di fronte al colonnato di San Pietro, la foschia indugia ancora sulla piazza e i poliziotti si aggirano attorno alle Punto di servizio, qualcuno prova una chiacchiera con le guardie svizzere, strano, pensavo fossero istruite a non dare confidenze a nessuno. Dopo altri dieci minuti fiancheggio l'isola Tiberina, vecchio seme della città, ancora dieci e attraverso il nuovo mercato di Testaccio. Giro tra le stradine dove si affacciano i locali notturni che fino a qualche ora prima sono stati teatro di file interminabili e musica che spacca le orecchie. Dopo un'oretta dalla partenza attraverso piazza Brin, angolo meraviglia di un quartiere meraviglia, la Garbatella, e con questo profumo di primavera che mi segue anche il nuovo ponte bianco sull'Ostiense mi garba.

Insomma, tutto questo preambolo romanticheggiante per dire che corro in completa sintonia con la città, in armonia con i suoi vicoli e piazze, in simbiosi con la sua aria, in sincronia con il suo pigro risveglio, in equilibrio con i suoi ancora impercettibili movimenti, e che forse è per contrasto con tutto questo che su via Medaglie d'Oro, di ritorno verso casa, sbrocco letteralmente alla vista di un tizio che dopo aver frugato nelle proprie tasche ne tira fuori una manciata di vecchi scontrini e li butta con noncuranza sul marciapiede, non si buttano carte in terra, gli dico mentre gli passo a fianco ansimando, lui si stringe nelle spalle e continua per la sua strada, a me cominciano a girare vorticosamente i coglioni, e da questa forza centrifuga acquisto vigore e fiato, perlomeno tanto quanto basta per girarmi, cominciare a correre sul posto e scoprirmi a scandire con l'espressione più cupa e minacciosa che conosco (più o meno quella che utilizzo per rimproverare V e G quando la combinano grossa): raccolga quella cazzo di carta!
Mentre non son sicuro se congratularmi con me stesso per quell'aggressività inaspettatamente scaturita dall'equilibrio di prima o se vergognarmene, lo guardo mentre mogio torna indietro, si china e raccoglie le carte. Solo adesso mi accorgo che ha lineamenti orientali, cinesi direi. Il fruttivendolo di fronte, nel frattempo, forse allarmato dal mio vocione, si affaccia sulla soglia della bottega e si gusta la scena, io mi giro e continuo per la mia strada in salita, forse dopo pochi passi il cinese svuoterà di nuovo le sue tasche sul selciato, ma ormai poco importa, giustizia è fatta.
Poco dopo mi chiedo se la mia aggressività sia stata scambiata per razzismo da qualcuno, che so, dal fruttivendolo ad esempio, o da me stesso. Poi ripercorro minuziosamente la sequenza causa effetto dell'intera vicenda e mi convinco che no, non era razzismo, era quella cosa dell'equilibrio e della simbiosi con la città contrastata dal gesto maleducato di un signore, un tizio, non importava l'etnia. E mi dico pure che agli occhi del fruttivendolo la scena poteva essere presa come episodio di razzismo, un bianco che grida sporcaccione a un cinese, anche se non era nulla di tutto questo, e concludo tra me e me che molte volte si evita di far rispettare alcune regole (credo che succeda anche alle autorità) perchè l'opinione pubblica potrebbe vederci del razzismo, e allora è meglio non rischiare, e meglio non intervenire per nulla.
Pierfrancesco Favino in una scena
di ACAB (da Wikipedia)
Pochi giorni fa sono stato al cinema, capita anche a me saltuariamente, c'era Acab - All Cops Are Bastards di Stefano Sollima, si narrano le vicende di un reparto della mobile, i famigerati celerini. La potenza del film è che in alcune situazioni sei portato a schierarti con una parte che mai avresti pensato potesse essere la tua: ad esempio c'è una scena in cui i protagonisti, stavolta in abiti borghesi, obbligano un gruppetto di immigrati che spadroneggiano in un parco cittadino destinato a bimbi e famiglie a ripulire i prati dai loro escrementi e dalle loro bottiglie di vino, beh lì ti trovi a tifare per per i poliziotti violenti che si fanno giustizia da soli, e ti senti uno di loro, ti sembra davvero di fare la cosa giusta, non importa se l'azione può sembrare razzista, perché in realtà non lo è, è solo ribellione contro l'inciviltà, non è una questione di colore. 
Vabbè, la morale un po' spiccia del post di oggi è che tolleranza non significa chiudere un occhio per paura di sembrare razzisti. Accontentatevi.

4 commenti:

  1. certo non vai al cinema spesso, ma quando ci vai scegli proprio le migliori pellicole sulla piazza, da cineclub!
    e.

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  2. Mi sembra incredibile, ma non è detto che tutto quello che leggo sia avvenuto veramente. O forse si? (cit.)

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  3. Sì, è avvenuto più o meno come lo descrivo. Paura, eh?

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  4. DreamOn14/3/12

    Devi dire che un pò ho paura...

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